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Introduzione


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Le opere


Esistono 138 opere numerate di Beethoven. Queste composizioni possiedono un numero attribuito dal compositore stesso, detto numero di opera (opus). Ma le composizioni che Beethoven o gli editori dell' epoca non ritennero degne di fare parte del catalogo generale sono ancora più numerose: Queste ultime sono identificate con un numero di WoO (Werke ohne Opuszahl ) dal catalogo Kinsky - Halm.

Beethoven scrisse:



  • 9 sinfonie

  • 32 sonate per pianoforte

  • 10 sonate per violino e pianoforte

  • 6 sonate per violoncello e pianoforte

  • 1 sonata in Sib M per flauto e pianoforte

  • 1 sonata in Fa m per corno e pianoforte

  • Temi variati (6) op. 105 per pianoforte e flauto (o violino)

  • Temi variati (10) op. 107 per pianoforte e flauto (o violino)

  • Variazioni in Fa M op. 66

  • 3 Trii per archi op. 9

  • 1 Serenata per trio d’archi in Re M op. 8

  • 7 Trii per pianoforte, violino e violoncello

  • 10 Variazioni in Sol M op.121a per pianoforte, violino e violoncello

  • 16 Quartetti per archi

  • 1 Grande Fuga in Si b M op. 133 per quartetto d’archi

  • 1 Trio in Sol M WoO 37, per flauto, fagotto, pianoforte

  • 1 Trio in Sib M op. 11, per clarinetto, violoncello, pianoforte

  • 1 Serenata in Re M op. 25, per flauto, violino, viola

  • 1 Quartetto in Mib M op.16 bis per pianoforte e archi (vedi op.16)

  • 1 Quintetto in Mib M op. 16, per pianoforte, oboe, clarinetto, fagotto, corno

  • 1 Quintetto in Do M op. 29, per 2 violini, 2 viole, violoncello

  • 1 Settimino in Mib M op. 20 per violino, viola, violoncello, contrabbasso, clarinetto, fagotto, corno

  • 1 Ottetto in Mib M op. 103, per 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni, 2 fagotti

  • 1 Lied con Variazioni in Re M WoO 74 per pianoforte a quattro mani

  • 1 Sonata op. 6 per pianoforte a quattro mani

  • 1 Variazioni (8) su un tema del conte Waldstein per pianoforte a quattro mani

(Una lista completa delle opere di Beethoven con la loro data e il loro numero di opera è facilmente consultabile al sito http://www.karadar.com/Cataloghi/beethoven.html.)

  1. Tre periodi


Si è soliti dividere la produzione musicale di Beethoven in tre periodi. È evidente che questa è una classificazione a posteriori, una sorta di grammatica che cerca di mettere ordine e logica nel lavoro di un genio. Come tale non è, né potrà mai essere, una classificazione ordinata e sistematica, precisa, puntigliosa e accurata: ogni lavoro va conosciuto a sé e per rapporto al resto della produzione e non può essere ricondotto a caratteristiche di uno stile che sono state definite dai musicologi e non certo da Beethoven (che pure, nel cosiddetto “Testamento di Heiligenstadt”, diede qualche indicazione anche sotto questo aspetto). Questo discorso è importante che si faccia per far notare come ogni classificazione che si opera nella storia della musica sia di per sé qualcosa di arbitrario, aggiunto in seguito per sintetizzare la produzione di un compositore. È dunque probabile, oltre che possibile, che un brano che –per definizione– si vuole appartenga al primo periodo beethoveniano presenti già svariate caratteristiche del secondo periodo (o, meglio, caratteristiche ricondotte al modello di “secondo periodo” che ci siamo creati).

Non è questa la sede per approfondire questo discorso, né tantomeno di analizzare per filo e per segno quali opere vadano inserite in una lista piuttosto che nell’altra, né – a maggior ragione – di procedere a un’indagine di quali caratteristiche ci potrebbero portare in una direzione o nell’altra. Questo lavoro è lungo e fors’anche noioso. È generalmente svolto dai musicologi (e da qualche filologo) e non dai musicisti.

