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Arte antica e moderna


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Esempio di questo intreccio culturale caratterizzante in particolare la produzione figurativa isolana dei secoli XIV–XV, è per Bottari quello relativo al problema attributivo dei resti di un polittico raffigurante un San Paolo ed un Santo Vescovo, anteriore al Battesimo della collezione Santocanale, a suo avviso, da collocarsi «tra il polittico di Corleone (sia o no del De Vigilia) e il Battesimo Santocanale»54.

Egli ritiene che l’enigma si sarebbe potuto svelare se si fosse riusciti a decifrare l’identità della città e del santo Vescovo che ne regge il modello tra le mani: elementi fondamentali per comprendere la provenienza del manufatto. Di sicuro, a suo avviso, non si tratta di un centro siciliano; se non fosse una raffigurazione ideale, potrebbe piuttosto essere un città dell’Italia centrale; e, in tal senso, un indizio comparabile potrebbe riscontrarsi, ancora una volta, nel Battesimo Santocanale, che propone, sullo sfondo un’immagine simile, forse ancora più nordica.

Vi sono dunque delle componenti, che, come nel Battesimo, sarebbero provenienti da contesti culturali eterogenei; Bottari scorge, insieme ad elementi marchigiani, anche delle assonanze che ricordano i «mosaicisti bizantini (ma su modelli arabi) nelle decorazioni della Sala di Re Ruggero di Palermo»55, nei dirami di un albero di uno scomparto: una supposizione dunque coadiuvata da una lettura complessa del de Vigilia.

Ciò che mi preme sottolineare riguarda un altro tema, finora apparentemente sottinteso: Stefano Bottari scrive del Battesimo Santocanale come di un’opera devigiliana, ma non era di questo avviso nel 1954. Scriveva allora che nel Battesimo56 erano presenti troppi elementi eterogenei che richiamavano dipinti spagnoli, ma non solo, anche somiglianze con opere di Antonio da Fabriano, con la Croce di Piazza Armerina, di educazione provenzale, in particolare nelle figure degli Angeli, e ascendenze nordiche. Aggiunge:«di tanta complessità di cultura non è traccia nelle opere autografe del de Vigilia, e però se il Battesimo fosse veramente suo riuscirebbe cosa ben ardua inserirlo in un percorso, dal principio alla fine, ben definito»57.

Ma sono gli scritti sulla scultura meridionale a segnare, a mio avviso, la frattura con il primo tempo degli studi del Nostro e ad inaugurarne un altro.

Il primo di questi riguarda il Monumento funebre della regina Isabella d’Aragona nella Cattedrale di Cosenza58. Secondo Bottari, l’eccezionalità storica del monumento, avrebbe offuscato l’interesse storico-artistico. In effetti il monumento, ritrovato solo nel 1891, è una preziosa traccia storica perché collegato ad eventi di fondamentale importanza: la regina Isabella, non ancora incoronata, era morta di parto in seguito ad una caduta da cavallo proprio a Cosenza, durante il viaggio che l’avrebbe dovuta ricondurre in Francia, di ritorno dalla fallimentare, nonché ultima, crociata, conclusasi, tra l’altro con la morte dello stesso sovrano capetingio, Luigi IX, suocero della stessa Isabella. Oltre alle notizie storiche, Bottari aggiunge alcuni accenni sul degrado in cui versava l’opera d’arte e sulle manomissioni subite per poi affermare che, nonostante tutto: «è sempre possibile cogliere il senso raffinato della primitiva bellezza e intendere il valore e il significato che l’opera viene ad assumere tanto nelle vicende della scultura francese che in quelle dell’arte italiana»59.

Dell’opera rimane soltanto ciò che dovette appartenere all’altare: la Madonna con il Bambino al centro e ai lati Isabella e il reale consorte, nel gesto di preghiera; nelle due figure regali Bottari rileva che «appaiono al naturale e girate pressoché di tre quarti, come per chiudere in un cerchio di preghiera la loro commozione. Di qui se la figura centrale è d’impronta quasi architettonica e sembra più legata alla statuaria francese, le due laterali hanno uno svolgimento più libero e fortemente insistono sui profili […] Il volto della regina, così emerge dal velo che elegantemente l’avvolge, sembra calcato – come si desume dalle palpebre chiuse dal cavo dell’ombra – sulla maschera funebre, e ciò accresce il senso dell’intimità assorta e lontana»60.

