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Studio sul tema "Santo Graal" Un'approfondita analisi storico-letteraria


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I cavalieri del Graal

L'immagine del cavaliere, come emerge da questi racconti, è un'immagine rude che rispecchia le condizioni della nobiltà all'inizio del XII secolo. Ma ecco che compare un nuovo tipo di eroe che continuerà tutto questo: si chiama Galaad, ed è proprio il figlio di Lancelot. Alle imprese guerriere ed amorose egli contrapporrà carità, pazienza e castità. E con la pratica di queste virtù riuscirà a raggiungere la felicità somma: l'iniziazione al Graal. La ricerca mistica sostituisce combattimenti e avventure amorose. A giudizio degli studiosi, una parte dei romanzi della Tavola Rotonda, posteriori a Chrètien de Troyes e a Robert de Boron, sono stati scritti da religiosi che volevano reagire alla licenziosità che contraddistingue la loro epoca. Romanzi di cavalleria, certo, perché si adeguano al gusto dell'epoca; ma oltre a divertire, occorre anche insegnare. Per questo, ad ogni svolta delle avventure di Galaad si incontra un pio eremita che conduce una lotta senza quartiere contro la lussuria ed esalta il valore della castità. Sotto queste posizioni è facile indovinare la severa autorità di San Bernardo, fondatore dell'ordine di Gateaux. Alla fine del XII secolo l'ordine conterà 1800 abbazie ed estenderà il suo dominio spirituale su tre degli ordini maggiori della cavalleria: i Templari, i Calatrava e gli Alcantara. San Bernardo ha raggiunto il suo scopo; scrivendo di Lancelot i monaci rispediscono nelle tenebre eterne un cavaliere troppo avido di piaceri terreni, mentre a Galaad concedono la suprema ricompensa, il possesso del Graal, cioè la felicità di Dio. E' una seconda nascita della leggenda del Graal o il suo crepuscolo? La morte di Re Arthur, indicata intorno al 1225, determina comunque la fine del ciclo del Graal. Si tratta dell'ultimo episodio delle avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda. Re Arthur assiste a una vera e propria tragedia, che il mago Merlino gli aveva predetto: i suoi compagni sono morti; sua moglie l'ha tradito con il suo miglior amico, Lancelot; i suoi sudditi si ribellano; suo figlio infine lo ferisce a morte. Arthur paga assai cara la sua ascesa spirituale. Certo, compare anche un personaggio pagano: la Fortuna crudele, che è quella che abbatte Arthur. Ma in realtà, gli autori discepoli di san Benedetto si preoccupano poco di questa intrusione, e così come hanno inserito le leggende celtiche in una cornice cristiana egualmente assimilano la Fortuna alla volontà di Dio. Poco importa in effetti quale sia lo strumento di cui Dio si serve per castigare i peccatori e per ricompensare i giusti; quello che conta è la vittoria definitiva dell'Onnipotente. Iniziata nelle profondità fantasiose dell'anima celtica, la leggenda del Graal si compie, in Occidente, con il trionfo dell'ideale cristiano. Tuttavia questo trionfo spirituale non è senza contropartita, perché l'ordine cavalleresco trionfante, quello in cui San Bernardo vede l'archetipo della società cristiana, non è impermeabile alle leggende pagane che circondano la storia del Graal. Quest'ordine è quello dei Templari. Non è per un semplice gioco poetico che Wolfram von Eschenbach identifica, nel Parzival, l'ordine del Tempio con quello del Graal. L'eremita Trevrizent in effetti spiega all'eroe del poema: A Montsalvage, dove si custodisce il Graal, hanno la loro abitazione dei cavalieri valorosi. Sono i Templari, essi cavalcano spesso lontano, in cerca di avventure; vivono di una Pietra, la cui essenza è la purezza assoluta; la si chiama lapsit exillis... presso i cavalieri del Tempio è possibile vedere più di un cuore afflitto: coloro che Titurel (un cavaliere) aveva più d'una volta salvato da terribili prove, quando il suo braccio difendeva cavallerescamente il Graal con loro. Qual è la funzione che il poeta tedesco assegna ai Templari? Mantenere e custodire il Graal sulla terra, e rendere possibile l'effettivo regno di Dio sulla terra dandogli dei sovrani eletti da lui. E' questa la descrizione di una società teocratica retta da un gruppo scelto di iniziati (nel senso mistico del termine) investiti sia del potere spirituale che di quello temporale. Ma tale funzione era stata l'ideale dei signori del Sacro Romano Impero germanico; i Templari non fanno che riprenderne l'eredità. San Bernardo in persona definisce la loro duplice missione: l'ordine è la milizia di Dio, e suoi membri sono i ministri di Cristo. Tuttavia, per il fondatore dell'ordine di Cìteaux, la città dei Templari non è di questo mondo, è la Gerusalemme celeste: Essi abitano davvero il tempio di Gerusalemme, e Benché esso non sia, come edificio, lo stesso antichissimo e veneratissimo Tempio di Salomone, il loro non è certo di gloria inferiore... La bellezza del primo era data da elementi corruttibili; quella dei secondi è la bellezza della Grazia e del culto pio di coloro che la abitano. Non corrisponde forse questa descrizione a quella del castello del Graal, come l'hanno visto non solo i chierici che hanno scritto il Lancelot, ma anche Wolfram von Eschenbach? Vero è che l'ordine dei Templari è anzitutto un ordine simbolico. I suoi membri portano un mantello bianco: E' per distinguersi dalla massa della gente perduta; e papa Innocenzo III afferma che coloro che hanno abbandonato la vita tenebrosa per l'esempio dei bianchi abiti riconoscono di essersi riconciliati con il loro creatore. I santuari costruiti dai Templari presentano tutti la stessa struttura: una piazza centrale di forma rotonda da cui si dipartono delle absidi a raggiera. Questa è la disposizione che si attribuisce al santo sepolcro, ma corrisponde anche alla descrizione del centro del mondo che si trova nelle teologie orientali. Il Gran Maestro dell'ordine è eletto da dodici membri, a immagine della comunità degli apostoli, ed è assistito da due fratelli cavalieri. Si raffigura così il principio della Santa Trinità. Quanto allo stemma dell'ordine esso comprende due cavalieri sulla stessa cavalcatura. In ogni tempo il cavallo è stato considerato il veicolo simbolico dei viaggi fra i mondi, e fu una giumenta, El Boracq, che trasportò Maometto nei suoi viaggio, e su di essa aveva preso posto anche l'angelo Gabriele, compagno di strada del profeta. In Europa l'ordine è onnipotente. Come sovrano si considera superiore ai principi; eletto dai cavalieri, il Gran Maestro non dipende che da Roma, e d'altra parte in modo abbastanza vago. I confessori dell'ordine anch'essi dipendono solo dal papa e sono esonerati da qualunque obbligo di fedeltà nei confronti dei vescovi. Che nessuno, ordina papa Innocenzo III, chierico o laico, osi esigere dal Maestro o dai fratelli della fede omaggi, giuramenti e altre garanzie in uso in questo secolo. Simili privilegi comportano un potere fantastico. I Templari intervengono nella lotta per il trono d'Inghilterra nel 1153, a proposito del conflitto fra Enrico II Plantageneta e l'arcivescovo di Canterbury Thomas Beckett; si rifiutano di sostenere Amaury di Gerusalemme contro il sultano d'Egitto; sono ambasciatori di Innocenzo III presso i signori arabi. L'attività del Tempio in Terra santa è d'altra parte all'origine di tutta la sua potenza. E proprio qui nacquero i rapporti ambigui fra il Tempio e l'Islam. Il ruolo dei Templari nello stabilire stretti rapporti di cordialità con il mondo arabo è stato essenziale. L'emiro Usama, ambasciatore del visir di Damasco, così descrive il calore di questi rapporti: "Quando visitai Gerusalemme entrai nella moschea Al-Aqsa occupata dai miei amici Templari. Di fianco a questa c'era una piccola moschea che i Franchi avevano trasformato in una chiesa. I Templari mi assegnarono questa moschea per recitarvi le mie preghiere. Un giorno, mentre ero immerso nella preghiera, un Franco balzò su di me, mi afferrò e mi girò il viso verso l'oriente dicendo: Ecco come si prega! Un gruppo di Templari si precipitò su di lui e, fattolo prigioniero, lo cacciò. Poi mi dissero: E' uno straniero appena arrivato nel paese dei Franchi; non ha mai visto pregare nessuno che non fosse voltato verso l'oriente." In Terra Santa i Gran Maestri dell'ordine vivono come principi; la maggior parte di essi impara a parlare arabo e accoglie regolarmente gli emiri alla propria tavola. Tali rapporti avranno strane conseguenze: quando gli Arabi cominceranno ad essere perseguitati, numerosi Templari penseranno di passare ai Saraceni. E viceversa alcuni mussulmani sono stati armati cavalieri del Tempio. Così fu del celebre sultano Saladino, posto solennemente sul trono nel 1187 da Ugo di Tabaria, mentre suo fratello Melik lo fu per opera di Riccardo Cuor di Leone in persona. D'altra parte Melik aveva mandato a Riccardo due cavalli, quando questi aveva avuto il suo ucciso durante un combattimento contro gli Arabi. I rapporti tra i Templari e i pagani sono di ordine spirituale, oltre che politico. Il Tempio mantiene in tal modo rapporti assai stretti con alcune sette mussulmane, in