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Studio sul tema "Santo Graal" Un'approfondita analisi storico-letteraria


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L'abbazia di Glastonbury

Nel Medio Evo quest'abbazia fu uno dei centri più importanti della cultura occidentale. San Dunstan vi ha introdotto la regola benedettina fin dal secolo X; i crociati hanno consegnato ai monaci alcuni testi portati dalla Palestina. L'influenza dell'abbazia sullo spirito celtico si era estesa inoltre con l'invasione dell'Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore, il quale diede ai monaci di Glastonbury due priori normanni: Thurstin prima, e Herlewin poi. Importante è stato il contributo di quest'abbazia nel conservare le nostalgie disseminate nel folklore bretone al fine di integrarle nella nascente storia d'Inghilterra. Ed è vero che i monaci sono spinti a farlo anche per ragioni politiche: il re d'Inghilterra, Enrico II Plantageneto si trova ad essere, almeno per i suoi possedimenti francesi, vassallo del Re di Parigi, il cui prestigio è fra l'altro senza pari a causa della tradizione religiosa. Sul piano spirituale chi potrebbe uguagliare Enrico II, sovrano di un regno che possiede la Santa Ampolla a Reims, alcuni santi protettori della Francia e del Regno, celebri santuari, sfolgoranti abbazie a Cluny e a Gateaux? Per dare all'Inghilterra un lustro che non possiede ancora, gli abati di Glastonbury entrano senza esitare nel gioco del loro re. Grazie alla loro opera si forgiano e si rafforzano quelle leggende che daranno agli abitanti una specie di fierezza nazionale. Ed è così che i monaci scoprono la tomba di Re Arthur e di sua moglie Ginevra. La leggenda celtica pretendeva che il sovrano fosse stato trasferito in un'isola misteriosa, Avallon, e che quivi vivesse aspettando di tornare trionfalmente alla guida del suo regno. Ma ecco che i ricercatori di Glastonbury ne portano alla luce la tomba e trono dove? A Glastonburv. Ad Enrico II questa scoperta offre due vantaggi: i Celti non potranno più accarezzare il loro sogno di rivalsa sui loro vincitori, poiché ormai è provato che il loro re non era un eroe leggendario, ma un uomo che, essendo polvere, alla polvere è tornato. In secondo luogo se la sua tomba è stata scoperta a Glastonbury, come non pensare che questa abbazia è il faro della vera fede, la più alta protezione contro le superstizioni e le eresie? I monaci d'altra parte non si sarebbero limitati a questo. Bisognava ancora dimostrare che l'Inghilterra, non meno della Francia, era stata creata dalla mano di Dio. E ancora a Glastonbury nasce la leggenda che, dopo la morte di Cristo, Giuseppe d'Arimatea, il quale ha avuto in consegna il vaso sacro contenente il sangue del martire del Golgota, è andato a rifugiarsi proprio lì. Qui ancora l'operazione comporta un duplice vantaggio: il Graal dei Celti è assimilato dal cristianesimo: la Francia possedeva la Santa Ampolla, l'Inghilterra possiede invece il vaso sacro di Giuseppe d'Arimatea. Robert de Boron trova così la materia della sua opera. D'altra parte, questa presenza di Giuseppe d'Arimatea in Gran Bretagna non si spiega se non ci si sforza di gettare un ponte fra l'Occidente cristiano e la Terra Santa. Certamente questo legame tangibile esiste: sono le Crociate. Esaltati dalla loro avventura, affascinati dalla liberazione della tomba di Cristo, alla quale hanno votato la vita, i Crociati, almeno quelli di questo periodo, sono tornati pieni di racconti straordinari, ma tutti riguardanti, alla fine, episodi della vita di Gesù. Chrètien de Troyes e Robert de Boron hanno operato una trasposizione del più importante di questi episodi: la Comunione.
