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Interrogazione a risposta orale Presentata da Giuseppe Lumia


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Interrogazione a risposta orale

Presentata da Giuseppe Lumia

Ai Ministri dell’Interno e della Giustizia

Per sapere - premesso che:

dalle ultime notizie di stampa si apprende che è tornata altissima l'allerta attorno al sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo, che insieme al procuratore capo ad interim Leonardo Agueci, l’aggiunto Vittorio Teresi, il sostituto Francesco Del Bene, il pm Roberto Tartaglia e il procuratore generale Roberto Scarpinato, indaga sulla trattativa Stato-mafia e che il capo di Cosa nostra, Totò Riina, vorrebbe morto. Lo stesso boss Matteo Messina Denaro avrebbe confermato l'intenzione di procede con un attentato al magistrato;

da fonti ritenute attendibili agli inquirenti sembrerebbe che le famiglie mafiose di Palermo, già da diversi mesi, abbiano raccolto denaro per dotarsi di un'ingente quantità di esplosivo. Addirittura un carico di tritolo sarebbe già nascosto in diversi punti della città;

il piano di morte è confermato da una dichiarazione rilasciata proprio qualche giorno fa da uno degli ultimi collaboratori di Cosa nostra, Vito Galatolo. Da questa emerge la notizia di un summit avvenuto fra i boss più in vista di Cosa nostra, dove si sarebbe discusso delle modalità operative dell’attentato. Secondo tale fonte i mafiosi avrebbero preso in considerazione due opzioni per colpire Di Matteo: esplosivo a Palermo o bazooka e kalashnikov a Roma. Ma dalla stessa fonte spunta l’ombra della presenza dei cosiddetti “mandanti esterni”, i veri protagonisti di molte stragi e omicidi eccellenti del Paese. Sono gli stessi mandanti di Borsellino assicura Galatolo parlando proprio con il pm di Palermo e descrivendo i dettagli del progetto omicida di cui il boss dell’Acquasanta era il coordinatore organizzativo;

un altro collaboratore di giustizia, Stefano Lo Verso, ha spiegato anche che l'attentato contro Di Matteo doveva avvenire già nel 2008 a Santa Flavia, dove il magistrato trascorreva le vacanze. Ma il capomafia di Bagheria, Pino Scaduto, si rifiutò di far eseguire l'ordine di morte nel suo territorio;

non si tratta di una minaccia isolata. Il pm, infatti, era stato destinatario di diverse lettera anonime. Una di queste rivelava, appunto, l’intenzione di eliminarlo. Nei mesi scorsi Di Matteo è stato duramente minacciato da Totò Riina in persona, come riportato dalle intercettazioni della Dia di Palermo: “Gli farei fare la fine del tonno a questo Di Matteo, del tonno buono: facciamo grossa questa cosa, facciamola presto e non ci pensiamo più” ha detto passeggiando nel cortile del carcere milanese di Opera con il compagno d’ora d’aria, il boss pugliese Alberto Lorusso. Durante la passeggiata una telecamera della Dia ha ripreso Riina mentre sfilava la mano sinistra dal cappotto e mimava il gesto di fare in fretta. "Perché questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, un'esecuzione come a quel tempo a Palermo";

parlare di minacce forse è riduttivo e improprio. Quello di Riina è stato un crescendo di parole rabbiose che culminano in un vero e proprio ordine di uccidere il pm e che il boss cerca di fare pervenire verso l’esterno;

è da non sottovalutare un'altra lettera anonima ricevuta dal procuratore Di Matteo. Quella del 26 marzo del 2013, scritta al computer da un anonimo sedicente “uomo d’onore della famiglia trapanese” che annunciava la sua eliminazione;

Palermo non deve tornare agli anni bui degli attentati e delle stragi. Bisogna ridurre l'esposizione al rischio del pm Di Matteo e di tutti gli altri magistrati impegnati nei processi contro la mafia ed in particolare sulle attuali indagini intorno alla cosiddetta "trattativa" e sul "Protocollo Farfalla", che sicuramente mettono in seria crisi non solo i vertici di cosa nostra ma anche diversi settori degli apparati e delle pari colluse istituzioni. La stessa Commissione Parlamentare Antimafia ha avviato una serie di audizioni dove cominciano ad emergere degli spaccati inquietanti su cui sta operando la Procura Antimafia di Palermo;