Le composizione scultorea, sicuramente realizzata da artisti francesi, è direttamente collegata alle sculture di Saint-Denis, dove i resti della sfortunata regina furono in seguito traslati. Bottari riscontra una maggiore naturalezza nella raffigurazione cosentina di Isabella, rispetto alla quale quella di Saint-Denis manifesterebbe una «più sofferente sottigliezza […] e una anonima e generica fissità».61 Allarga quindi gli orizzonti e si pone degli importanti interrogativi su avvenimenti della Storia dell’Arte sicuramente più celebri:«si pensi all’incidenza che sculture del tipo di quella di Cosenza possono assumere nei confronti del problema della formazione di Simone Martini così misterioso» 62.

Il monumento cosentino, in effetti, è anche un prezioso documento, una testimonianza di scultura puramente francese, prima del rinnovamento culturale, in senso toscano, voluto da Roberto d’Angiò63.

Bottari pone l’accento proprio sulla tavola martiniana del Museo napoletano di Capodimonte, Il S. Ludovico da Tolosa, che manifesterebbe, a suo avviso, «il senso prezioso di un oggetto di oreficeria»64. Egli conclude la discussione approdando proprio ad un oggetto di arte “decorativa”: un reliquiario del Museo annesso alla Basilica di S. Domenico a Bologna, contenente proprio le reliquie del re di Francia Luigi IX, che presenterebbe caratteristiche simili a quelle del monumento cosentino.

Sarebbe questa una prova ulteriore che dimostrerebbe la circolazione di una matrice culturale gotica, che si preannuncia nel Meridione con i fatti cosentini, e che s’irradia nei decenni successivi nel resto d’Italia.

Bottari ripropone sulla rivista le sue argomentazioni sulla scultura inserendosi con pieno rigore metodologico nel filone di studi, sempre più scandagliato sulla scultura meridionale, con gli articoli su Nicola Pisano: il primo articolo dedicato allo scultore uscirà in un numero del 1959 di “Arte antica e moderna”, e avrà come titolo Nicola Pisano e la cultura meridionale65.

La patria ideale dello scultore, non quella anagrafica, secondo Bottari, sarebbe ravvisabile nel Meridione, un Meridione informato dei fatti di Castel del Monte, impregnato di una cultura federiciana66. E, a supporto delle tesi incentrate sul classicismo fa un paragone letterario felicissimo con Pier delle Vigne:«Nel letterato, il cursus della prosa latina, già snervato dall’antichità delle formulette, riacquista il suo respiro, riportandosi consapevolmente alle origini delle Artes dictandi con il risultato di un periodare più complesso e articolato, vicino a quello delle prose numerose della classicità»67.

Nella cultura federiciana, vi è dunque uno slancio verso il recupero di una sorta di classicità, depurata dai bizantinismi e accompagnata dall’interesse curioso ed incline ad indagare empiricamente il reale. Questo fenomeno, in poesia, avviene attraverso la scuola poetica siciliana, che si esprimerà in una lingua che si allontana dal latino e ritrova in sé stessa un contatto maggiore con il reale.

Questo linguaggio si può estendere dunque alle arti figurative, proprio perché, sulle orme di Dante, lo studioso siciliano afferma che:«ai tempi di Federico II e Manfredi, ciò che di buono vi fosse nella cultura, si diceva siciliano, che è, si sa bene, una estensione per dire “del regno.” Al di là della letteratura si può ampliare alle arti figurative»68.