L'opera di von Eschenbach

Ad un altro narratore del Graal toccherà il compito di spingersi oltre, introducendo nella letteratura occidentale le prime influenze arabe. Nel 120 grazie al più grande poeta dell'epoca, Wolfram von Eschenbach compare in Germania un Parzival. Il poema, la cui espressione poetica possiede una leggerezza e una bellezza straordinarie, è probabilmente una delle vette di quella che l'Occidente conobbe come civiltà cortese e cavalleresca. Infatti l'eroe di Wolfram von Eschenbach incarna proprio questa civiltà: la sua è la storia di un lento e faticoso cammino verso una realizzazione totale nella fede cristiana, concessa agli ideali di una cavalleria completamente votata al culto della bellezza e dell'onore. Eletto dal Signore, Parzival si sente così definire da Kundrie, la messaggera del Graal: Tu hai conquistato la pace dell'anima e hai atteso la pace del corpo con un fedele desiderio. Poiché Parzival ha sempre vissuto sotto il vincolo di una duplice fedeltà: a Dio e a sua moglie Kundwiramus. Il poema tedesco si conclude con l'esaltazione dello scopo raggiunto: Chi termina la propria vita in modo che, per colpa del corpo, Dio non perda i suoi diritti sull'anima, e malgrado questo riesca a conservare il favore del mondo e dei suoi pari: ecco una persona ricca dei frutti di uno sforzo ardente. Ma, per giungere a tale realizzazione, occorre l'aiuto della grazia divina, che attraverso il Graal è distribuita a chi ne è degno. Per il poeta tedesco il Graal è una pietra, dotata delle virtù più straordinarie. Ha tre tipi di funzioni: Fornisce nutrimento e bevande a coloro che la custodiscono e ridona loro bellezza e gioventù. Soltanto chi conosce la purezza morale può sollevarla e trasportarla. Ogni anno il potere del Graal è come rinnovato; quel giorno una colomba vola a deporre su di esso un'ostia meravigliosamente luminosa. Solo gli eletti di Dio beneficiano dei doni meravigliosi che il Graal distribuisce. Il Re del Graal è scelto da Dio stesso, e chiunque non sia in pace con il Re del Cielo e della Terra non può pretendere di diventarlo. Parzival non sfugge a questa regola; riesce infatti a raggiungere il Graal solo dopo aver compreso le parole dell'eremita Trevrizent: E' per gli uomini che Cristo è morto sulla croce; allora, sconvolto da questo atto d'amore, Parzival si abbandona a Dio, ponendo irrevocabilmente fine ad un lungo periodo di errori e di peccati.



Perceval e Parzival: un'analisi comparata

Fra la concezione del Graal in Chrètien de Troyes e in Wolfram von Eschenbach esistono profonde differenze; per il poeta della Champagne il Graal risplende di pietre preziose ed è custodito da angeli neutrali, quelli cioè che non hanno partecipato alla rivolta di Lucifero contro Dio. Avevano agito per rinunzia? No, erano stati mossi dall'orgoglio, credendo che la sola intelligenza avrebbe permesso loro di distinguere il Bene dal Male. Il Graal è promesso a coloro che si inchinano alla volontà di Dio, sapendo che tutto discende da Lui, ma che non rinunciano per questo ad affermare la loro personalità. Il Perceval del poeta francese non ha niente di umile. Ben diverso il Parzival del poeta tedesco. Nella sua opera il Graal è solo una pietra grigia, umile. Ed essenzialmente è l'umiltà che si richiede a coloro che vogliono conquistarla. Divenuto re del Graal, Parzival è accolto da Trevrizent con queste parole: Hai conquistato il sommo bene! Ora volgiti verso l'umiltà. In fin dei conti, l'opera del poeta tedesco non sarebbe che l'adattamento impregnato di sentimenti cristiani di una leggenda già molto nota e molto sfruttata, se un vero enigma non rimanesse aperto: in quale modo Wolfram von Eschenbach ha potuto avere dei contatti con la filosofia araba? Il poeta, in realtà, non pretende di aver composto un'opera originale. Egli dice: Il ben noto maestro Kyot trovò a Toledo, in mezzo ai manoscritti abbandonati, la materia di questa avventura, scritta in caratteri arabi. Prima dovette imparare a decifrare la scrittura (ma