particolare con la setta degli Assassini (dall'arabo hassas, che significa guardiano). Come il Tempio, quest'ordine ha il titolo di custode della Terra Santa, i suoi membri vestono come i Templari, col mantello bianco e rosso. I rapporti instaurati sono tanto cordiali che i Templari permettono agli Assassini di costruire delle fortezze nel Libano. D'altra parte la dottrina esoterica dell'ordine arabo doveva ripercuotersi profondamente sul Tempio. Da molto tempo, in effetti, anche gli Arabi avevano la loro ricerca del Graal. Nella filosofia del Medio Oriente si parlava di ricerca dell’Imam, o saggezza suprema, che si ottiene con un sforzo di riflessione personale ma grazie all'aiuto di Dio. Inoltre le preghiere islamiche più antiche confondono la ricerca dell'Imam con la ricerca della pietra celeste di cui, più tardi, parlerà il provenzale Kyot. Si capisce di qui come il tedesco Wolfram von Eschenbach abbia potuto senza difficoltà raffigurare il Graal come una pietra, poiché oltre al testo di Kyot il poeta tedesco possedeva un'altra fonte: i Templari. E' probabile che, stabilendosi in Terra Santa, costoro non siano stati colpiti in un primo momento dall'ampiezza e dalla profondità della teologia araba, ma siano stati invece completamente sedotti da un'altra scoperta: nel Medio Oriente esistevano ordini cavallereschi molto prima che la cavalleria nascesse in Europa. Questi ordini non si fondavano sul valore militare, ma sull'abnegazione e sull'umiltà. D'altra parte i cavalieri arabi non erano solamente investiti da principi temporali ma da autorità spirituali. La cerimonia di investitura infatti è praticamente identica a quella che più tardi sarà descritta nei romanzi cavallereschi europei e ancora più simile a quella in uso presso i Templari: colui che dà l'investitura porta un mantello speciale (il che vale anche per il maestro dell'ordine) e, dopo la cerimonia, si beve in una coppa di cavalleria. Come meravigliarsi dunque che questi riti arabi abbiano più o meno conquistato non solo i semplici cavalieri che partecipavano alle Crociate, ma gli stessi Templari? L'ordine del Tempio è stato fondato alla fine del secolo XI. Ora, questo periodo è caratterizzato da una specie di apogeo dei rapporti fra Crociati e Arabi; lo sottolineano i rapporti cordiali che, dopo feroci combattimenti, si intratterranno fra Riccardo Cuor di Leone e Saladino. Insomma, due universi apparentemente impermeabili, come l'Islam e la Cristianità, erano di fatto perfettamente permeabili l'uno all'altro. Di epoca in epoca, si è posto un enigma, rimasto quasi insoluto fino ai nostri giorni: il segreto dei Templari. Taluni hanno voluto vedere in questo segreto semplicemente un tesoro favoloso nascosto in un luogo sconosciuto, ma sembra che in realtà gli si debba attribuire una natura strettamente spirituale. In alcuni testi medievali, del resto molto oscuri, si parla di un amico di Dio, che parlava a Dio quando voleva, e che era il protettore dell'ordine. Si tratta insomma di un'autorità superiore a quella del maestro del Tempio in persona. Ora, anche parecchi testi arabi accennano ad una potenza chiamata Re del Mondo. Sembra che il segreto dei Templari sia tutto qui: in questa specie di contaminazione che si è operata fra le due dottrine, cristiana e islamica, all'ombra delle Crociate. E questa contaminazione non ha nulla di stupefacente. All'epoca delle Crociate la dottrina cristiana è ancora lungi dall'essere definita nei minimi dettagli. Ne sono fissate solo le linee principali, che costituiscono una specie di struttura all'interno della quale possono farsi strada mille interpretazioni. Esiste in particolare un concetto su cui Cristiani e Arabi potevano facilmente accordarsi: si tratta della Terra Santa. Che le Crociate si siano svolte per motivi che non riguardavano tutti e soltanto l'ossessione di riconquistare la tomba di Cristo è ormai certo. Ma riassumerli nell'espressione: sete di conquiste e di guerre, più o meno mascherati sotto il pretesto di restituire alla cristianità la Tomba di Gesù crocifisso, vorrebbe dire snaturare alquanto i moventi che hanno spinto degli uomini ad abbandonare tutto per recarsi in Palestina. Infatti, questa tomba era un'immagine mitica, tanto quanto una concreta realtà. Il Sepolcro significava anche, e forse soprattutto, la città spirituale; raggiungerlo, con il coraggio mostrato nei combattimenti (ne è un esempio Goffredo di Buglione) o con un desiderio di santità (come San Luigi), vuol dire guadagnarsi la sicurezza del paradiso, scoprire finalmente il Graal. E in questa aspirazione non esistono differenze fondamentali tra il Cristianesimo e l'Islamismo. La filosofia araba e la religione islamica parlano a più riprese della Terra celeste, ossia della città spirituale. Inoltre questa specie di fusione dell'Islamismo e del cristianesimo in una fede comune riferita a una città spirituale che si riconosce centro del mondo trova il suo coronamento nella comune fede in Abramo che raccoglie in sé il fondamento delle tre grandi religioni monoteiste: cristianesimo, islamismo ed ebraismo. I Templari pagheranno cara la loro amicizia con quelli che allora si chiamavano i pagani. Filippo il Bello li manderà al rogo per la continua provocazione che apertamente lanciavano contro il potere del sovrano (il quale voleva in particolare impedire loro di battere moneta, per essere l'unico padrone delle finanze) ma anche accusandoli di eresia. Dal processo dei Templari infatti ha inizio la fondamentale preclusione della Chiesa cristiana nei confronti dell'islamismo. Questa collusione intellettuale e spirituale dei Templari con l'Islam troverà in un certo senso il suo compimento con la strana storia del Prete Giovanni. Nel Titurel (dal nome del primo Re del Graal, nelle leggende celtiche) che è una specie di continuazione di Parsifal, Wolfram von Eschenbach fa sì che finalmente il Graal si fermi nel regno del Prete Giovanni. La leggenda colloca questo regno nelle Indie, e colui che lo guida, il Prete Giovanni, è uno di quei personaggi che hanno appassionato la cristianità per quasi trecento anni. Al termine dell'antichità, il cristianesimo ha posto in Asia delle radici abbastanza profonde ma, di fronte ad un'offensiva massiccia delle religioni autoctone, è costretto a retrocedere notevolmente, anche se conserva importanti piazzeforti in Persia, in Armenia e in Asia Minore. Nel VII secolo un cristiano della Siria, discepolo di Nestor, chiamato dall'imperatore Tai-Tsung, si era stabilito in Cina, e qui, per duecento anni, la dottrina nestoriana si sarebbe sviluppata in tutta libertà. Tanto che solo dopo molte tribolazioni Pechino avrà un arcivescovo cristiano: Giovanni di Montecorvino. Nel 1146 i Kara-Kitai, una popolazione turca dell'Asia, guidata da un capo cristiano, Yi-Lu-Ta-Chi, sconfigge i mussulmani sotto le mura di Samarcanda. Questa notizia apre le più grandi speranze ai Crociati della Terra Santa, i quali considerano la battaglia di Samarcanda un segno di Dio e ritengono molto vicino il tempo in cui l'intero universo confesserà la sua fede cristiana. La personalità di Yi-Lu-Ta-Chi, unita alle voci che circolavano sulla presenza a Pechino dell'arcivescovo Giovanni di Montecorvino, fecero nascere la leggenda del Prete Giovanni, signore di un regno favoloso situato non si sa dove fra la Cina e l'India. Nel 1165 Manuel I, imperatore di Bisanzio, riceve una lettera del Prete Giovanni, il quale così descrive il suo regno: E' il paese degli elefanti, dei dromedari dei cammelli, del leoni bianchi e rossi, dei vampiri, degli uomini con le corna e con un occhio solo, dei cicIopi e delle donne-ciclopi, e dell'uccello. Ogni giorno mangiano alla nostra tavola trecento persone, questa tavola è di prezioso smeraldo e la sostengono quattro colonne di ametista. Cento anni più tardi il Prete Giovanni ricompare ma questa volta corre voce che il suo regno sia in Abissinia, che a quei tempi è chiamata India africana. In realtà, derivata forse da fatti storici, qual è il significato della leggenda del Prete Giovanni? Semplicemente la convinzione che esista una specie di paradiso favoloso sul piano terrestre (presenza dei mostri). D'altronde, ponendo il regno di Re Giovanni in Africa esprimono a modo loro le compenetrazioni che ci sono riportate fra i pensieri dell'Oriente e del mondo arabo. Facendo del Re Giovanni un nipote di Parzival, attribuendo il regno favoloso come ultimo asilo del Graal, facendo scortare dai Templari la pietra sacra durante il viaggio, Wolfram von Eschenbach ha realizzato una straordinaria sintesi fra le aspirazioni dell'Islam e quelle della cristianità. In quel lontano paese, inaccessibile al piede umano sorge un castello che ha nome Montsalvatore come è espresso in versi da Richard Wagner, nel Lohengrin, Montsalvat con il rifugio del Graal. E il lontano paese qual è? L'autore della Tetralogia che, a dire il vero, non si picca di esattezza storica, precisa semplicemente (per chi metterà in scena il Parsifal) che si tratta di una contrada montuosa al Nord della Spagna gotica. E' bastato questo perché l'immaginazione si scatenasse.