La riflessione ed il parallelismo sulla lingua si intensificano maggiormente in un altro articolo che uscirà qualche anno dopo sempre sulla rivista, nel gennaio-marzo 1962, e sarà dedicato alla Deposizione di Nicola Pisano in S. Martino di Lucca. In quest’opera, che si trova proprio sul portale della chiesa lucchese, lo studioso individua un altro passaggio fondamentale nel profilo poetico dello scultore:«non già dal gotico verso la classicità, ma dalla classicità verso il gotico, o se più piace, non già dal volgare verso il latino, ma dal latino verso il volgare. La lunetta di Lucca si connette alla scultura del pulpito pisano, ma da essa risulta profondamente diversa»69.

A questo punto il confronto avverrà nel campo delle arti, con la pittura giottesca: il pulpito pisano starà alla Deposizione, come le Storie di Isacco affrescate nella Basilica di S. Francesco ad Assisi staranno alle Storie francescane della medesima chiesa.

Non tutti gli studiosi concordano nel riconoscere a Giotto le Storie di Isacco70, che comunque nascono nello stesso contesto culturale e nello stesso grande cantiere assisiate. Si contraddistinguono per il plasticismo, per un recupero dello «spazio abitabile perduto con la fine dell’arte classica». Ecco, nelle storie francescane, è invece ravvisata una verità umana più accordata alla lingua parlata, più reale:«L’impegno umano travalica il prestigio della dottrina, sicchè la forza del dramma trova in se stessa la misura della sua grandezza, del suo trasfigurarsi nel mito: il mito delle nuova realtà figurativa. Il percorso dialettico non è dalla realtà alla classicità, ma dalla classicità alla realtà. Qui, per la prima volta, Nicola si esprime in volgare, e lo fa attraverso la spiritualità gotica. Un tal passaggio prefigura quello di Giotto dal latino delle storie di Isacco, al volgare delle storie francescane»71.

È in questo passo che Bottari ci regala una delle sue pagine più interessanti. Il periodare raggiunge nella scrittura quell’ottimo compromesso tra l’ansia appassionata e l’equilibrio puntuale e limpido della scelta lessicale, nell’espressione dei passaggi.

Un passo calibrato, espressione di “metriotes”, di giusto mezzo stilistico ed espositivo che fa scorrere, come in una galleria di immagini, i tratti salienti della rivoluzione giottesca, che consiste proprio nell’abbandono di quell’aura mitica, al fine di una creazione, a livello figurativo, di una nuova lingua, parallela alla lingua parlata.

Quanto per Bottari sarebbe davvero rivoluzionario in Nicola, risiederebbe nel precedere, attraverso la scultura, sia la rivoluzione giottesca, che la riflessione sul volgare da parte di Dante, come se il «profumo della pantera» fosse stato preannunciato nell’opera dello scultore: le arti figurative, con il loro linguaggio avrebbero quindi concorso anch’esse nel riflettere una nuova sensibilità, una nuova espressione d’umanità, più reale, più sincera come il dolore che traspira dalla Deposizione lucchese.

Le riflessioni di Bottari, a questo punto, potrebbero farlo cadere nel meccanismo da lui stesso considerato sterile, ovvero quello di risolvere i problemi dell’arte facendo un rapido ricorso ai fatti culturali e sociali, da cui dipenderebbero le evoluzioni o le scelte artistiche, rischiando di reintegrare le arti, anzi, l’arte, come assoggettata ad un sistema che la privi della sua autonomia, la riduca a breve corollario, a satellite.

Lo studioso siciliano, però, aggiunge una riflessione e lo fa nel nome del linguaggio specifico della scultura: innanzitutto pratica il classico confronto stilistico, imprescindibile per il lavoro dello storico dell’arte. Il suddetto confronto mette in relazione l’opera lucchese con quella realizzata da un anonimo autore del Jubè della Cattedrale di Bourges. Osserva, infatti, che nel manufatto «le figure s’inseriscono in quadrati, cioè in schemi geometrici fondamentali, proprio secondo la trattatistica francese»72. I tratti tipici della scultura gotica vengono quindi studiati dal’interno dell’opera cercando anche di definire una collocazione cronologica:«Le sculture francesi non precedono il pulpito di Pisa o la prima parte di esso, e se non si vogliono sforzare i pochi dati cronologici di cui disponiamo, è possibile ritenere che esse vennero eseguite subito dopo il pulpito di Pisa, avanti l’Arca di San Domenico, nelle cui parti ritenute autografe sta pure sottolineata una profonda intensità d’espressione»73.

