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Altre testimonianze di altri presunti “attori”


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Altre significative testimonianze sul luogo


In tanti anni si sono accumulate una ridda di voci e di rivelazioni, molte delle quali raccolte a suo tempo da Franco Bandini che, come inviato di vari giornali e rotocalchi è stato un prezioso raccoglitore di testimonianze che nessuno aveva pensato di scovare.

Purtroppo la maggior parte di queste testimonianze, sul posto, non sono mai state, e data la loro natura giornalistica difficilmente avrebbero potuto esserlo, controllate attentamente, come avrebbero meritato anche perchè, oltre che importantissime spesso erano problematiche o contraddittorie. Ma il fatto è che, al quel tempo, come detto ci si muoveva dando per scontata buona parte della versione ufficiale e quindi si cercavano più che altro testimonianze che la potessero supportare o che vi aggiungessero qualcosa di nuovo. Successivamente, quando apparve chiaro che la versione ufficiale non era poi oro colato, molti di quei testimoni del tempo erano deceduti o irreperibili e nessuno pensò di andare a cercare quanti potevano ancora essere rintracciati.

Si è rimasti così con una bella collezione di aneddoti e ricordi, i quali messi insieme non riescono però a completare il mosaico effettivo di quegli avvenimenti ed invece, spesso, si scontrano tra loro vanificando così tutta la loro importanza.

Ma una cosa traspare evidente e sicura:

quel giorno, in quei luoghi, accadde qualcosa di diverso da come ci è stato raccontato, qualcosa che poi è stato, prima opportunamente occultato attraverso palesi minacce ed imposizione di una versione di comodo, poi mistificato e confuso disperdendolo in varie e contraddittorie testimonianze indecifrabili, e quindi dopo tanti anni, oltre alla morte di molti testimoni dell’epoca, si è finito persino per perdere il ricordo preciso di quegli eventi (ne riparleremo più avanti).

Quello che poi ha aggravato tutta la situazione è stato il fatto che molti scrittori hanno spesso ripreso, con una certa leggerezza, solo quelle testimonianze confacenti alle loro versioni ed altri scrittori, a loro volta, le hanno riportate, diciamo così alla cieca, per i loro lavori, finendo per determinare un circolo vizioso ed una certa confusione editoriale.



Due cose comunque appaiono incontrovertibili, circa eventuali testimoni di quanto effettivamente accadde davanti al cancello di Villa Belmonte:

- primo, tranne qualche evidente mitomane, il momento esatto dell’esecuzione di Mussolini e della Petacci, di fatto, non ha testimoni oculari e diretti, ad eccezione dei tre cosiddetti e presunti giustizieri comunisti.

Gli stessi carcerieri Lino e Sandrino si è opportunamente asserito che sono arrivati in ritardo, mentre l’autista Geninazza, pressoché inattendibile e ammesso che c’era, è chiaro che lo si è lasciato in disparte e non si è mai potuto accertare con esattezza se avesse o non avesse seguito la fucilazione.

Altri casuali spettatori del posto, come vedremo, hanno udito e/o intravisto qualcosa prima e qualcosa dopo la fucilazione, ma non il momento esatto della stessa oppure come quel Maximilian Mertz (di cui dovremo parlare), hanno avuto l’impressione di una finta fucilazione, ma il loro racconto non è stato ben approfondito ne attentamente vagliato.

- Secondo, come afferma Bandini, l’insieme di queste testimonianze permette di stabilire senza ombra di dubbio che ad un ora imprecisata, ma che deve situarsi tra le 12 e le 13 di quel 28 aprile (quando molti stavano per mettersi a pranzo) nella zona di Azzano, Giulino e Bonzanigo si snodarono una serie di avvenimenti, quali: un insolito e sospetto traffico di numerosi partigiani, anzi anche una sparatoria tra partigiani locali ed altre persone che risalivano probabilmente via del Riale; vi furono, ad opera dei partigiani del capo locale Martin Bisa alias Martino Caserotti Roma, delle voci devianti per far concentrare al primo pomeriggio le poche decine di persone di quei borghi sulla statale ove, si disse, sarebbe passato il Duce prigioniero.

Quindi, come giustamente disse il Bandini, attorno a mezzogiorno, non solo si era già levato il sipario sul dramma, ma erano anche scattate le operazioni nebbiogene destinate ad occultarlo e sviarlo!

E’ bene intanto, farsi una idea di Villa Belmonte, con la descrizione di Franco Bandini:

Villa Belmonte è un grande ed elegante edificio con pianta ad “L” che giace in leggero pendio tra il ramo superiore e quello inferiore della strada asfaltata che scenda da Giulino. Un entrata padronale immette sul ramo superiore o nei suoi pressi, ed un cancello, quello accanto al quale fu fucilato Mussolini, si apre sul ramo inferiore. La casa è a due piani e la facciata più larga dà verso il lago, sfogando in una grande terrazza che prosegue in un ripiano del giardinino.

Il 28 aprile la villa era abitata da non molte persone, raggruppate in due famiglie, sfollate a Giulino per la guerra. I signori Bellini, Bernardo proprietario con la moglie Teresita, ed i coniugi Rinaldo e Aminta Oppizzi con le due figlie, Lelia e Bianca allora giovanissime. La popolazione della villa era poi completata dalla donna di servizio Giuseppina Cordazzo”.

Riportiamo ora qualche altra testimonianza dell’epoca, almeno quelle che potrebbero avere una certa importanza, anche se rimangono sempre tutti i dubbi del caso e soprattutto varie contraddizioni. Abbiamo messo in neretto i nominativi citati ed i particolari più interessanti. Queste testimonianze sono più che altro tratte dai servizi di Franco Bandini su Storia Illustrata del febbraio 1973, e dai sui libri, già citati: Le ultime 95 ore di Mussolini e Vita e morte segreta di Mussolini.




TESTIMONIANZE

  • Il signor Roberto Remund di Viganello (Chiasso), benchè svizzero era, al tempo ventunenne, sfollato assieme ad alcuni colleghi di lavoro presso la villa Peduzzi di Bonzanigo. Si era da poco arruolato nella 52a Brigata Garibaldi e quella mattina del 28 aprile era di guardia al posto di blocco di Tremezzo di fronte all’imbarcadero.

Verso le ore 12 / 13 era invece a mangiare alla mensa di casa Peduzzi quando si udirono degli spari giù verso il paese. Afferma il Remund:

Ero ancora alla mensa (di casa Peduzzi, lungo via Mainoni d’Intignano, n.d.r) quando udii uno scalpiccio nella via sottostante. Mi affacciai e vidi alcuni partigiani che passavano, scortando un uomo con mantello militare al quale si aggrappava una donna (dall’alto non potei vedere i visi). Uno di quelli della scorta che conoscevo mi vide e mi chiese:

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