Il castello del Graal

Non è forse un riaccendere e ravvivare la leggenda il tentare di scoprire in quale luogo al mondo è potuto esistere il favoloso castello descritto nei poemi di Chrètien de Troyes, di Robert de Boron, o di Wolfram von Eschenbach? Da parte sua Wagner non ha fatto altro che seguire l'ammirazione che la sua epoca aveva per tutto ciò che era spagnolo. Il viaggiatore, infiammato dalla leggenda del Graal e affascinato dagli incanti wagneriani, come avrebbe potuto non identificare Montsalvat con Montserrat, la fortezza divenuta abbazia che domina la Catalogna dall'alto del picco di 1241 metri su cui è costruita? Tale è il successo della tesi di Richard Wagner, che la prima guida Baedeker sulla Spagna fa propria. Questa tesi aveva ricevuto una notevole garanzia da Goethe il quale, nel 1784, aveva abbozzato a grandi linee un romanzo rimasto incompiuto: I Segreti. Goethe non aveva mai visitato Montserrat, ma grazie a racconti degli amici viaggiatori, e soprattutto al proprio genio, l'autore dei Segreti aveva battezzato la fortezza spagnola un ideale Montsalvat. Ideale Montsalvat... Goethe non fornisce la chiave dell'enigma, ma le sue ragioni. Chrètien de Troyes descrive il castello del Graal in modo molto approssimativo: è semplicemente una bella fortezza, con una torre quadrata, in una valle ridente. Nel Parzival di Wolfram von Eschenbach il termine Montsalvage sembra derivato direttamente dall'espressione latina mons selvaticus, la montagna coperta di boschi. Ora, in Germania esiste il castello di Wildenberg, dove il poeta ha vissuto a lungo, che corrisponde abbastanza bene al Montsalvage idealizzato: dal di fuori è una fortezza massiccia e severa, ma l'interno ha l'opulenza di un'abitazione saracena. La parte principale è una sala da pranzo che contiene comodamente quattrocento convitati. In altre opere, dovute a poeti più o meno sconosciuti, il castello del Graal è una copia fedele della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, costruita dagli uomini durante il giorno e dagli angeli durante la notte. Il soffitto della stanza centrale è uno zaffiro solo le finestre sono costituite da un'unica pietra rara di natura sconosciuta ai mortali, tutte le pareti sono rivestite d'oro. Fra tutti i luoghi dove avrebbe potuto erigersi la mole del castello, quello che solleva le controversie più appassionate è Montsegur, perché per suo tramite si giunge all'eresia catara. E si pone l'interrogativo: i Catari hanno creduto al Graal? Hanno pensato che il possedere la fonte della verità li rendesse autenticamente cristiani, ed è forse questa certezza che spiega lo sconvolgente coraggio con cui hanno affrontato il rogo? Cinquant'anni fa, in una grotta di Vicedessos (Ariège) è venuta alla luce una pittura rupestre del XIII secolo. Questo dipinto raffigura una spada, una lancia da cui cadono gocce di sangue e delle stelle. Ora, nel Parzifal di Wolfram von Eschenbach si parla continuamente di stelle, di lancia e di spada, ingredienti indispensabili della leggenda del Graal. Ariège si trova in pieno territorio cataro.