le minacce dei mafiosi, infatti, hanno riguardato anche altri suoi colleghi. Come quelle rivolte al procuratore generale Roberto Scarpinato, al quale è stata lasciata una lettera, addirittura, sulla scrivania del suo ufficio, trovata dallo stesso il 3 settembre 2014 subito dopo il rientro dalle ferie. L’episodio è molto preoccupante, perché nella lettera vengono usati toni e affrontati argomenti che fanno escludere il gesto di un mitomane e fanno pensare che chi scrive appartenga a quella zona grigia delle nostre istituzioni che Giovanni Falcone definì composta da “menti raffinatissime”. Inoltre, l'autore delle minacce dimostra di conoscere bene le sue abitudini e i luoghi da lui frequentati, arrivando perfino a descrivere dettagliatamente i particolari delle sue abitazioni;

anche Roberto Tartaglia, pm nel processo della trattativa Stato-mafia, è stato raggiunto da lettere anonime contenenti minacce di morte e, subito dopo, da un’incursione molto sospetta nella sua abitazione;

così anche Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo e rappresentante d'accusa del processo per la trattativa Stato-mafia, nonché il sostituto procuratore Francesco Del Bene. Quest'ultimo è stato raggiunto da minacce dal carcere. Infatti, nel febbraio 2013 un capomafia della Noce, intercettato durante una telefonata con un familiare, dice: "Quel Del Bene è troppo zelante, deve buttare il sangue, deve morire". Un mese dopo anche un boss dello Zen ha affidato un altro messaggio inquietante ad un parente: "Quel pm è sempre presente in aula, sta rompendo...". Così attraverso familiari e parenti gli sfoghi degli ultimi padrini finiti in cella sono arrivati fuori;

al Palazzo di Giustizia di Palermo c’è grande preoccupazione per l’allarme attentati. E' necessario tenere alta la guardia, elevare al massimo i livelli di sicurezza. Ma Tutto ciò non basta. Ha fatto bene la Commissione Parlamentare Antimafia ad essere più volte presente direttamente a Palermo e ad audire a Roma il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo Francesco Messineo,  i procuratori aggiunti Leonardo Agueci e Vittorio Teresi, il sostituto procuratore Antonino Di Matteo;

è necessario creare una posizione corale nelle istituzioni e nella società per scatenare una vera e propria guerra alla mafia a tutto campo con scelte legislative severe ed efficaci contro il sistema delle collusioni tra mafia e politica e tra mafia ed economia. Bisogna dare pieno sostegno ai magistrati più esposti, condividendo il loro impegno per fare verità e giustizia intorno alle questioni più spinose, sia legate alla cosiddetta trattativa, sia alle questioni più spinose legate alle stragi ‘92-’93, che a quelle più attuali. Tutto ciò, ovviamente, è essenziale che avvenga con l'impegno anche delle istituzioni democratiche,

si chiede pertanto di sapere:

quali misure sono state adottare per aumentare il livello di sicurezza del sostituto procuratore Nino Di Matteo e degli altri magistrati impegnati nel processo sulla trattativa Stato-mafia Francesco Del Bene, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia;

se, al fine di rafforzare ulteriormente i dispositivi di sicurezza, si ritiene necessario l'utilizzo del mezzo blindato corredato da bomb jammer al servizio della scorta del p.m. Nino di Matteo. Nella sua più avanzata versione risulta in grado di prevenire o neutralizzare gli ordigni esplosivi, comandati a distanza, utilizzati con le stesse modalità negli attentati terroristici. Le ultime versioni sono capaci, al tempo stesso, di evitare gli effetti collaterali elettromagnetici di tale portata che sino adesso ne hanno sconsigliato l'uso;

quali azioni sono state intraprese per garantire un livello di sicurezza più elevato nel Tribunale di Palermo, al fine di evitare che possano, in futuro, ripetersi casi di intrusione come quelli avvenuti nei confronti del procuratore Scarpinato;

quali provvedimenti legislativi ed amministrativi si intende adottare per rilanciare il contrasto alla criminalità organizzata, dando un carattere sistematico ed organico alla lotta alle mafie così da riuscire a debellare il rapporto collusivo che queste hanno con l'economia e con la politica;



quali azioni di bonifica intendano organizzare per eliminare il vizioso sistema di relazioni che Cosa nostra intrattiene con vari settori degli apparati e delle istituzioni. Un sistema a cui è stato, da sempre, garantito impunità e protezione.


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