non cercò di iniziarsi alla magia nera); fu un gran vantaggio che egli avesse ricevuto il battesimo, perché altrimenti questa storia sarebbe rimasta sconosciuta. Non esiste infatti nessun pagano abbastanza saggio da poterci rivelare la natura del Graal e le sue segrete virtù. Un pagano (arabo), un certo Flegetanis, era molto famoso per il suo sapere. E' lui che scrisse l'avventura del Graal. Il pagano Flegetanis era in grado di predire il declino di ogni stella e il momento del suo ritorno. Esaminando le costellazioni scoprì misteri profondi di cui parlava tremando. Si trattava, diceva, di un oggetto che si chiama il Graal. Ne aveva letto chiaramente il nome nelle stelle. Un gruppo di angeli l'aveva deposto sulla terra e poi era volato via, al di là delle stelle. Da allora solo degli uomini diventati cristiani con il battesimo, puri come angeli, avrebbero dovuto prenderne cura. Il poeta tedesco conclude: Così scrisse Flegetanis. Kyot, il saggio, cercò nei libri latini dove mai potesse vivere un popolo abbastanza puro e incline a una vita di rinunce per diventare custode del Graal. Lesse le cronache dei regni di Francia, di Bretagna e d'Irlanda, finché, in Anjou, trovò quel che cercava. Chi era dunque Kyot, il saggio maestro? In Provenza non si è trovato nessuno scrittore, né trovatore che portasse questo nome. Ma si può ragionevolmente supporre che sia lo pseudonimo scelto da uno di quei poeti girovaghi che fiorivano in quell'epoca e che raccoglievano e utilizzavano tanto le leggende quanto gli eventi di cui erano testimoni o che erano loro raccontati. Poco importa, del resto, che Kyot sia esistito o no o che in realtà si chiamasse Guyot; l'essenziale è sapere se in Provenza era presente una storia del Graal, notevolmente diversa da quella che circolava nell'Europa settentrionale. La Provenza del XII secolo si estende fino a Tolosa, su di un territorio a lungo rimasto sotto il dominio della Spagna araba e che è stato fortemente penetrato dalla civiltà dei conquistatori. Per molto tempo si è creduto che questa civiltà fosse superiore a quella dell'Occidente. Non erano forse gli Arabi bravissimi specialisti in materia di stoffe, di armi, di cavalli, per non parlare della loro capacità nel costruire fortezze e torri? D'altra parte, spesso ripetevano questi soufis, racconti brevi di avventure favolose. Anche dopo essere stati cacciati, gli Arabi dovevano continuare a manifestare in Provenza la loro influenza culturale, influenza che passava attraverso i maestri ebrei già presenti nel paese, che si recavano spesso in Spagna per consultare i pensatori e i saggi mussulmani. Anche gli Arabi avevano una specie di leggenda del Graal, tra i cui protagonisti c'è quel Flegetanis che è poi citato da Wolfram von Eschenbach. Flegetanis infatti è la traduzione del titolo di un libro arabo, Felek-Thani (la seconda sfera). In quest'opera, come in quella celebre di Mohvddin Ihn Arabi: I Catoni della sapienza, si parla di sette pietre che rappresentano le sette possibili forme di saggezza. Queste pietre possono scendere fra gli uomini per risuonare come un richiamo. La Pietra Suprema, quella della saggezza universale, si incarna in colui che l'Islam considera: il marchio della santità degli inviati e dei profeti, il Cristo. Dopo la morte di Cristo questa pietra è stata affidata alla custodia di cavalieri celesti. Ecco il materiale di cui il poeta tedesco si servirà per scrivere il suo Parzival; beninteso egli si riferirà in alcune parti alla leggenda celtica e impregnerà la sua opera di dottrina cristiana, ma il punto di partenza è senza dubbio l'opera attribuita a Kyot, e di quest'opera, in particolare, il suo carattere esotico. Per cogliere ciò che Parzival deve all'Islam, bisogna richiamare i simboli più importanti utilizzati da Wolfram von Eschenbach. Innanzitutto Montsalvage, il castello dove il Graal è custodito da cavalieri puri come angeli. Quest'idea del castello, quasi irreale, appartiene certamente al fondo comune della leggenda: è la Thulè celtica, il