L'eresia catara

Le concezioni dei catari sono più che una semplice deviazione dal cristianesimo; in realtà rappresentano una sintesi di dottrine e di concezioni molto varie. Sembra che la più evidente fra queste dottrine sia il buddismo, che ha incontestabilmente avuto un'influenza in Europa, fino nel sud della Francia. Non è in questa regione che si è scoperta una testa di Buddha, anteriore alla nostra éra? I sacerdoti catari, al loro apparire, indosseranno degli abiti molto simili a quelli dei bonzi. Quanto al loro insegnamento dottrinale, in più d'un tratto assomiglia alla lezione di Buddha: pessimismo nei confronti del mondo terrestre, ascetismo come strumento per vincere gli appetiti umani, sorgenti del Male; evasione dell'anima verso il regno dello Spirito. I catari pensano di attingere l'essenza del loro insegnamento alle fonti stesse della Bibbia. A loro avviso il mondo, in quanto malvagio, non può essere stato creato da Dio. Dio ha creato semplicemente i principi del mondo, degli esseri e delle cose; è stato Lucifero, un angelo ribelle, a modellare la terra degli uomini, così come i nostri corpi. Per questo l'uomo è un abisso di contraddizioni: fra il suo desiderio di essere una creatura di Dio e l'essere continuamente tormentato da Lucifero che gli infligge mille tentazioni e lo attira verso il peccato. Solo contemplando il cielo questi astronomi appassionati che sono i catari scoprono la Patria delle anime finalmente libere. Nella distinzione posta dai catari fra i Puri e il resto dell'umanità si ritrova il modo di classificare i mortali di cui si servivano i poeti che hanno evocato la ricerca del Graal: chi rispetta alcune regole semplici senza pretendere di giungere alle supreme conquiste dello Spirito; chi pratica l'austerità, ma non per questo appartiene al regno degli Eletti. I Perfetti, i quali con una vita di privazioni e di meditazione diventano i veri compagni di Dio, essi soltanto hanno il diritto di rimettere i peccati ai loro simili che si confessano dei propri errori. I Perfetti sono così sicuri della loro fede, così certi di essere destinati all'eterna felicità, che hanno il diritto di suicidarsi. Prove lunghe e difficili per camminare sulla strada che conduce verso Dio, rifiuto di tutti i beni terrestri, ivi compreso l'amore e il matrimonio; che cos'è questo se non la ricerca del Graal, ma tradotta nei termini di un cristianesimo giunto a una suprema esaltazione e a una rinuncia totale? Giacché come nel Parzifal, la redenzione dell'uomo si ottiene solo nel dolore che purifica; solo la perfezione permette di entrare nel regno dei cieli. I disegni che adornano le grotte del Sabarthez rivelano i legami esistenti fra la religione catara e i poemi del Graal. Vi si trovano: il pescatore, che è certo il simbolo della parola di Cristo: Io farò di voi dei pescatori di uomini, ma che nel Graal diventa il Re-Pescatore, colui che scopre Perceval, il cavaliere che deve partire alla ricerca del Vaso sacro o della pietra dagli innumerevoli poteri; il ponte, che nessuno può attraversare se non è invitato a farlo. Infatti il ponte levatoio che conduce al castello si alza bruscamente davanti a Perceval, quando costui si accinge a passarlo senza esservi invitato; il castello, posto su una montagna, circondato da foreste fittissime che inghiottono il viaggiatore privo di saggezza. Il castello, come nell'avventura di Perceval, è il simbolo della più elevata dimora dello Spirito; lo scrigno sull'altare, che deve suggerire l'idea di un oggetto sacro rinchiuso in un involucro materiale. Come non pensare al Graal, vaso o pietra che sia, il quale esprime anch'esso la presenza dello Spirito fra gli uomini? Presso i catari esiste tutto un simbolismo delle pietre (come nel Parzifal di Wolfram von Eschenbach): la Gerusalemme celeste non è costruita con materiali tangibili, ma ha lo splendore di una pietra preziosa, di una pietra di diaspro cristallino; la città in cui Dio regna sembra un limpido cristallo. I Perfetti proclamano che la supremazia dello Spirito è rappresentata da una pietra caduta dal cielo, che illumina il mondo e lo consola (è pressappoco la tesi di Wolfram von Eschenbach). Non mancherà nemmeno, nella cosmogonia catara, il classico uccello che, come nei poemi del Graal, simboleggia il legame fuggitivo che unisce il mondo visibile con il mondo invisibile. Per i catari quest'uccello è la colomba. Essa, dopo che gli Albigesi saranno stati sterminati dall'esercito regio appoggiato dall'onnipotente autorità del papa, lascerà questa terra e, simbolo dello Spirito, salirà nuovamente al cielo, abbandonando un universo corruttibile, consacrato alla sventura e alla sofferenza. I catari sono morti, persuasi di aver scoperto la Verità e la Vita, convinti di essere stati i veri, gli unici cavalieri ad aver scoperto il Graal. Così il Graal e la sua ricerca hanno illuminato gli spiriti dalle leggende più misteriose alla severa religione dei catari. Perché questa invincibile attrazione? Non solo perché il Graal realizza la più straordinaria sintesi dei miti che occupano il sottofondo dell'anima umana, ma anche perché si trova nel punto di confluenza di quelle correnti magiche che in una parola si possono definire esoteriche.