Il percorso dell’artista è dunque ricostruito, tentando il collegamento fra arti figurative e paralleli eventi della lingua e della letteratura, nel nome dei valori più alti dello spirito e non soltanto sulla base di un approccio storico-culturale.Ciò deriva sicuramente da un’impostazione filosofica dichiaratamente crociana. In quest’ottica il critico parte dall’intuizione, avvertita come motivo scatenante d’ispirazione, e in seguito la corrobora con un’analisi più empirica. Lo studioso quindi somiglia all’artista:«Si ricava che l’attività giudicatrice, che critica e riconosce il bello, s’identifica con quella che lo produce. La differenza consiste soltanto nella diversità delle circostanze, perché l’una volta si tratta di produzione e l’altra di riproduzione estetica.[…] Come si potrebbe giudicare da noi ciò che restasse estraneo? Come ciò che è prodotto da una determinata attività si potrebbe giudicare con un’attività diversa?»74.

Bottari, in quanto critico, attraversa anch’egli diverse fasi creative: nel suo scrivere d’arte coniuga i concetti di intuizione ed espressione asserendo che è l’intuizione pura, lontana da ogni elemento concettuale, a generare le sensazioni, ad esprimerle.

È un po’ come se lo studioso, in questo scritto, riproponesse all’interno del suo pensiero l’antico principio dell’ut pictura poësis, principio in vari modi non nuovo neanche per alcuni protagonisti di prim’ordine della critica d’arte italiana: Longhi e Ragghianti75. È interessante notare come questi fenomeni nascano nell’alveo della cultura crociana, come se il tentativo di riproporre l’autonomia dell’arte potesse esser reso attraverso la scelta letteraria, che consiste nel ricalcare sistematicamente nella scrittura ciò che viene espresso attraverso le arti visive.

Bottari, con gli scritti sull’arte meridionale nella prima fase della storia della rivista, ha fornito un contributo proveniente dal proprio bagaglio culturale pregresso. Così, con l’ultimo articolo su Nicola Pisano, ponendo cronologicamente la Deposizione tra il pulpito pisano e l’Arca di S. Domenico, segnala il primo allontanamento dell’artista dalle sue radici meridionali; il che in qualche modo ripropone ciò ch’egli stesso, come studioso, sta vivendo: il distacco da quelle tematiche che tanto aveva prediletto: non vi saranno più, in “Arte antica e moderna” articoli di grande rilievo firmati dal direttore Bottari, dedicati all’arte meridionale e soprattutto di pertinenza medievale.

Un po’ come l’amato Nicola Pisano, si allontanerà dai suoi orizzonti mitici per approdare, sempre più entusiasta, verso nuove scoperte, preferirà ritornarvi in altri luoghi, in monografie o in altri periodici.

Sulla rivista usciranno nuovi studi, che riguarderanno il tema della natura morta e, in particolare a Marco Ricci o Francesco Zuccarelli. Postuma uscirà invece la raccolta completa degli studi su Nicola Pisano76, come postumo sarà anche l’epilogo sulle riflessioni teoriche dal titolo Momento della critica d’arte contemporanea77. Gli studi su teoria e critica da un lato e storia dell’arte dall’altro, continueranno così ad accompagnarsi, a camminare parallelamente.



1 «[…] salendo alla cattedra bolognese nel 1957, [aveva] variato e quasi convertito d’un tratto il proprio ambito di vita, arricchendo insieme i propri interessi di ricercatore, così da trasformarsi in animatore o organizzatore vivacissimo, […]. Per sua iniziativa. […], aveva dato vita a questa Rivista, di cui aveva voluto dividere la direzione col compianto Luciano Laurenzi, e nella quale gli studi intorno all’arte del Medio Evo e dell’età moderna si affiancavano agli studi archeologici».Con queste parole nel febbraio del 1967 Carlo Volpe ricorda Bottari. Cfr. C. Volpe, In memoriam, in “Arte antica e moderna”, IX, 34 – 35 – 36, aprile / dicembre 1966.