Meru indù, la Luz ebraica. Nel mondo islamico è la montagna Qaf, che si erge su di un'isola che non si può raggiungere né per terra, né per mare. Il simbolismo di questa immagine è chiaro! Qaf è il luogo di passaggio fra il mondo materiale e il mondo spirituale una specie di frontiera fra il visibile e l'invisibile. Mohyddin Ihn Arabi pretende che quest'isola sia stata fatta con gli avanzi dell'argilla usata per modellare Adamo. Infatti è il paradiso terrestre, testimone della decadenza umana, cui si aspira tuttavia come oggetto di riconquista. Come un Mussulmano può sperare di raggiungere un giorno le rive dal Qaf, così l'occidentale può sognare il momento in cui, a forza di ascesa e di saggezza, sarà invitato ad entrare nel castello dove il Graal lo attende nel suo splendore immortale. E in più di un tratto Montsalvage ricorda il Qaf, il castello non è l'unica trasposizione che si nota nel poema tedesco. Rivolgendosi a Parzival, e parlandogli di un uccello favoloso, la Fenice, Trevrizent gli dice: Per la virtù di questa pietra (il Graal), la Fenice si consuma e diventa cenere, ma da queste ceneri rinasce la vita; grazie a questa pietra la Fenice compie la sua metamorfosi per ricomparire più bella che mai, in tutto il suo splendore. Ora, la Fenice è un simbolo tipico della mitologia araba. Tutte le leggende del Medio Oriente affermano che l'uccello rosso non si posa mai sulla terra, se non sulla vetta del monte Qaf. Raccontando la storia di questo uccello favoloso Erodoto osserva che la sua patria è l'Arabia, che ogni 100 anni vola ad Eliopoli, la città del sole, e qui seppellisce allora le spoglie di suo padre, le spoglie da cui è nato. Nel poema di Wolfram von Eschenbach è chiaramente la colomba che impersona, ma in senso cristiano, il ruolo che nella mitologia araba spetta alla Fenice. Ogni anno, il venerdì santo, torna a deporre un'ostia sul Graal. Poi scompare. Ma sia che si tratti dell'uccello rosso, sia della colomba, in fondo il simbolismo è identico e, d'altra parte, è un simbolismo comune a tutte le leggende indo-europee: si tratta della lotta fra la luce e le tenebre; della vittoria, sempre da rinnovare, della primavera sull'inverno e, sul piano spirituale, del trionfo della resurrezione sulla morte. Infine, ed è il punto essenziale, c'è il Graal stesso descritto nel suo aspetto esteriore come una pietra stretta e umile. La frattura fra Wolfram von Eschenbach e i suoi predecessori Chrètien de Troyes e Robert de Boron è dunque totale. Certo il poeta tedesco attribuirà a questa pietra alcune particolari virtù fino a quel momento legate al vaso sacro, immagine del ciborio, ma parla pur sempre di una pietra. E questa concezione minerale, deriva direttamente dalla teologia araba. Sembra che questa, a sua volta, prendesse la nozione di pietra sacra dalla filosofia indù la quale nelle sue opere principali, parla del Cintamani, il gioiello del desiderio. Meglio ancora: certe pitture di ispirazione buddista rappresentano una vergine che porta il gioiello del desiderio, quello che dispensa gioia. Ora, nell'opera tedesca esiste una certa Repanse di Schoye, portatrice del Graal. Per Wolfram von Eschenbach, il Graal è stato portato sulla terra da angeli. Principio eucaristico, esso rafforza la fede degli eletti; fonte di ogni bene, assicura agli uomini il pane e il vino e li protegge dalle malattie e dalla morte. Un giorno la pietra sacra tornerà alle Indie (dove allora si poneva il paradiso terrestre). Che cos'è nella religione islamica la pietra della Kaaba, mano destra di Dio sulla terra? E' stata portata da Jibrailn, l'angelo Gabriele. Guarisce da ogni male coloro che la toccano, purché abbiano il cuore puro. E l'ultimo giorno parlerà per dare testimonianza. Se dunque le analogie fra il racconto del poeta tedesco e la teologia araba presentano somiglianze sbalorditive, ne esiste un'altra, ancora più diretta. Secondo Wolfram von Eschenbach, il Graal è innanzitutto il simbolo della compassione e dell'umiltà. Qual è l'errore iniziale