Il misticismo del Graal

Il romanzo del Graal, dalle premesse, che consistono nella leggenda di Re Arthur, fino alla forma più compiuta, rappresentata dal Parzifal di Wolfram von Eschenbach, costituisce di fatto una specie di memoria collettiva dell'umanità. Vi si ritrova tutto: dall'avvenimento storico, come le sventure dei Bretoni, fino alla fantastica cavalcata degli Arabi in Occidente. Ma, al di là dei fatti storici, abbelliti o più o meno taciuti quando evocano le disgrazie di un popolo, appare evidente il bisogno fondamentale dell'uomo di conferire una coerenza profonda agli avvenimenti di cui è l'attore, il testimone o la vittima. Questo desiderio di conoscere il perché e il come delle cose ha originato quelle molteplici associazioni, sette o ordini che, lungo tutto il corso della storia, hanno preteso di apparire come gruppi privilegiati, dotati di un potere magico, ed essi soli in grado di accedere alla Verità. Questi privilegiati sono gli iniziati. Che cosa cercano gli iniziati? Qualunque sia il paese cui appartengono il loro scopo è identico: penetrare nel mistero della conoscenza di Dio, partecipare della natura divina. Due vie conducono a questo fine: il misticismo (come lo intenderanno ad esempio San Giovanni della Croce e Santa Teresa d'Avila), che è un immenso sforzo di conoscenza diretta di Dio, oppure l'uso di uno strumento nel cammino che conduce alla scoperta della Verità Assoluta. Il Graal è precisamente uno di questi strumenti. In definitiva il Graal pone proprio il problema della conoscenza, ed è questo il motivo per cui poeti e filosofi ne hanno fatto un oggetto sacro. Sembra che questa consacrazione sia antica come il mondo. La si ritrova alle origini stesse dell'umanità. E' così che le popolazioni che adoravano il fuoco avevano stabilito un intimo rapporto, quasi religioso, fra il recipiente che contiene i cibi, il fuoco che permette di cuocerli, il grasso che si getta sulla fiamma per ravvivarla o, più esattamente, per farla rinascere. Così è nato, in questo campo particolare, il concetto di sacro. Il fuoco diventa il simbolo. principale: dapprima si tratta del fuoco materiale, indispensabile alla vita quotidiana poi per estensione, della fiamma interiore che è il simbolo della vita dello Spirito alla ricerca della Verità. Egualmente a poco a poco il recipiente che contiene i cibi non è più considerato semplicemente un oggetto, ma esso partecipa delle virtù di ciò che contiene, cioè di tutto ciò che è necessario alla vita umana. Il cristianesimo assimila e trasforma questi sensi fondamentali alla luce di una dottrina che, potente e splendida qual è, ha facilmente la meglio su alcuni miti mal legati l'uno all'altro. Il Graal diventa il piatto di cui Cristo si serve la sera del Giovedì Santo, o ancora il vaso dove è raccolto il sangue del Crocifisso del Golgota. In entrambi i casi il contenente partecipa del carattere sacro del contenuto. Il dogma della Transustanziazione infatti, fissato nel 1215 dal Concilio Laterano, al di là della sua natura religiosa, esprime il desiderio di fornire un'immagine semplice e precisa del mistero. Si tratta di esprimere sul piano sentimentale l'ascesa dell'uomo verso Dio (ascesa che gli é permessa dall'Eucaristia) e di suggerire il grandissimo potere di Dio, che può incarnarsi sotto la specie del pane e del vino. E' una vera e propria iniziazione al mistero fondamentale del cristianesimo, non più riservata a qualche privilegiato come in alcune sette, ma offerta a tutti, per poco che siano mondi dai loro peccati. Nella prospettiva cristiana l'ostia, in definitiva, è il Graal, perché rappresenta il corpo insanguinato di Cristo morto sulla croce per riscattare gli uomini, perché è il nutrimento che dà la vita eterna, è il segno tangibile dell'amore divino, è l'incarnazione della spirito, è, finalmente, l'incarnazione della storia del mondo, una storia contenuta tutta intera nei limiti rappresentati dall'Incarnazione, dalla Redenzione e dalla Comunione. Infine, la cristianizzazione del mito del Graal fornisce un'altra risposta all'interrogativo dell'uomo: come salvarsi? I primi racconti del Graal, provenienti dai Celti, non risolvono affatto questo problema; tutt'al più indicano, e in modo confuso, quali sono le chiavi per sfuggire alle miserie della condizione carnale. E anche in questo caso le chiavi appartengono solo a qualche iniziato. Inoltre sia la sottomissione della carne all'anima che la devozione alla Donna rappresentano degli strumenti, non dei fini. Il cristianesimo offre per la prima volta un'altra chiave, l'unica valida d'altra parte: è la sottomissione dell'anima allo Spirito divino. Perché questo Graal, che ne è un effetto, permette all'uomo, che dopo la caduta è dilaniato tra le aspirazioni spirituali e gli appetiti materiali, di ritrovare se stesso tutto intero nella luce divina. Per coronare questa costruzione, il Graal si identifica con la Grazia, che permette di salvare anche chi non lo merita. Che cos'è l'ingenuità di Perceval di cui parla Chrètien de Troyes, se non il terreno sul quale potrà agire la Provvidenza? Perché anche l'ignoranza deriva da Dio, ma l'Onnipotente fa scorrere la sua infinita bontà su coloro che vagano nelle tenebre dell'errore e del disconoscimento. L'amore discende da Dio e a Lui risale. In questo modo il ciclo si chiude, con l'avvento del cristianesimo, una dottrina solidamente costruita ha preso il posto, nella ricerca dell'Assoluto, dei desideri e dei sogni del Graal pagano. Questo trionfo del cristianesimo tuttavia non resiste in modo irrevocabile all'usura del tempo, né agli assalti delle nuove idee. Il primo attacco si verifica fra il XIV e il XVII secolo, ossia nel periodo in cui, con l'alchimia, la scienza moderna muove i primi passi. Non si tratta più di cavalieri che percorrono le foreste popolate da mostri, raggiungendo i castelli non si sa dove. Ai cavalieri si sostituiscono medici e maghi. Il castello del Graal è diventato un laboratorio. Ma ciò che si cerca non cambia: si tratta di trovare il modo per giungere alla saggezza suprema. Questo modo ormai si chiama pietra filosofale o elisir. Esso non deve nulla a Dio, tutto alla scienza degli uomini. Gli alchimisti si spingono anche più lontano: riabilitano Lucifero quest'angelo decaduto che, secondo l'esempio del vecchio Faust, essi invocano più volentieri del nome di Dio. La provetta, luogo dove i metalli si trasformano magicamente, ha preso il posto dell'antico vaso sacro contenente il sangue di Cristo. Perceval vagava per degli anni alla ricerca della verità. Gli alchimisti affermano che per scoprire la pietra filosofale occorrono tre, cinque o sette anni. E uno di questi ricercatori dice: Chi è in grado di sublimare filosoficamente la pietra, a giusto, titolo si merita il nome di filosofo, perché conosce il fuoco dei saggi che è l'unico strumento che possa operare questa sublimazione. Insomma l'avventura spirituale della cavalleria cristiana si è laicizzata.

