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Lo svolgimento del processo


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CAPITOLO I
Lo svolgimento del processo
Bruno Contrada veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale di Palermo per rispondere di concorso nei reati di associazione per delinquere pluriaggravata, commesso in Palermo ed altre località del territorio nazionale fino al 29 settembre 1982, e di associazione di tipo mafioso pluriaggravato, commesso in Palermo ed altre località del territorio nazionale, dal 29 settembre 1982 in poi.

Con sentenza in data 5 aprile 1996, il Tribunale lo dichiarava colpevole di concorso nel delitto di cui agli articoli 110 e 416 bis, commi IV, V e VI c.p., per avere, dapprima nella qualità di funzionario di P.S. e poi in quella di Dirigente presso l’Alto Commissario per il Coordinamento della Lotta alla criminalità mafiosa e, infine, presso il S.I.S.DE, contribuito sistematicamente alle attività ed agli scopi criminali dell’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”, in particolare fornendo ad esponenti della “Commissione Provinciale" di Palermo della stessa notizie riservate, riguardanti indagini ed operazioni di Polizia da svolgere nei confronti dei medesimi e di altri appartenenti all’associazione.

Per l’effetto, lo condannava alla pena di anni dieci di reclusione con riferimento all’intero periodo oggetto dei due capi di imputazione, assorbita la fattispecie di reato meno grave in quella più grave in ossequio al principio del divieto del ne bis in idem sostanziale, e lo dichiarava interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, con applicazione, a pena espiata, della misura di sicurezza della libertà vigilata per un tempo non inferiore a tre anni.

La motivazione della sentenza veniva articolata in cinque capitoli: il primo, dedicato al riepilogo dello svolgimento del processo; i primi due paragrafi del secondo capitolo, alla illustrazione dei criteri di valutazione della prova con riguardo agli orientamenti della Corte Suprema di Cassazione in materia di “chiamata di correo”, nonché alle problematiche correlate alla natura del delitto di associazione mafiosa ed alla configurabilità - nei termini delineati alla stregua degli arresti giurisprudenziali dell’epoca - della fattispecie del concorso eventuale in tale reato; nel terzo paragrafo, infine, per una migliore intelligenza del ruolo rivestito dall’imputato secondo il costrutto accusatorio, venivano illustrati gli incarichi istituzionali ricoperti dallo stesso Contrada.

Nei dieci paragrafi del terzo capitolo venivano rassegnate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sottoposti ad esame (Gaspare Mutolo, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Cancemi, Tommaso Buscetta, Maurizio Pirrone, Rosario Spatola, Giuseppe Marchese, Pietro Scavuzzo, Gaetano Costa e Gioacchino Pennino), con distinto riferimento al loro contenuto essenziale, alla verifica della loro attendibilità intrinseca ed ai riscontri estrinseci, alle valutazioni del contributo probatorio singolarmente e complessivamente offerto.

I dieci paragrafi del quarto capitolo venivano dedicati alla disamina degli episodi, delle vicende e delle situazioni nei quali il Tribunale rinveniva ulteriori riscontri, emergenti da autonome fonti probatorie, testimoniali e documentali. alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e cioè:



  • la cd. vicenda “Gentile”, originata dalla perquisizione domiciliare eseguita il 12 aprile 1980 presso l’abitazione del latitante mafioso Salvatore Inzerillo, seguita dall’intervento posto in essere dall’imputato nei confronti del funzionario di P.S. Renato Gentile (paragrafo 1);

  • l’operazione di polizia del 5 maggio 1980 e i rapporti tra l’imputato e l’ex Questore di Palermo Dott. Vincenzo Immordino (paragrafo 2);

  • la ritenuta agevolazione dell’allontanamento dall’Italia di John Gambino nel contesto e nel periodo del finto sequestro del banchiere Michele Sindona (paragrafo 3);

  • il rapporto Contrada-Giuliano nell’ultimo periodo di vita di quest’ultimo ed l’incontro - vivamente contestato dalla difesa - tra lo stesso Boris Giuliano e l’avvocato Giorgio Ambrosoli poco prima del suo omicidio (paragrafo 4);

  • l’intervento dell’imputato nel procedimento di rinnovo del porto di pistola all’indagato mafioso Alessandro Vanni Calvello (paragrafo 5)

  • il rapporto Contrada-Cassarà-Montana (paragrafo 6)

