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Introduzione


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Gli scritti di Beethoven e la sua personalità


Propongo qui una telegrafica lista degli scritti di Beethoven, una breve descrizione del Testamento di Heiligenstadt, per poi concentrarmi con più calma sugli aspetti della personalità, senz’altro più complessa di quanto non possa mostrare nei limiti di questo lavoro, di Beethoven.
Abbiamo tre tipologie di documenti: le lettere, i "Quaderni di conversazione"(in cui raccolse pensieri, appunti riflessioni, domande dei suoi interlocutori), e il "Testamento di Heiligenstadt".

Anche dagli scritti, oltre evidentemente che dalla musica, emergono le caratteristiche romantiche (o perlomeno pre-romantiche) di Beethoven.


Cominciamo dal “Testamento di Heiligenstadt”. Esso è una sorta di testamento spirituale in cui Beethoven comunica il suo male interiore (caratteristica questa peculiare del Romanticismo), il suo struggimento per la sua infelice situazione personale (si pensi all’infanzia difficile, ma anche alle delusioni amorose, all’isolamento, alla sordità via via crescente). Questo documento storico è usato da molti musicologi per fissare l’inizio del secondo periodo compositivo del compositore di Bonn. Fra le righe del “Testamento di Heiligenstadt” possiamo infatti leggere le intenzioni future del musicista.
È con Beethoven che nasce la nuova figura, potremmo dire il nuovo cliché, di musicista, che corrisponde all’idea romantica che ci si farà dell’artista musico. Se fino al Settecento il musicista di successo era il diligente dipendente della Cappella locale (cfr. Bach) o il fidato responsabile della musica presso qualche principe (cfr. Haydn), con Beethoven il ruolo che il compositore è richiamato a coprire cambia radicalmente. È sì vero che, per certi versi, Mozart ha aperto la strada verso questa rivoluzione, ma il primo compositore di “nuovo stampo” è indubbiamente Beethoven. Vediamo di chiarire meglio la faccenda. Mozart fu forse il primo compositore di rilevanza storico-musicale ad acquisire lo status di libero musicista indipendente, ovvero di compositore-direttore-suonatore che compone opere su commissioni varie, e non più sotto il patrocinato di un contratto esclusivo con un signore o con un’associazione, quale poteva essere l’organismo ecclesiastico o municipale nel caso di Bach a Lipsia. Mozart però si doveva ancora preoccupare molto affinché le sue opere riscuotessero successo e plauso negli stessi ambienti per i quali avevano lavorato (e stavano ancora lavorando) i suoi predecessori ed i suoi colleghi compositori. Wolfgang Amadeus Mozart infatti, ebbe frequenti incontri con l’imperatore e i suoi funzionari, e si esibì sovente in presenza dell’imperatore stesso o di altri nobili, o di membri del cosiddetto alto clero.

Beethoven invece, anche grazie alla sempre maggior diffusione dei concerti pubbliciiii, non fu più dipendente – a livello economico-professionale – dalla nobiltà, dalle commissioni ecclesiastiche (cattoliche e/o protestanti) e dalle accademie di musica, ma dal pubblico pagante e dagli editori. L’editoria musicale, che cominciò a fiorire nel Settecento, ebbe un incremento vertigionoso nel corso del diciannovesimo secolo (che arrivò, anche grazie all’affermazione del concetto di “repertorio fisso”, a sostituire, in Italia, i teatri d’opera nel detenere i diritti sulle opere dei musicisti; cfr. Ricordi e Sonzogno). Il fatto che Beethoven ebbe vari scambi epistolari e “commerciali” con alcuni editori non fa altro che riportare un’ulteriore caratteristica romantica condivisa (e per certi versi inaugurata) da Beethoven.

Ma torniamo al nostro discorso sulla figura del musicista romantico. Nel Romanticismo il musicista per antonomasia è un genio incompreso, di incredibile e indicibile acume che nessuno però è in grado di avvicinare. Ne derivano la delusione, la frustrazione, l’angoscia dell’isolamento e dello struggimento, il cosiddetto male del desiderio (Sehnsucht), le difficoltà psicologiche (cfr. certe scenate beethoveniane, o il tentativo di suicidio di Schumann, verosimilmente da ricondurre anche alla sua malattia alla mano, forse principale fattore all’origine della sua malattia nervosa).

Beethoven incarna per primo questo nuovo modello di musicista, come attestano alcune sue frasi, come questa:



Noi, esseri finiti,
personificazioni di uno spirito infinito,
siamo nati per avere insieme gioie e dolori;
e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza".
iv
Il musicista romantico ha poi un nuovo rapporto con il pubblico, che è insieme causa ed effetto di quello che ho chiamato il nuovo cliché di musicista. Il compositore romantico tende infatti a concepire la sua opera come un messaggio rivolto a tutta l’umanità (cfr. Nona sinfonia di Beethoven), magari a quella di un lontano futurov. Ciò favorisce, di riflesso, il sorgere di stili individuali ed azioni anticipatrici del loro tempo storico, in nome dell’avvenire, proprio come è il caso del terzo periodo beethoveniano.