Il Graal degli alchimisti

Il nuovo Graal, quello degli alchimisti, si chiama Aludel, ed è posto su un fornello di nome Athanor. L'Aludel è detto anche l'occhio filosofico e deve essere fatto, affermano coloro che lo usano, di un buon vetro di Lorena, lavorato in ovale o in tondo, chiaro e spesso. Bisogna che sia ermeticamente chiuso. Attraverso la complicata combinazione di nuove sostanze si tenta di ottenere l'oro, simbolo di un potere che non ha nulla a che fare con quello annunciato dai monaci medievali. Su queste operazioni strettamente materiali, sui minuziosi dosaggi di elementi diversi si innesta tutta una filosofia, si sarebbe tentati di dire una filosofia dell'orgoglio umano. Nell'Aludel si svolge l'azione dell'alchimia, la separazione cioè della materia grezza dal principio attivo che è il simbolo dello spirito. Si tratta poi di fonderli di nuovo con il procedimento che ha il nome di nozze chimiche. Da questa fusione nasce il mercurio, considerato un materiale ermafrodita perché è completo, autosufficiente. Quale ebbrezza manipolare un simile materiale solido e liquido nello stesso tempo! E gli alchimisti, identificando gli esperimenti che svolgono nei loro laboratori con una vera e propria messa, si avviano sulla strada del sacrilegio. Non è più Dio il signore dell'universo, né Cristo che si incarica della salvezza degli uomini, bensì coloro che padroneggiano la materia, la scindono e ottengono nuovi corpi: lo spirito dell'uomo può tutto. Le mille avventure, belliche o amorose, di Perceval e Lancelot, sono ormai morte. Lo spirito umano, in primo piano, è invitato a un'avventura affascinante: cogliere le forze misteriose celate nella materia e metterle al servizio del potere dell'individuo umano. Ma come tracciare un limite tra la tecnica e la magia, dal momento che queste forze misteriose altro non sono se non una manifestazione, al livello più basso, dello Spirito che compenetra tutto l'universo? E come farebbe lo spirito umano a non sognare formule misteriose, note ai soli iniziati, che gli permettano, partendo da certi elementi, di combinare la materia secondo la sua volontà fino a creare quei nuovi corpi che garantiranno all'uomo un infinito dominio? Non è più il Verbo di Dio a creare le cose, poiché le parole zampillano da sole dalla bocca dei mortali. Questa presenza universale dello Spirito sbocca naturalmente in una specie di panteismo di cui, nel Rinascimento, Rabelais sarà il cantore geniale. L'autore del Gargantua ha scritto in realtà una specie di Graal, la cui ricerca è un misto di serio e di buffo. Rabelais evoca il Pantagruelione, una strana sostanza che ha la capacità di guarire i mali dello spirito così come le infermità fisiche. E' il simbolo del nutrimento universale, quello stesso contenuto nel vaso sacro dei cavalieri. Che cos'è la Divina Bottiglia se non il Graal di Rabelais, poiché da essa si può bere il vino della verità? Illuminati dalla nobile lanterna, Pantagruel e i suoi compagni giungono all'isola tanto desiderata, un'isola che ricorda moltissimo quella di cui si tratta nei racconti del Graal, quando parlano della dimora perfetta circondata dalle correnti dell'oceano. Qui Pantagruel e i suoi amici scoprono l'Abbondanza, che assomiglia ai paesi della gioventù delle leggende celtiche. Un tempio sotterraneo riporta sul frontone questa formula: Nel vino la verità. E non è sacrilego vedervi un richiamo, forse un po' irrispettoso, alla parola di Cristo: Questo è il mio sangue. Io sono la Verità e la Vita. In questo tempio si trova anche la Lampada Meravigliosa: Su di esso era poggiato un vaso di cristallo; aveva la forma di un cocomero o di un vaso da notte, da cui usciva una gran quantità di liquido infuocato. Come non si può fissare il sole, così era difficile guardare a lungo e con fermezza questa lampada. Al centro della fantastica Fontana si erge un calice trasparente a forma di fiore, da cui emerge un rubino grosso come un uovo di struzzo. Come Pantagruel, i suoi compagni vogliono fissare il calice, ma il suo splendore è tale che per poco non perdono la vista. Come non sottolineare l'analogia tra questa storia e quella di re Mordain, uno degli eroi dei racconti celtici, rimasto cieco per aver guardato all'interno del Graal con l'anima in stato di peccato? Il modo con cui la fontana fantastica lascia scorrere la sua acqua è particolarmente strano: l'acqua scorre attraverso tre tubi posti ai vertici di un triangolo equilatero e formanti una specie di spirale, in modo tale che gli zampilli si dividono in cinque strati mobili luminosissimi, da cui nasce un'armonia che si diffonde fino al mare di questo mondo. Questa fonte è complicata come un labirinto, labirinto caro agli alchimisti (come è evidente dal complicato sistema di tubi che congiunge i loro alambicchi) che rappresenta per loro il vagabondaggio, la difficile ricerca della verità delle cose. Pantagruel e coloro che lo accompagnano assaggiano l'acqua della fontana, e ogni bevitore le attribuisce il sapore del vino che ha sempre sognato. Lo stesso accadeva nelle celtiche leggende del Graal: al passaggio del corteo che accompagnava il vaso sacro, la tavola del castello dell'avventura, quella del re ferito, si copriva immediatamente dei cibi più svariati, e ogni convitato, purché fosse degno di partecipare al mistero che si stava svolgendo, trovava a portata di mano tutti i cibi che desiderava. Non era questa la natura della manna, mandata da Jehovah agli Ebrei nel deserto, la quale a detta delle Scritture mutava sapore secondo la volontà di chi la mangiava? Infine, secondo il racconto di Rabelais, ecco la Divina Bottiglia molto larga nella parte superiore (proprio come un calice). Questo Graal pagano emette una parola: trink (bevi). Pantagruel e i suoi amici bevono: ed eccoli immersi in una specie di estasi, perché questo vino è forza e potenza. Riempie l'anima di luce, di saggezza e di filosofia. E' dunque la fonte della Verità. Una specie di delirio si impossessa di coloro che hanno obbedito all'invito della Divina Bottiglia. Diventano folli e incantati e, spiega Rabelais, là ci sono eternità di bevute e bevute di eternità. Parla allora la sacerdotessa: Non è in mio potere di soddisfarvi qui. Laggiù, nelle regioni circoncentrali, noi poniamo il Bene sovrano, non da prendere e da ricevere, ma da distribuire e da donare; andate amici, sotto la protezione di questa sfera intellettuale che noi chiamiamo Dio: il centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo. Quando sarete tornati nel vostro mondo siate testimoni che sotto la terra esistono grandi tesori e meraviglie. I vostri filosofi si lamentano che gli antichi abbiano già scritto tutto, senza lasciare loro nulla di nuovo da inventare. Ma Dio, l'Ascoso, il Nascosto, elargirà loro la conoscenza di sé e delle sue creature; così in tutta sicurezza e piacevolmente è percorso il cammino della conoscenza divina e la ricerca della saggezza.

Il Graal di Don Chisciotte

Meno d'un secolo più tardi la dolce e sorridente filosofia di Rabelais avrebbe reso patetica l'opera di Cervantes. Perché Don Chisciotte è il diretto discendente e il più sconvolgente dei romanzi della Tavola Rotonda e del Graal. Certo Cervantes si è in gran parte ispirato all'Ariosto e al Tasso, ma molto più a Perceval, a Re Arthur e a Lancelot. Lo scrittore spagnolo vive in un'epoca in cui fiorisce una letteratura che si burla della cavalleria con il suo codice d'onore e le sue cerimonie, poiché lo scetticismo mina sordamente l'Occidente cristiano. Don Chisciotte è essenzialmente una reazione di scetticismo ed una riabilitazione del cavaliere. Al di là del suo ridicolo, che tuttavia è insieme e pungente, Don Chiscotte incarna le virtù prime del coraggio, il senso dell'onore, la castità, l'ideale religioso. Non diversamente dal Galaad Eschenbach, il cavaliere spagnolo non è fatto per un mondo di albergatori avidi, di gran signori scellerati, villani un po' sciocchi. E' fatto per la Foresta di Perceval e per il castello dell'avventura. Alla fine delle sue pietose tribolazioni Don Chisciotte tuttavia riceve la suprema consacrazione: porterà il vaso di Mambrino, ossia un catino da barba. E' un attrezzo buffo; ma fatto per muovere al riso? No, perché il catino è molto simile al Graal ed incorona, più di quanto non calzi, non una povera testa ammalata, ma uomo colmo di bontà. Sotto la grande luce di Don Chiscotte è la verità in cammino, che, al di sotto degli scherni, sa che alla fine dai tempi Dio riconoscerà le sue sventure. La conclusione del romanzo di Cervantes evoca una specie di Golgota verso questa Croce che, per il cristiano è l'eterna verità promessa dal Graal.