  • la condotta tenuta dell’imputato a seguito di una conversazione telefonica intercorsa ed intercettata il 7 ottobre 1983 tra l’imputato e Antonino Salvo ed il successivo incontro con lo stesso (paragrafo 7);

  • gli incontri ed i colloqui avuti dall’imputato con la signora Gilda Ziino, vedova dell’ing. Roberto Parisi, in relazione all’omicidio di quest’ultimo, verificatosi a Palermo il 23 febbraio 1985 (paragrafo 8);

  • l’agevolazione della fuga dall’Italia di Oliviero Tognoli e le reazioni dell’imputato e degli ambienti istituzionali alla divulgazione, fatta nel 1989 su un noto settimanale, della notizia che lo stesso Contrada ne sarebbe stato responsabile (paragrafi 9 e 10).

A chiusura del quarto capitolo, il Tribunale si soffermava su due fasi “critiche” della carriera professionale di Contrada, e cioè il trasferimento dalla Sicilia a Roma nel 1985 e la predisposizione a suo carico, nel 1988, di un provvedimento di restituzione ai ruoli della P.S., successivamente revocato.

Nel quinto capitolo, infine, quel Giudice enucleava le proprie conclusioni in punto di responsabilità e, dopo un breve cenno allo spettro dei possibili, ancorché non accertati moventi della condotta dell’imputato, ritenuta provata sulla base di un compendio probatorio organicamente cementato a prescindere dal loro positivo accertamento, motivava le statuizioni sulla pena.

*****

Avverso detta decisione proponevano appello i difensori dell’imputato, invocando l’assoluzione del loro assistito perché il fatto non sussiste e - in via incidentale - per l’inasprimento della pena, il Procuratore della Repubblica di Palermo, che chiedeva, altresì, in parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale, ammettersi l’esame di alcuni, nuovi collaboratori di giustizia.



Nei termini di cui all’articolo 585 comma 4 c.p.p. i difensori depositavano Motivi nuovi (nella intestazione “Motivi aggiunti”), con i quali articolavano svariate richieste di rinnovazione della istruzione dibattimentale e, nel merito, riprendevano ed ampliavano la trattazione della maggior parte dei punti oggetto dell’Atto di impugnazione.

L’imputato, pertanto, veniva tratto a giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, sezione II penale, che disponeva la parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con l’acquisizione di documenti, l’escussione di numerosi testi dell’Accusa e della Difesa e l’esame dei nuovi collaboranti Francesco Onorato, Francesco Di Carlo, Giovanni Brusca, Angelo Siino, Salvatore Cucuzza, Giovan Battista Ferrante.

All’esito, con sentenza del 4 maggio 2001, egli veniva assolto dalla imputazione ritenuta a suo carico dal Tribunale, perché il fatto non sussiste.

In accoglimento,quindi, del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 12 dicembre 2002, depositata il 3 aprile 2003, la Suprema Corte di Cassazione, sezione II penale, annullava l'impugnata sentenza per vizio di motivazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo per nuovo giudizio.

L’imputato è stato, pertanto, citato davanti a questa Corte.

All’udienza iniziale, celebrata l’undici dicembre 2003, dopo la relazione sul processo, il Procuratore Generale ha chiesto, in parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale, esaminarsi Antonino Giuffrè, esponente di spicco di Cosa Nostra e capo della famiglia mafiosa di Caccamo e dell’omonimo mandamento, nelle more determinatosi a collaborare con la giustizia dopo essere stato arrestato in seguito ad una lunga latitanza; disporsi, ai fini indicati, nuovo esame dei collaboranti Maurizio Pirrone ed Angelo Siino; acquisirsi, previa identificazione di tale Lo Verde detto “monocolo” (menzionato dal Siino), la documentazione relativa al rilascio o ai rinnovi del porto di fucile in suo favore.

La Difesa ha insistito in tutte le istanze di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale proposte nell’ambito del primo giudizio di appello e non accolte in quella sede, successivamente riassunte nella nota depositata il 12 gennaio 2004.

La Corte, quindi, con ordinanza resa alla successiva udienza del 15 gennaio 2004 ha statuito sulle istanze di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale proposte dalle parti, disponendo l’acquisizione dei decreti di archiviazione emessi nei procedimenti a carico del funzionario di Polizia dott. Michele Messineo e dell’avv. Cristoforo Fileccia, rispettivamente evocati dai collaboratori di giustizia Gaspare Mutolo e Pietro Scavuzzo.