commesso da Parzival mentre assiste al passaggio del Graal? Non ha chiesto al re ferito: Qual è il male di cui soffri? Così ha peccato per difetto di umiltà, perché la sorte dei suoi simili non lo preoccupa; ha sbagliato per mancanza di compassione, curandosi poco della sorte di un malato. Occorreranno anni di prove perché Parzival rimedi a questa colpa e, perché possa di nuovo aspirare al possesso del Graal, dovrà vivere amare esperienze prima di giungere a realizzarsi totalmente. L'insegnamento più importante che l'eremita Trevrizent dà a Parzifal riguarda l'umiltà. Poiché raggiunge il Bene supremo solo colui che lo cerca conscio della propria debolezza, e il cui spirito, sapendosi vacillante, ha continuamente bisogno dell'aiuto di Dio. Questo comando di umiltà non è del resto specifico della teologia araba; lo si ritrova negli insegnamenti dello Yoga tibetano, così come anche in certe opere persiane ciascuna delle quali contiene, con diverse sfumature, la formula seguente: Va' a dire ad Alessandro che invano egli cerca il Paradiso; i suoi sforzi saranno assolutamente senza frutto perché la via del Paradiso è la via dell'umiltà, e lui non ne sa nulla. Pare proprio che l'umiltà descritta come la via ideale per raggiungere l'assoluto appartenga al tesoro comune delle leggende indo-europee. L'essere impregnata di arabo, carattere essenziale dell'opera di Wolfram von Eschenbach, è percepibile anche in un altro tema. Nei poemi di Chrètien de Troyes e di Robert de Boron la lancia intravista da Perceval nella processione del Graal è senza dubbio quella di cui il centurione Longino si servì per trafiggere il fianco di Cristo crocifisso. Non possiede nessun potere specifico, se non quello di ricordare il sacrificio del Golgota. Ben diversa la concezione di Wolfram von Eschenbach poiché la lancia appare nella sua opera come lo strumento del castigo divino; è quella infatti che ha ferito il Re-Pescatore privandolo della sua natura di uomo; con quel medesimo colpo l'intero regno del sovrano è stato colpito dalla sventura. Per di più la ferita che essa provoca si risveglia o si placa per influsso delle stelle. Invano si cura il re con i più diversi medicamenti: Dio impedisce che abbiano effetto. Soltanto la lancia, dotata di poteri soprannaturali, può guarire la ferita del sovrano col suo solo contatto. Un'interpretazione strettamente cristiana non basta a spiegare questo simbolismo; anche in questo caso bisogna ricorrere alle leggende orientali e in particolare a quelle nate nel territorio fra il Tigri e l'Eufrate. Secondo le formule misteriose dei narratori e dei maghi si ritiene che la lancia sia come l'asse del mondo, un asse che, con la sua natura verticale, esprime anche il carattere intangibile della giustizia; chi si allontana dunque da questo asse è punito ad opera dell'asse stesso. E' quello che ha fatto il Re, e per questo motivo è stato colpito dalla lancia. Insomma, la ferita reale è un marchio di decadenza. E se il dolore della piaga varia al ritmo delle stagioni, è perché si tratta di una specie di espiazione cosmica: l'inverno si identifica col Male, la primavera e l'estate col Bene. D'altra parte colui che ha ferito il Re è un pagano, Anfortas. E' nato nel paese d'Etfinise, che ‚ quello dove il Tigri esce dal paradiso. Questo pagano era certo che, con il suo solo valore, si sarebbe assicurato la conquista del Graal. Il suo nome era impresso sulla lancia. E, dice Wolfram von Eschenbach, da nient'altro mosso che dalla forza del Graal, attraversava terre e mari. Come una tale leggenda sia stata riferita da Kyot, l'autore provenzale citato da Wolfram von Escheinbach, è un enigma non facilmente risolvibile, perché Kyot abitava in quella Provenza che, forse ancor più delle altre regioni francesi, viveva nella luce delle Crociate, particolarmente della prima, la quale dovette la sua risonanza spirituale alla scoperta della lancia ad opera dei Crociati. Ora, l'unico valore che la santa Lancia, così la si chiamava, poteva avere, per il