La musica del Graal

Nell'Austria moderna non uno scrittore, ma un musicista in epoca recente decise di cavalcare i colori del sogno, conducendo i cavalieri alla somma ricerca: questo musicista è Franz Schubert. La musica del compositore viennese è un cammino ardente ininterrotto. Quando si pensa all'ottetto per corde, bassi, coro e clarinetti, compare il castello dalle luci irreali, la dolce dimora dove danzano le compagne di Rosamunda. Il pezzo per due violoncelli, evoca una processione di pretesse, il Duetto dà voce alla fanciulla e alla ricerca del Graal, adatta a un temperamento forte ma minata dall'ossessione della morte e della salvezza, come tutte le leggende costruite intorno al vaso sacro. Bisognerà attendere Richard Wagner per ritrovare i solenni sortilegi del Graal in tutta la loro autenticità. Figlio di Parsifal, Lohengrin è l'immagine stessa del perfetto eroe, uscito contemporaneamente dalle leggende celtiche e dall'immaginazione popolare tedesca. La sua vocazione è di adorare e servire il Graal e di diffondere nel mondo la divina carità. Parsifal cavalca su un cigno; egli stesso del resto è un cigno celeste che vaga sulla strada; questa, agli occhi di Wagner, ha una forma a spirale, simbolo della lenta ascesa verso Dio. Il Graal è stato portato sulla terra da una schiera di angeli che, terminato il loro compito, sono tornati nella patria celeste, lasciando dietro di loro il bianco sigillo della speranza. La Redenzione, per l'autore del Parsifal, si compie essenzialmente attraverso l'amore, perché l'amore rappresenta la più umana e fervida ricerca di Dio. Cavalieri erranti, pellegrini, semplici viaggiatori, avventurieri, tutti gli eroi wagneriani perseguono il medesimo fine: la ricerca del Graal, simbolo della Redenzione. Per l'eterno femminino, rappresentato nel Medio Evo sotto gli amabili tratti della Dama, Richard Wagner si ispira a Goethe. Senta, Elsa, Brunehilde, Elisabeth, Kundry, la bella peccatrice che alla fine sarà salvata, sono tutte il simbolo dell'amore umano, tappa indispensabile da cui gli uomini non possono prescindere per accostarsi alle rive della salvezza. Wagner ha ricavato i temi principali della Tetralogia da Wolfram von Eschenbach, ma cristianizzando la leggenda del Graal. Eschenbach ne ha fatto una pietra preziosa, sull'esempio dei poeti orientali e iraniani, mentre per Wagner il Graal è nuovamente il vaso sacro che contiene il sangue di Cristo. Per questo più che un poema drammatico, in realtà Parsifal è una messa. Tuttavia l'autore della Tetralogia ha dato alla leggende celtiche una forte impronta germanica; alle scene liturgiche che si svolgono nel castello dell'avventura di Montsalvat, si accompagnano gli incanti di Klingsor delle sue figlie-fiori. I cavalieri alla ricerca del Graal sono sottoposti ai sortilegi della maga buona e della malvagia Viviana e Morgana. Kundry, la peccatrice salvata, distribuisce di volta in volta malefici e incanti. Quanto all'eremita Gurnemanz, questo è il suo insegnamento al casto folle che è Parsifal: Nessun sentiero si apre verso i Graal, e nessuno può trovare la strada che non abbia egli stesso tracciato; vedi figlio mio, qui il tempo diventa spazio. Così il tempo, se impiegato con fervore, apre l'accesso a quel sacro spazio al centro del quale si trova il Graal. Wagner è venuto a conoscenza de Il Sangue Prezioso, un'opera scritta da un mistico teologo inglese, Padre Faber. Qui, il sangue di Cristo contenuto nel Vaso sacro è il vero strumento di Redenzione, perciò dispensa coraggio, amore e volontà. E' il fluido universale in cui si immerge l'universo Intero. Wagner traduce esattamente questa concezione quando, sulle labbra di Parsifal chino sul Graal, pone questa frase: Ho visto l'origine e la causa delle cose. Nell'incanto del Venerdì santo, una delle pagine più commoventi del Parsifal, Wagner attribuisce al Graal e al suo sacro contenuto il potere di trasformare il mondo: Hanno i fiori sete della tua grazia? I tuoi pianti sono la rugiada benedetta. Tu piangi, vedi, e tutta la pianura sorride! Al termine della loro ricerca i cuori puri conosceranno l'estasi suprema, ossia l'identificazione con Dio.