Ha ammesso, altresì, l’esame del Giuffrè, e del Siino, assunti all’udienza del 30 gennaio 2004, celebratasi a Milano, nel corso della quale sono stati anche prodotti i due provvedimenti di archiviazione.

Alla successiva udienza del 25 marzo 2004 si è dato atto, sulla scorta della nota del 3 marzo 2004 a firma del Procuratore della Repubblica di Palermo - Direzione Distrettuale Antimafia, della assenza di riferimenti (domande, risposte a domande o dichiarazioni spontanee) a Contrada nel corpo del “Verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione” di cui all’articolo 14 legge 13 febbraio 2001 n. 45, trasmesso in forma pressochè integralmente “omissata”, riguardante il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè.

Alla successiva udienza del 15 aprile 2004 il Procuratore Generale ha depositato un supporto informatico (CD ROM) contenente una conversazione intercettata l’undici novembre 2001 all’interno di una autovettura tra tali Pietro Landolina e Salvatore Gottuso.

Quindi, all’udienza del 29 aprile 2004 è stata acquisita la nota del precedente 23 aprile della Procura della Repubblica di Palermo- Direzione Distrettuale antimafia, in ordine alla pendenza delle indagini preliminari nel corso delle quali era stata effettuata l’intercettazione ambientale. La Corte, inoltre, ha statuito sulle eccezioni difensive riguardanti la legittimità ed utilizzabilità della intercettazione stessa e ha disposto, al contempo, l’acquisizione dei relativi verbali, oltre che della sentenza irrevocabile della Corte di Appello di Palermo in data 15 marzo 1994 a carico di Farinella ed altri.

Quindi, con ordinanza dibattimentale del 13 maggio 2004 è stata disposta perizia di trascrizione dell’intercettazione ambientale. All’udienza del 17 giugno 2004 è stato assunto l’esame del perito ed è stata disposta la rinnovazione delle operazioni, con la nomina di un collegio di due periti. Alla successiva udienza del 28 ottobre 2004 si è proceduto all’esame degli stessi e del consulente tecnico della Difesa, nonché alla acquisizione, sul consenso delle parti, della relazione a firma del consulente della Pubblica Accusa (essendo state prodotte anche le relazioni a firma dei periti e del c.t. della Difesa). Sono state, inoltre, acquisite la sentenza di condanna del dott. Ignazio D’Antone per concorso esterno in associazione mafiosa, resa dal Tribunale di Palermo in data 22 giugno 2000, quella di conferma, resa dalla Corte di Appello di Palermo il 30 aprile 2003, nonchè la sentenza di rigetto del ricorso per cassazione (n. 892/2004 della sezione VI penale della Suprema Corte), resa il 26 maggio 2004, ed infine è stato ammesso l’esame dei predetti Gottuso e Landolina.

Questi ultimi sono stati escussi alla successiva udienza del 25 novembre 2004 quali indagati per reato connesso (il solo Landolina si è avvalso, della facoltà di non rispondere, mentre il Gottuso, avendovi rinunciato, ha assunto la veste di testimone assistito).

Infine, le udienze del 10 febbraio, del 24 febbraio, del 10 marzo, del 7 aprile, del 21 aprile, del 5 maggio, del 19 maggio e del 9 giugno 2005 sono state dedicate alla requisitoria del Procuratore Generale.

Le successive udienze del 7 luglio, del 29 settembre,del 13 ottobre del 27 ottobre, del 10 novembre, del 24 novembre, del 15 dicembre, del 12 gennaio 2006 e del 26 gennaio 2006 sono state dedicate all’arringa.

Nelle more, in data 14 novembre 2005 il Procuratore Generale ha depositato una memoria relativa ad alcuni dei temi trattati nel processo (la cd. vicenda Gentile, il blitz del 5 maggio 1980, l’allontanamento di Salvatore Riina da Borgo Molara, i rapporti dell’imputato con soggetti affiliati alla massoneria) ed inoltre, sull’accordo delle parti, è stato acquisito stralcio dei verbali in data 2 ottobre 1992 e 4 novembre 1992, relativi agli interrogatori resi al Pubblico Ministero dal collaboratore di Giustizia Giuseppe Marchese.

Infine, all’udienza del 24 febbraio 2006, dopo la replica del Procuratore Generale, l’imputato ha reso dichiarazioni spontanee. La Difesa ha rinunciato alla propria replica, limitandosi a ribadire le già formulate richieste conclusive, e la Corte si è ritirata in camera di consiglio per la decisione, resa il 25 febbraio 2006.