Anche i musicisti però necessitano di alcune conoscenze in questo campo, poiché essi devono saper riconoscere gli stili e interpretare i brani di conseguenza. Si tratta però qui di un tipo diverso di abilità e nozioni, più pratico, più volto al far musica che non allo studio di come gli altri l’hanno praticata. Sono due discipline diverse.

Trattandosi qui di una breve presentazione a livello di liceo non è mia intenzione addentrarmi in particolari stilistici eccessivamente tecnici e complicati. Cercherò di fornire una sintesi e una semplificazione al contempo chiare, facili ed esaustive, pur nei limiti di questo lavoro.



5.1 Il primo periodo


Si può far cominciare il primo periodo dalla nascita di Beethoven (che è forse la cosa più giusta da farsi, considerato che un compositore comincia a formare se stesso e la sua produzione fin dall’educazione musicale, ma anche umana, di base), oppure dalla prima opera composta (ma sarebbe qui difficile stabilire con esattezza quali siano i primi abbozzi beethoveniani di un’opera sua: già gli esercizi di contrappunto o di armonizzazione sono composizioni, ma non certo esemplificanti dello stile di Beethoven, né tantomeno delle sue intenzioni, siano esse presenti o future), oppure ancora dalla prima opera che Beethoven stesso ha considerato tale, dandole il nome di opera 1, ovvero i 3 Trii per pianoforte, violino e violoncello op.1, pubblicati nel 1792.

Questo primo periodo compositivo si spinge fino alla nascita del secondo, che viene fissata convenzionalmente alla data del già più volte citato Testamento di Heiligenstadt, datato del 1802.

Il primo periodo è ancora essenzialmente classico: mostra l’influenza dei suoi studi e dei suoi maestri, in particolare i 3 Trii dell’op.1 attestano l’influsso di Haydn, che fu maestro di Beethoven. Ciononostante Beethoven mostra fin da questi trii una certa indipendenza compositiva: questi brani non sono di Haydn, ma di Beethoven. Ciò si vede per esempio dal respiro largo tipicamente beethoveniano (anche se non si arriva, certamente, al respiro amplissimo del Romanticismo, che dovrà ancora attendere alcuni decenni), dalla scrittura indipendente ed elaborata del violoncello, prima effettuata solo da Mozart nei suoi trii.

Il primo periodo mostra già, tuttavia, molte caratteristiche passibili di importanti quanto interessanti sviluppi dei periodi successivi. Per esempio già i trii dell’op.1 mostrano 4 movimenti più lunghi di quelli di Haydn e, soprattutto, code lunghe. Vedremo infatti meglio in seguito che una delle peculiarità più rilevanti del secondo Beethoven (e, di riflesso, anche del terzo Beethoven) è proprio l’attenzione maggiore, sia in termini di qualità e intensità motivica e inventiva che in termini di quantità e durata, che Beethoven rivolge in modo particolare alla sezione dello sviluppo nei movimenti in forma sonata e alle code.

Nel primo periodo Beethoven comincia già a muoversi verso quest’ampliamento delle forme espandendo le strutture formali ereditate, attraverso l’introduzione di effetti e procedimenti nuovi o fino ad allora trascurati.

Nelle sonate per violino e pianoforte si vede come Beethoven abbia una notevole padronanza della scrittura violinistica. È infatti bene sapere che Beethoven, oltre al pianoforte, suonava anche il violino e ne prese lezioni anche a Vienna (da Wenzel Krumpholz e da Ignaz Schupanzigh, del quale divenne anche amico).

Ciononostante è il pianoforte lo strumento più legato alla carriera di Beethoven e che fu per lui la maggiore fonte di ispirazione. Beethoven curò infatti con molta attenzione le trenatadue Sonate per pianoforte, che compose lungo l’arco di quasi tutta la propria carriera: dal 1795 al 1822. Venti delle trentadue sonate sono appartenenti al primo periodo, in quanto vennero composte prima del 1803 (e il primo periodo termina approssimativamente nel 1802). Interessante è notare che tutte le sonate furono pubblicate entro un anno dalla composizione.