popolo profondamente cristiano che abitava la Francia medievale, stava nell'aver contribuito alla morte di Cristo. La storia narrata dal poeta tedesco non ha dunque niente a che vedere con le idee allora comunemente accettate in Occidente. Vero è che il Parzival messo in scena da Wolfram von Eschenbach non è un Bretone, e nemmeno un Tedesco. E' figlio di Gahmuret e di Herzeloyde ed è nato a Toledo, uno dei centri più importanti della civiltà araba. Certo il poeta non descrive esattamente la città, ne offre piuttosto un'immagine poetico-mistica, perché la città è piena di luci e gli alberi sono adorni di candele. L'autore tedesco parla anche di Baldac, in cui gli studiosi hanno riconosciuto Bagdad. A colpo sicuro, uno dei personaggi più strani del Parzival è Feirfitz. Feirfitz è un pagano; ma ricco di tante qualità e di animo così nobile che Re Arthur l'ha ammesso a sedere alla Tavola Rotonda, con gli stessi diritti dei cavalieri cristiani. Egli ha libero accesso perfino al castello di Montsalvage, dove si custodisce il Graal. Dopo mille tribolazioni egli sposerà la portatrice del Graal, Repanse de Schoye, insieme con la quale ripartirà per le Indie. E' vero che prima del matrimonio Feirhtz avrà ricevuto il battesimo. Strana avventura! Privilegi singolari concessi a un pagano! Su questo punto Wolfram von Eschenbach propone delle idee rivoluzionarie. Perché il fatto che Feirhtz sia stato ammesso al castello di Montsalvage prima del battesimo, che altro significa se non che l'Islam è un cammino valido quanto il Cristianesimo per giungere alla scoperta del sommo Bene? Tutt'al più il battesimo, condizione indispensabile alla sua unione con la vergine portatrice del Graal, è un modo di imporre, sulle credenze e i riti pagani, almeno la supremazia del rito, se non delle credenze cristiane. Feirhtz d'altronde è il simbolo stesso della natura umana: il poeta tedesco lo descrive col viso metà nero e metà bianco, che è un modo per significare che il Bene e il Male si dividono la nostra anima. Convertito al cristianesimo, sposo di una cristiana, in definitiva Feirhtz è il personaggio più compiuto, ma anche più misterioso, del Parzival. Più che la sintesi, rappresenta la vera e propria fusione fra due fedi e due civiltà: l'occidentale e l'araba. Insomma, per Wolfram von Eschenbach, l'Islam e il Cristianesimo non sono che due aspetti di una medesima opera divina. Nell'epoca in cui il poeta tedesco scrive, una tale concezione stupisce assai poco. Le Crociate e l'occupazione della Spagna hanno originato fruttuosi scambi di pensiero. Si trova perfino una sorta di snobismo arabo in Occidente: si fanno venire le mussole da Mossul, i taffetas dalla Persia, i veli preziosi dall'Egitto, le armi da Damasco. Le chiese sono impreziosite dai tappeti del Caucaso e del Turkestan. Non è forse vero che Riccardo Cuor di Leone ha concepito di dare in moglie la propria sorella a Saladino, il più intrepido avversario delle Crociate? Federico II, imperatore di Germania e il re di Castiglia Alfonso il Saggio, non vivono circondati da maghi e da sapienti arabi? La loro corte, il fasto che accompagna anche la cerimonia meno importante, non ricordano più i palazzi orientali che i rozzi costumi dei castelli in Europa? E nel 1245 chi mai si stupirà di vedere Alberto il Grande, uno dei più grandi filosofi del Medio Evo, insegnare alla Sorbona vestito secondo la moda saracena? Per un istante‚ l'influenza araba nel regno di Francia sarà tale da minacciare perfino i fondamenti del pensiero cristiano. Nel 1252 papa Innocenzo IV vi dovrà inviare in gran fretta San Tommaso d'Aquino, per discutere contro Sigieri di Brabante, un monaco discepolo del massimo pensatore islamico Averroe, il quale aveva conquistato completamente professori e studenti della Sorbona. La civiltà araba non ha conquistato solo la letteratura dell'epoca, ma anche il cuore delle signore. Poiché dai paesi al di là del mare giunge quell'amore cortese che farà sì che lo storico contemporaneo Charles Seignobos dica