Il Graal oggi

Friedrich Nietzsche, che da solo si battezza l'Argonauta dell'Ideale, rifiuta questa pace che è la conclusione dell'opera wagneriana. Ciò che lo affascina non è i raggiungimento del fine, ma il cammino che bisogna percorrere per giungervi. Originariamente l'autore di Al di là del Bene e del Male non rifiuta la via regale che conduce alla conoscenza. Ciò che lo affascina sono le contraddizioni dell'uomo alla ricerca del Graal. Non cerca la Pace suprema, ma la lotta. Ci sono sempre, egli scrive del giardini di Armida, e di conseguenza di sempre nuova e sempre nuove armi del cuore. Bisogna che io sollevi il piede il mio ideale ferito e poiché sono costretto a guardare con tristezza le cose più belle, esse sono riuscite a trattenermi. E' qui la sua genialità, ove tutto il simbolismo passato si tramuta nella pietra, l'acqua, la Donna. E' una delle opere fondamentali del poeta, uno del poemi pagani più stupefacenti che convergono verso il sacro, il Graal, e rappresenta tutto ciò nel corpo della Donna, simbolo di tutti i mutamenti e di tutti i segreti dell'Universo. Attraverso la Donna si raggiunge l'Assoluto. Che si tratti dell'affascinante Clarice o di Annalena, fanciulla di poco conto, entrambe sono un atomo di azzurro nello spazio, una goccia d'acqua scura nell'oceano luminoso dell'amore. Grazie a loro l'uomo combatte e vince la sua fondamentale solitudine, perché al termine dell'esperienza amorosa Milosz può esclamare: Nel mondo intero non esiste solitudine, l'aria che tu respiri è il soffio di un Padre. Compiuta così la prima tappa della ricerca del Graal, come Perceval o Lancelot, il poeta giunge al castello avventuroso: Non sono forse tutte le cose più vicine a te di te stesso? Non senti salire dal tuo cuore l'effervescenza della sorgente dei mondi? Mentre la montagna mi trasportava nel suo volo, all'improvviso io vidi aprirsi dinanzi a me, nell'altro emisfero, la porta d'oro della Memoria, lo sbocco del labirinto. Questo sbocco è l'Amore, è il Graal che concede la sapienza assoluta a chi vi si disseta. Questa magica bevanda è, anch'essa, il Sangue universale, il Sangue di Dio, che con un'unica espressione Milosz chiama l'acqua primordiale. Si instaura così una corrente vivificante fra Dio e l'uomo, e poi fra l'uomo e Dio. Il Sangue è anche l'insieme delle forze spirituali che si trovano nell'universo, quelle forze che, in qualche modo, plasmano la Creazione. Nel cuore del Graal si compie la fusione del Sangue e della Luce, da questa fusione ha origine l'oro incorruttibile e medicamentoso della divina carità, il metallo più prezioso, secrezione della api angeliche. Giunto alla conoscenza suprema, il poeta estasiato può esclamare: O Movimento, o Sangue sgorgato dal Fiat divino! Svegliati Cosmo, diffonditi attraverso i miliardi di Vie Lattee che sono le tue vene! O Magico Sangue sgorgato dal cuore del signore, O Vita, O santa Vita, tu apparivi, immensa e splendida, nella profondità delle Tenebre. Io sono libero, libero! E' come se fossi morto. Salve, Universo, amore mio! Léon Bloy, dal canto suo, vuole insistere sull'aspetto doloroso della ricerca del Graal; egli vuol essere il Pellegrino del Santo Sepolcro. Dura fu la sua vita trascorsa camminando, solo, in una grande colonna di silenzio, nel bel mezzo di questa foresta piena di malefici che è il mondo moderno, popolato di villani, di porci, di ladri, di donne di malaffare. Ma il Graal è promesso a colui che sa chiudere gli occhi su ciò che lo circonda e che, guidato dal Dolore, giunge alla contemplazione di Dio. Se il dolore è il compagno più fedele di Léon Bloy, quello di Charles Peguy si chiama Speranza. Poiché il cammino che conduce al Graal di Péguy, questo Graal che contiene il Sangue e il Sacrificio, è difficile pieno di imboscate e di tradimenti. Ma al fondo di tutta l'opera di Péguy, che è una lunga ricerca della Luce e della Verità, c'è la Speranza che Dio ci ha dato per aiutarci nella ricerca della Vita eterna. Pochi autori, nella letteratura contemporanea, hanno affrontato apertamente i misteri del Graal, ma due ci sono. Innanzitutto il poeta Patrice de La Tour du Pin. La sua Sonntne de poesie, poetica che è una ricerca che si svolge nella dolcezza incantata della foresta celta. Per tentare di giungere alle viole luminose dei mondi, il cuore dell'uomo naviga continuamente in mezzo a sogni e fantasmagorie. Questo viaggio è quello che il poeta chiama la contemplazione errante. Dove ci conduce? A Dio. Ma all'avventura, nel senso secondo cui l'intendevano i cavalieri delle leggende celtiche, se ne sostituisce un'altra, di natura puramente spirituale. In Patrice de La Tour du Pin gli ostacoli che ci si oppongono sono dentro di noi, non provengono dal mondo esterno, e solo la luce della Grazia ci permette di spezzarli di dissipare le nebbie che incombono sulla nostra anima e di raggiungere così il Graal, che è Dio nella sua gloria e nella sua potenza. Julien Gracq è colui che si awicina di più alle leggende celtiche. Il suo Bel Tenebroso in effetti è un diretto discendente del Mago Merlino. Il castello di Argol corrisponde al castello dell'avventura, dove ogni oggetto possiede un potere magico, dove si respira un profumo di cupa foresta e di alte volte. Mondo sottomesso al sortilegio, presagi innumerevoli per chi sa interpretarli, universo d'amore e di morte: l'opera di Julien Gracq discende direttamente dalla tradizione della ricerca del Graal. La differenza è che, per l'autore della Riva delle Sirti, questa ricerca non si compie mai, non c'è nessuna suprema illuminazione, l'uomo è condannato a vagare senza fine. Strano destino quello della Leggenda del Graal: non solo ha ispirato poeti e musicisti, ma è servita anche a giustificare l'evoluzione storica dell'Inghilterra del XIX secolo. Nel 1845 il cardinale anglicano Newman si convertì al cattolicesimo, trascinando dietro di sé un gran numero di fedeli. La cosa si ripercosse clamorosamente in un paese dove, più o meno, si diffida dei papisti. Tennyson, un poeta allora in voga, stava lavorando a un lunghissimo poema: Idylls of the Kigs (Idilli dei Re), che si avvicina abbastanza alla Leggenda di Re Arthur e alla ricerca del Graal. Ma di fronte all'emozione causata dalla conversione del cardinale Newman, il poeta modifica la sua opera tanto da farla apparire una lezione di tolleranza e una dimostrazione di morale vittoriana. Per Tennyson nella ricerca del Graal l'essenziale è la lotta dei Sensi contro l'Anima; i cavalieri partono alla ricerca del vaso sacro che li guarirà dei loro mali li libererà dai vizi ed esaudirà le loro aspirazioni. Ma non tutti giungeranno alla conclusione, perché ciascuno sarà ricompensato secondo il grado della sua purezza. Ciò‚ a dire che ciascuno è libero di credere a seconda di ciò che gli detta il cuore, e anche secondo le sue possibilità. In questo modo Tennyson pensa di poter riconciliare papisti e antipapisti. Per questo ognuno degli eroi immaginati dal poeta ha delle attitudini particolari. Galaad, il più puro dei cavalieri, riesce a vedere il Graal sfolgorante: Ho visto il Santo Graal scendere sull'altare; ho visto come il viso di un bambino comparire nel pane e scomparire. Così Tennyson evoca con un po' di rimpianto coloro che credono nella Transustanziazione, cioè i cattolici. Vi è anche Perceval, abbastanza puro, ma troppo attaccato ai beni materiali; tuttavia, toccato dalla Grazia, terminerà la sua vita in un monastero. Quanto a Lancelot, cavaliere perfetto, egli è colpevole di vivere nell'adulterio, perché ama la moglie di Arthur. Soltanto la fede gli consentirà di spezzare questo legame carnale e di finire in santità. E Tristano ha abbandonato, invece, la ricerca del Graal, ritenendola una prova al di sopra delle sue forze. Disgustato, egli afferma: Noi non siamo degli angeli, che è un modo di far intendere che vive come un pagano. Il monaco Ambrogio non si pone problemi: non ha mai sentito parlare del Graal. La sua filosofia è racchiusa in una formula: Io godo, da uomo semplice, nel mio piccolo Mondo. Tennyson non esprime preferenze fra questi personaggi così diversi; vuol dare una lezione di tolleranza. Che ciascuno pratichi secondo i dettami del cuore, agisca secondo coscienza, non pretenda più di quel che può: ecco l'estrema saggezza. Il poeta accosta così Ambrogio, simbolo di un'Inghilterra empirista che non vuole essere agitata dai grandi problemi religiosi, a Galaad, incarnazione del mistico cardinale Newman. La conversione del cardinale non è il solo colpo che minacci l'Inghilterra in questo periodo. L'evoluzionismo di Lamarck e di Darwin, il positivismo del francese Auguste Comte, le dottrine utilitariste (vero è ciò che è utile), la comparsa del socialismo cristiano: altrettante novità che sembrano assicurare il trionfo della scienza sulla religione. Ancora una volta Tennyson, che si considera un po' il cantore ufficiale della Gran Bretagna, si mette all'opera. Si tratta per lui di dimostrare che solo il cristianesimo, anche se con le dovute modifiche, può salvare l'umanità, e rafforzare una fede due volte necessaria, sia perché è la salvaguardia dell'uomo sia perché, alla fine, l'autorità regale poggia su di essa. La ricerca del Graal ha provocato il naufragio del regno di Re Arthur, spiega il poeta, proprio perché i cavalieri hanno preferito la conquista di un vago ideale al servizio esemplare del loro re e del suo regno. Poiché il buon cristiano non deve mirare all'impossibile, non deve peccare di orgoglio, ma accontentarsi delle facoltà che Dio gli ha dato e servire il Bene con umiltà e rassegnazione. Dal canto suo la scienza non deve svilupparsi più rapidamente della morale, a rischio di sfociare in un disastro come quello toccato al mago Merlino, simbolo della creatura orgogliosa del proprio potere. La lezione di Tennyson ha un effetto rassicurante. La borghesia che allora guida l'Inghilterra affronta con occhio nuovo l'epoca che ha dinanzi. Sarà filantropica, come lo erano i cavalieri puri, perché la natura umana è identica in tutti gli uomini; e accetterà con prudenza che la vita dell'universo sia retta da leggi scientifiche e non più solamente divine. Scienza e religione andranno abbastanza d'accordo, restando inteso però che la morale deve fondarsi sulla religione. Leggenda mai compiuta, che ora sgorga al richiamo dei poeti, ora rimane come assopita, quasi dovesse riprender forza prima di una nuova fuga. Qual è infine il significato del Graal? Innanzitutto il patetico sforzo dell'uomo per essere uno nel corpo e nell'anima. Poco importano le prove che bisogna affrontare per giungere alla Verità, ma non sono sufficienti né il semplice godimento dei beni terreni, né la pura ascesa spirituale. La redenzione, nel cristianesimo o in altre religioni, passa necessariamente attraverso il corpo, perché anch'esso deve essere salvato. Che un asceta ferisca volontariamente il proprio corpo, che i cavalieri affrontino mille prove, che altro significa tutto ciò se non che nessuno ha il diritto di disprezzare o di ignorare l'involucro carnale? In secondo luogo l'unità dell'uomo deve tener conto della presenza di tutti gli altri uomini: finché Parsifal non si cura della sofferenza altrui egli non esiste; è condannato a vagare in un mondo completamente muto. La scoperta della Verità passa dunque attraverso la solidarietà universale che così sarà espressa da Paul Claudel: Siamo tutti montoni della stessa lana. Infine, la conquista della Verità, o di Dio, è una questione personale. Nella misura in cui l'uomo si sente in pace con se stesso, nella misura anche in cui condivide le prove dei suoi simili, egli può aspirare al sommo Bene. Un dono, il Graal? Sì, ma concesso soltanto a coloro che lo vogliono e che si piegano alle leggi morali. Ideale di vita e di perfezione, il Graal non è altro, in definitiva, che lo scopo che ciascuno, a modo suo, assegna al proprio destino.

Il Libeccio

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