2 Ibid. «[…] lo studioso affezionato agi impervi itinerari isolani, di cui nulla gli era rimasto ignoto, dove tanto aveva riportato alla luce e che da quelle appassionate stagioni aveva raccolto frutti preziosissimi per la storia dell’arte, siciliana in particolare, e dell’Italia meridionale in genere…».

3 Bottari lo ricorda erede della scuola archeologica bolognese «che si fregia dei nomi di Edoardo Brizio, Gherardo Gherardini e di Pericle Ducati, a cui successe nella cattedra bolognese nel 1946». Cfr. S. Bottari, In memoriam, in “Arte antica e moderna”, IX, 34 – 35 – 36, aprile / dicembre 1966.

4 Il pensiero crociano gli aveva offerto «i mezzi per superare i limiti specialistici della disciplina spostando l’accento sui problemi dello stile, del linguaggio, della creazione della personalità artistica».Cfr. G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, Utet, Torino 1995, p. 252. Cfr. R. Bianchi Bandinelli, Maestro delle imprese di Traiano, Electa, Milano 2003. Per Ranuccio Bianchi Bandinelli Cfr. M. Barbanera, Ranuccio Bianchi Bandinelli. Biografia ed epistolario di un gran archeologo, Skira, Milano 2003.

5 Un altro ricordo di Bottari sarà tracciato da Luciano Anceschi. Cfr. L. Anceschi, Ricordo, appendice in S. Bottari, Schegge di varia umanità: scritti di arte, cultura e politica apparsi su Il Mondo, La Nazione e la Sicilia negli anni dal 1965 al 1961, prefazione di G. Spadolini, Maggioli, Rimini 1988.

6 Sul ruolo delle riviste cfr: Riviste d’arte fra Ottocento ed Età contemporanea. Forme,modelli, funzioni, Atti del convegno, Torino 3-5 ottobre 2002, a cura di G.C. Sciolla, Skira Milano, 2003;

7 Sul riordino da parte di Mauceri delle stampe e disegni confluite nella Pinacoteca bolognese L. Ciancabilla scrive:«Sarà quello un momento fondamentale per l’attività di Mauceri a Bologna, una svolta: da quella circostanza nascerà il suo interesse verso la grafica che lo porterà nel volgere di pochi anni a risultati storico-critici e museografici di alto livello». Cfr. L. Ciancabilla, Mauceri bolognese, in Enrico Mauceri (1869-1966) storico dell’arte tra connoisserhip e conservazione, Atti del convegno, Palermo 27–29 settembre 2007, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2009, pp. 219 – 220; Cfr. M. G. Aurigemma, Mauceri oltre la Sicilia, ivi pp. 171-181.

8 Ancora su Mauceri cfr. S. Bottari, Ricordo di Mauceri, in “Il Resto del Carlino”, 5 luglio 1966, p. 3.

9 Cfr. S. Bottari, Introduzione a Caravaggio, in “Nuova Italia, 20 luglio-20 agosto 1935, I, pp. 95- 97; II, pp. 30-47; Id., Jacopo della Quercia, in “Emporium”, ottobre 1938; Id., Leonardo, Istituto italiano d’Arti grafiche, Bergamo 1943; Id., Il cenacolo di Leonardo, Istituto italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1943.

10 Cfr. G. Carandente, Casimir Malevic e il “suprematismo”, in “Arte antica e moderna”, II, 6, aprile-giugno 1959, pp. 172-173.

11 Cfr. M. Calvesi, Mosaici moderni di Ravenna, in “Arte antica e moderna”, II, 5, gennaio-marzo 1959, pp. 469-470.

12 Cfr. R. Pallucchini, Attualità di Morandi, in “Arte antica e moderna”, I, 1, gennaio-marzo 1958, pp. 57-64; Id., Inediti di pittura veneta del Seicento, in “Arte antica e moderna”, II, 5, gennaio-marzo 1959, pp. 97-102.