CAPITOLO II

Brevi puntualizzazioni sul concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, sui criteri di valutazione delle chiamate di correo e sulla necessità della valutazione unitaria degli elementi di prova.

Le censure articolate nel primo volume dell’Atto di impugnazione intercettano il tema della configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione mafiosa, contestata dai difensori appellanti (pag. 33).

Questi ultimi, infatti, operata una disamina della dottrina e della giurisprudenza che si erano espresse in senso contrario ad essa (con riguardo, si intende, al concorso materiale), hanno dedotto che il Tribunale sarebbe stato animato <>, che sarebbero state dichiaratamente fatte proprie dalla sentenza appellata.

In essa, infatti, soggiungono i predetti difensori, si afferma che:



  • <<…il settore delle relazioni tra soggetti appartenenti al mondo della politica, dell’amministrazione, dell’imprenditoria, delle professioni, della magistratura, della finanza, con l’organizzazione mafiosa, ove non si atteggi in forme di vera e propria integrazione nella predetta struttura criminale, è quello che in modo più congeniale si presta alla riconducibilità giuridica alla figura del concorrente esterno>>;

  • lo strumento giuridico del concorso esterno << seppure abbisognevole di una prudente applicazione da parte del giudice, certamente si configura di indubbia efficacia per la repressione proprio di quelle forme di collusione che, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, appaiono maggiormente riprovevoli e sintomatiche dell’elevata capacità di infiltrazione della mafia nel tessuto della società civile e pertanto in grado di evidenziare la potente carica eversiva di tale realtà criminale>>.

Orbene, dall’epoca del deposito dei motivi di appello, datati primo gennaio 1997 e successivi alla sentenza n. 16 del 1994 (Demitry) ed alla sentenza n. 30 del 1995 (Mannino, in sede cautelare), la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunziarsi ancora due volte a sezioni unite, con le sentenze n. 22327 del 2003 (Carnevale) e n. 33748 del 2005 (Mannino, in sede di cognizione piena) nel senso dlla configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa. Essa, peraltro, è presupposta nella stessa sentenza di annullamento con rinvio resa in questo processo, con cui la Corte di Cassazione, nel censurare la pronunzia del giudice di appello, ha rimarcato la distinzione tra la fattispecie in esame e quella del favoreggiamento personale.

Ha rilevato che il concorrente esterno << pur non essendo stabilmente inserito nella struttura organizzativa dell'associazione, opera sistematicamente con gli associati, al fine di depistare le indagini di polizia volte a reprimere l'attività criminosa dell'associazione o a perseguire i partecipi di tale attività, in tal modo fornendo uno specifico e concreto contributo ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione medesima; mentre nel reato di favoreggiamento il soggetto aiuta in maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o non nell'attività prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alle ricerche di questa>> (pagina 322).

Nel corso della discussione svolta in questo dibattimento di appello, pur senza rinunciare formalmente al motivo riguardante la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, la Difesa ha richiamato i principi enunciati nelle sentenze Carnevale e Mannino, che, pertanto, si ritiene sufficiente esporre nel modo più conciso possibile.

Si è accennato che, già prima della sentenza Carnevale, il concorso eventuale in associazione mafiosa era stato ritenuto configurabile non soltanto nelle forme della determinazione e della istigazione, ma anche come concorso materiale, e cioè nei casi in cui il terzo, pur non essendo mai entrato a far parte dell’associazione (per non averlo voluto o perché non accettato come socio) tuttavia, presti all’associazione stessa - nell’ambito della attività da lui svolta, nelle professioni, nella politica, nelle pubbliche amministrazioni, nella società in genere - un proprio contributo, a condizione che tale apporto, valutato ex ante, e in relazione alla dimensione lesiva del fatto e alla complessità della fattispecie, sia idoneo, se non al potenziamento, almeno al consolidamento ed al mantenimento dell’organizzazione.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza del 28 dicembre 1994, n.16 (imp. Demitry), nel confermare la configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, avevano delineato la diversità di ruoli tra il partecipe all’associazione e il concorrente eventuale materiale nel senso che:


  • il primo é colui senza il cui apporto quotidiano, o comunque assiduo, l’associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza, é, insomma colui che agisce nella “fisiologia”, nella vita corrente quotidiana dell’associazione;

  • il secondo è, per definizione, colui che non vuol far parte dell'associazione e che l'associazione non chiama a “far parte” di sé – difettando il requisito della affectio societatis - ma al quale si rivolge per colmare vuoti temporanei in un determinato ruolo, ovvero, soprattutto, nel momento in cui essa entra in fibrillazione ed attraversa una fase “patologica” che, per essere superata, richiede il contributo temporaneo, limitato anche ad un unico intervento, di un esterno (il concorrente, insomma é il soggetto che occupa uno spazio proprio nei “momenti di emergenza” della vita associativa).