Per il pianoforte Beethoven ebbe un’attenzione particolare anche a proposito del timbro e delle possibilità sonore e tecniche. Come farà poi anche con gli strumenti a fiato, Beethoven si interessò molto di questi aspetti. Nel caso del pianoforte, Beethoven mostrò interesse per le tecniche costruttive e per tutta la vita chiese pianoforti più simili a quelli a noi contemporanei, ovvero con maggiore estensione e potenza sonora rispetto a quelli di allora, con pedali più versatili e meccanica più pesante (più vicina, quindi, ad un nuovo pianoforte a coda che non a un clavicembalo o a una spinetta). Beethoven, nelle sue sonate, portò talvolta il pianoforte ai limiti estremi delle sue potenzialità tecniche, nell’intento di raggiungere e sostenere sonorità orchestrali. Il pianoforte contemporaneo (quello a 88 tasti per intenderci) infatti ha la stessa estensione di un’orchestra sinfonicavi.

Se Beethoven influenzò l’evoluzione tecnica del pianofortevii, anche il progresso tecnico dello strumento ebbe influenza sulla produzione del compositore. Se infatti le prime sonate di Beethoven sono ristrette nelle cinque ottave dei pianoforti del Settecento, Beethoven aumenta progressivamente l’estensione delle sue sonate, dapprima verso gli acuti e poi verso il registro grave. L’arricchimento della scrittura pianistica avvenne poi quando i fabbricanti tedeschi e viennesi (in anticipo rispetto a quelli inglesi e francesi) perfezionarono la meccanica ed estero la tastiera.

Già le prime quattro sonate per pianoforte (le tre dell’op. 2 e l’op. 7) sono ben più lunghe di quelle dei suoi predecessori, circa una volta e mezzo. Sono inoltre in quattro movimenti, come la sinfonia e il quartetto, e non in tre come le sonate classiche.


Altre opere rilevanti del primo periodo furono i quartetti per archi op. 18 (composti nel 1798-1800 e pubblicati nel 1801). Se le sonate per pianoforte possono venire considerate per certi aspetti sperimentali, non è questo il caso per i quartetti op. 18, in cui è evidente l’influsso di Haydn nello sviluppo dei motivi e nella scrittura ricca di elementei contrapppuntistici. Si presti attenzione al fatto che nel terzo periodo Beethoven mostrerà una particolare attenzione verso il contrappunto e le tecniche contrappuntistiche del Barocco, di J. S. Bach in particolare.

In questi quartetti la disposizione formale è classica, in quattro tempi secondo lo schema allegro – adagio –minuetto -. veloce (spesso una danza, piuttosto deciso), ma le forme interne ai tempi possono cambiare: troviamo per esempio movimenti finali in forma sonata, o in una forma intermedia tra quella bitematica tripartita e quella di rondò.

Nel primo periodo Beethoven compose anche la prima sifonia in Do Maggiore op.21 (completata nel 1800). Fu una delle sinfonie più eseguite, durante la vita di Beethoven. L’organico è identico a quello di Haydn e Mozart. L’aspetto nuovo dell’orchestrazione beethoveniana consiste quindi non già nel numero degli strumenti, quanto piuttosto nello sfruttamento delle risorse tecniche ed espressive di tutti gli strumenti, dei legni in particolare. Ogni strumento partecipa in ugual misura allo sviluppo del discorso musicale.


Alcune opere beethoveniane del primo periodo sono:

Per pianoforte:



  • Prime tre sonate (op. 2, Vienna 1796) (nn.1,2,3)

  • Sonata in mib M op.7, pubblicata nel 1797

  • Sonata op.10 n.1 (1798) (n.5)

  • Sonata op.13 (n.8)

  • Sonata op. 81a “degli addii” (“Les adieux”)

Per quartetto d’archi:

  • Quartetti op 18 (1798 – 1800)

  • Quartetto in sol M (op.18 n. 2)

Per violino, violoncello e pianoforte:

  • 3 trii op. 1

Per violino:

  • 3 sonate op. 12

  • Sonata per violino e pianoforte op.24 (6)

  • Sonata per violino e pianoforte op.30 n.2 (7)

Per violoncello:

  • 2 sonate op. 5

Per archi e fiati:

  • Settimino op. 20 (eseguito per la prima volta nel 1800)

Per orchestra:

  • Sinfonia no. 1 in Do M (1799)

  • Sinfonia no. 2 in Re M (1802)



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