13 Cfr. A. Ottani, Un’opera giovanile di Francesco da Bibbiena, in “Arte antica e moderna”, V, 18, aprile- giugno 1962, p. 200 e sgg.

14 Cfr. E. Battisti, Postille documentarie su artisti italiani a Madrid e sulla collezione Maratta, in “Arte antica e moderna”, III, 9, 1960, pp. 77-88.

15 L’annata 1961 della rivista sarà interamente dedicata a Roberto Longhi, in occasione del suo settantesimo compleanno. In questa occasione, verranno riuniti nella rivista i contributi dei più eminenti critici d’arte, da Cesare Brandi a Ferdinando Bologna, da Federico Zeri a Francesco Arcangeli e Giuseppe Fiocco, per citarne solo alcuni.

16 S. Bottari, Dedica a Roberto Longhi, in “Arte antica e moderna”, IV, 8, gennaio-marzo 1961.

17 Di Longhi si ricorda: «la modalità di stesura dei suoi testi critici insieme alla peculiarità della sua scrittura nella traduzione letteraria dei fatti figurativi studiati. I suoi scritti sono infatti costruiti a due piani, come una pala d’altare[…]. Al primo corrisponde il testo, l’analisi dei fatti stilistici, la traduzione letteraria delle ricerche figurative. Al secondo l’apparato filologico e documentario, affidato alle note o alle appendici. Il testo non viene mai modificato, né corretto. È un fatto conchiuso, definitivo.» G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, p. 157.

18 S. Bottari, Dedica a Roberto Longhi, in “Arte antica e moderna”, IV, 8, gennaio-marzo 1961.

19 Cfr. S. Bottari, La critica figurativa e l’estetica moderna, Laterza, Bari 1935.

20 S. Bottari, Discussioni e Recensioni. L’Enciclopedia dell’Arte, in “Arte antica e moderna”, III, n. 10, 1960, p. 322.

21 Ibid., 323.

22 S. Bottari, Ricordo di Bernard Berenson, in “Arte antica e moderna”, II, 8, ottobre-dicembre 1959, pp. 467-469.

23 Ivi, p. 468.

24 Ibid.

25 Ibid..

26 Ibid.

27 «Atene e Firenze: ecco i due miti di Berenson! Questa difesa appassionata e continua non ha i limiti angusti dell’accademismo, ma è dominata e orientata da un interesse profondamente etico: la difesa della libertà, della personalità umana, della ragione». S. Bottari, Momento della critica d’arte contemporanea, D’Anna, Messina-Firenze 1968, p. 204.

28 S. Bottari, La Mostra di Michelangelo a Roma, in “Arte antica e moderna”, Notiziario, VII, 25, 1964, II.

29 Ibid.

30 Ibid.

31 Ibid.

32 In realtà Bottari si pronuncerà altre volte nella rivista riguardo ai temi di arte “meridionale”, che riflettono però quegli interessi dello studioso sul tema della natura morta, argomento che, nel periodico, prenderà piede intorno al 1963. Cfr. S. Bottari, Una traccia per Luca Forte e il primo tempo della natura morta a Napoli, in “Arte antica e moderna”, VI, 23, 1963, pp. 242 – 243; Id., Fede Galizia pittrice, 1578 – 1630, in “Arte antica e moderna”, VI, 24, 1963, p. 314 e sgg; Id., Una ipotesi per Aniello Falcone, IX, 34, 1966, p. 142 e sgg. Per altri contributi di Bottari sulla natura morta: Cfr. La natura morta italiana, catalogo della mostra, Napoli – Zurigo – Rotterdam ottobre 1964 – marzo 1965, Alfieri & Lacroix, Milano 1964. La nature morte italienne / Stefano Bottari, 1964 in “L’oeil”, 1964, 117, 2–9, 67; S. Bottari,
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