Il problema è che il musicista romantico crea la propria forma e la impone al pubblico, che a sua volta è poco disponibile ad accettare qualsiasi cosa non corrisponda al gusto precostituito (ad eccezione dei piccoli ritrovi di intenditori che cominceranno ad aver luogo nel corso dell’Ottocento e che hanno il loro repertorio di inizio proprio nei Quartetti del terzo periodo di Beethoven). Da ciò direttamente deriva il fatto che il compositore proceda in una direzione e il pubblico in un’altra. La figura di musicista incompreso e afflitto viene quindi alimentata da questa particolare situazione. Situazione che influenza anche la programmazione: se nell’Ottocento c’è un rinnovato interesse verso la musica del passato (sia da parte dei compositori, che si rifaranno a determinate forme e modelli cinquecenteschi e seicenteschi, sia da parte del pubblico), diminuisce – da parte del grande pubblico – la comprensione per la musica contemporanea, ormai apprezzata solo dai musicisti e dalle persone di una certa cultura musicale. Di conseguenza la musica del passato viene eseguita e pubblicata sempre più, mentre quella contemporanea fa più fatica a conquistarsi un ruolo di rilievo nel panorama musicale.


Il compositore “moderno” non è più disposto ad assecondare il gusto dell’ascoltatore medio rinunciando ai propri desideri e a quanto la propria arte gli suggerisce. D’altro canto il Romanticismo è la sede della grande rivalutazione della musica in seno alle arti (e fors’anche delle arti per rapporto alla cultura, per cui la musica ci guadagnerebbe doppiamente). E Beethoven è anticipatore anche di questo processo, come si può vedere da questa frase (che pure denota la scarsa modestia del compositore): "La musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e filosofia...
Chi penetra il senso della mia musica potrà liberarsi dalle miserie in cui si trascinano gli altri uomini."
(Ludwig van Beethoven).
Altra caratteristica romantica di Beethoven è l’amore e l’ammirazione per la natura. L’Ottocento è infatti il secolo dell’esaltazione delle passioni, ma anche della natura, dell’amore immerso nella natura, dell’esperienza naturale, e perfino della natura selvaggia, talvolta mostruosa. Senza arrivare a questo interesse per il grottesco, precipuo del romanticismo e condiviso solo da alcuni compositori ottocenteschi, Beethoven dimostra un’inclinazione, un’attenzione tutta particolare nei confronti dell’elemento naturale.

Dagli scritti emerge infatti un immenso amore per la natura, quasi in essa trovasse conforto, potendo grazie ad essa lenire i suoi problemi.

Scrisse alla sua amica Therese Malfatti nel maggio del 1810: "Quanto è fortunata Lei, che è potuta andare in campagna già così presto. Io non potrò godere tale beatitudine fino al giorno 8. Non c'è nessuno che possa amare la campagna quanto me. Dai boschi, dagli alberi, dalle rocce sorge l'eco che l'uomo desidera udire."

Nei "Quaderni di conversazione" troviamo: "Onnipotente, nella foresta! Io sono beato, felice: ogni albero parla attraverso te-O Dio! Che splendore! In una tale regione boscosa, in ogni clima, c'è un incanto-E' come se in campagna ogni albero mi facesse intendere la sua voce dicendomi: santo, santo!".



Quest’ultima frase attesta anche un importante tratto beethoveniano, l’ultimo che cito in questa sede. Si tratta dell’elemento religioso, della profonda spiritualità e fede di Beethoven. Beethoven che ci ha donato una musica di rara profondità e sensibilità, insieme seria e mistica. È possibile che questa caratteristica tipica di Beethoven sia in parte anche determinata dal profondo senso religioso di Beethoven. Egli, per quanto ci è dato sapere, era ammiratore di Napoleone nella sua fase umanitaria (ovvero prima del dispotismo inauguratosi con l’autoincoronazione del 1804), era fervo sostenitore degli ideali rivoluzionari di libertà, fraternità e egualità; era inoltre portatore degli ideali liberali (diffusisi proprio a partire dalla fine del Settecento); era infine animato da un profondo senso religioso, anche se non confessionale, di dedizione e venerazione (cfr. ultimo movimento della Nona sinfonia “über Sternen muss er wohnen”).
Molto si potrebbe e si dovrebbe ancora aggiungere, ma – come già detto ormai più volte – non è questa la sede.

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