ai suoi studenti: Signori, l'amore è un'invenzione del XII secolo. Quando si leggono le opere di Chrètien de Troyes o di Robert de Boron vi si trovano molto più resoconti di battaglie e imprese di cavalieri che lamenti amorosi. Con Wolfram von Eschenbach il tono cambia. Lanciato alla conquista del mistico Graal, Parzival non trascura per questo di fare una fiorita corte a colei che diventerà sua moglie: Kundwiramus. Tramite i trovatori provenzali il poeta tedesco viene a conoscenza della civiltà amorosa, che si è insediata nell'Andalusia araba, da Saragozza a Malaga, da Valenza a Lisbona, una civiltà in cui le donne occupano il primo posto. A Cordova la principessa Omayade Ouallada raccoglie intorno a sé un vero e proprio salotto letterario (che prefigura le corti d'amore dell'Occidente cristiano); la figlia e la moglie di Mutamid, emiro di Siviglia, figurano nei primi posti dei grandi poeti del loro tempo. Questi poemi hanno un enorme successo e i signori cristiani se li disputano, così come si disputano coloro che li scrivono o li recitano. Quando don Sancho d'Aragona sposa sua figlia con Raymondo di Catalogna, le nozze hanno luogo nel palazzo del signore arabo che governa Saragozza e sono il pretesto per un vero torneo di poeti e di cantori. Lo stesso succede, con molto più fasto e magnificenza, quando Alfonso VI di Castiglia prende in moglie Mora Zaida, figliastra del sultano di Siviglia. Quali esse siano, da Chrètien de Troyes a Wolfram von Eschenbach, le fonti di ispirazione, celtiche nel primo, arabe nel secondo, ciò che appare, nell'essenza di queste opere, è una ben precisa concezione della cavalleria e della vita mistica. Per il poeta della Champagne e per il suo successore della Franca-Contea, le avventure di Perceval sono senza dubbio delle opere di circostanza. Filippo di Fiandra, protettore di Chrètien de Troyes, era stato incaricato dell'educazione del principe reale Filippo Augusto, di cui era il padrino. Per questo in Perceval si può cogliere qualche rassomiglianza fra il delfino e il cavaliere lanciato alla ricerca del Graal. Entrambi sono giovanissimi, cresciuti in campagna; entrambi hanno un padre infermo (Luigi VII, padre di Filippo Augusto, era gravemente ammalato, tanto che aveva dovuto cedere la guida del regno a Filippo di Fiandra). Perceval si perde spesso nella Foresta Ospitale. Ora, due giorni prima della sua incoronazione, Filippo Augusto si era perso durante una partita a caccia; una notte e un giorno aveva errato nella foresta, prima che un carbonaio lo riconducesse sul giusto cammino. A quell'epoca la cosa fece un gran rumore. Ora, è un carbonaio anche colui che indica a Perceval il cammino per recarsi al castello del Re Pescatore. Il Perceval di Chrètien de Troyes è certamente una specie di trattato di cavalleria, ma soltanto abbozzato. Soltanto nei continuatori del poeta della Champagne, e in particolare in quegli anonimi che hanno narrato le avventure di un altro leggendario eroe celtico, Lancelot l'ideale della cavalleria va poco a poco precisandosi. La Dama del Lago dice a Lancelot: I nobili ottengono privilegi come ricompensa del loro valore. La classe sociale altro non è che la consacrazione del valore morale. Lo scopo ultimo del cavaliere errante, dedito a mille avventure, è di elevarsi al di sopra della media degli uomini. Questo concetto corrisponde a una precisa situazione storica: senza fortuna, il figlio cadetto delle famiglie nobili lottava nei tornei con la speranza di sfruttare i vinti, oppure offre i suoi servigi ai nobili possidenti o parte per le Crociate; talora arriva a saccheggiare. Certo, Lancelot è un modello di virtù, si precipita a soccorrere le fanciulle tenute prigioniere, elimina incanti malefici che opprimono alcune contrade, vince giganti spaventosi. Si vota anche al servizio di una donna, perché è diventato l'amante di Ginevra, la moglie di Re Arthur (il quale, a sua volta, concede i suoi favori all'incantatrice Camilla).
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