Tale “parametro clinico” della fibrillazione risulta accantonato nella sentenza Carnevale, nella quale l’accento logico della partecipazione ad associazione mafiosa rispetto al concorso esterno viene posto essenzialmente sul predicato “fa parte di”.

Con detta pronuncia, il Giudice di legittimità ha evidenziato che <

La necessità di ricorrere alle norme sul concor­so eventuale deriva appunto dall'esigenza di assegnare rilevanza penale anche a contributi significativi resi all'organizzazione criminale da parte di chi non sia in essa considerato incluso dagli associati. Se il reato associativo, infatti, è un reato a concorso necessario, la volontà collettiva di inclusione è determi­nante; ma non può farsene derivare l'irrilevanza penale di comportamenti significativi sul piano causale e per­fettamente consapevoli>>, attesa la funzione di estensione della punibilità al partecipe atipico rivestita dall’articolo 110 c.p., ove la sua condotta sia strumentale alla consumazione del fatto tipico.

In sintesi, il concorso cosiddetto esterno nel reato di associazione mafiosa è ritenuto configurabile in capo alla persona che, priva della affectio societatis e non inserita nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisce un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, purché detto contributo abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione, e l'agente se ne rappresenti, nella forma del dolo generico diretto, l'utili­tà per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso.

Tali principi sono stati riaffermati con la sentenza 33748/05, che si è occupata dei requisiti del concorso esterno in relazione al sostegno e allo scambio politico-elettorale, evidenziando la necessità che i patti illeciti fra il politico ed il sodalizio mafioso siano ben definiti nelle loro linee essenziali.

Segnatamente, la decisione in esame ha sottolineato che il contributo del concorrente deve essere munito di efficienza causale per la realizzazione del "fatto criminoso collettivo", e che, per ritenere avverato tale requisito, non giova il ricorso alla categoria della causalità psichica; non basta, cioè, dichiararsi "disponibili" verso l'associazione mafiosa, ma occorre porre in essere un apporto attivo, tangibile e concreto.

Tale contributo causale, unitamente al "fatto tipico", cioè all'evento di conservazione o rafforzamento del sodalizio, costituisce oggetto del dolo diretto del concorrente non inserito nella compagine sociale.

L’appellata sentenza ha fatto buon governo degli enunciati principi, riconducendo al paradigma del concorso esterno in associazione mafiosa uno spettro di condotte di agevolazione, inizialmente circoscritte quanto ai beneficiari, quindi progressivamente estese ed idonee a rafforzare il sodalizio mafioso nel suo complesso; condotte necessariamente illuminate dal dolo diretto in ragione della loro natura (attività di depistaggio delle indagini di polizia, di agevolazione sistematica di latitanti o di ricercati mafiosi o di soggetti in stretti rapporti criminali con “Cosa Nostra”, attività a presidio della regola dell’omertà, come la rivelazione al Riccobono delle lamentele del costruttore Gaetano Siragusa) ma anche della veste professionale dell’imputato e dal bagaglio di conoscenze acquisito in ragione di essa.

*****


La sentenza 33748/05 è stata evocata dalla Difesa anche per le notazioni che riguardano la valutazione del quadro indiziario ed il rapporto tra la analisi e la sintesi globale dei singoli elementi indiziari di prova.

In essa, infatti, al paragrafo n. 8 si richiama il principio secondo cui <>.



Rinviando al vaglio delle censure riguardanti ogni singolo episodio o circostanza la valutazione del se - ed in quali casi - il Tribunale abbia sommato elementi dotati dei caratteri dell’indizio piuttosto che addendi totalmente neutri, mette conto ricordare che la sentenza di annullamento con rinvio resa in questo processo ha riaffermato il principio della valutazione unitaria e complessiva degli elementi di prova (pagine 258 e segg.) nei seguenti termini: <<…
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