IL “CASTRUM” DI CARCARI IN UN TERRITORIO
A VOCAZIONE ESTRATTIVA
La Toponomastica
E’ difficile localizzare l’antico “Castrum” (Rocca) di Carcari a causa della solita scarsità di documenti e di significative risultanze archeologiche. Le origini di questa Rocca risalgono al medioevo ed è appunto da un documento di quel tempo che veniamo a conoscere la sua posizione topografica. Si tratta del noto atto1 di compravendita del 1349 tra il Prefetto Giovanni di Vico e Nerio di Tolfa Nuova (la Tolfaccia) da cui risulta che Carcari confinava col territorio dei seguenti Castelli: a Sud S. Severa, ad Est il Sasso, a Nord-Ovest Tolfa Nuova e a Nord-Est monte Castagno. Il riscontro moderno al documento medioevale può essere eseguito osservando la carta dell’I.G.M. (f. S. Severa, 143 III S.O.) laddove, sul territorio posto a Nord di S. Severa, si possono osservare due toponimi: “Pian Calcari” e “Il Castellaccio” che non sono altro che la memoria cartografica dell’insediamento medievale.
In corrispondenza del toponimo “Pian Calcari” (a Nord dell’attuale frazione di Tolfa che è S. Severa Nord) è stata riconosciuta un’antica discarica di anfore, tegole e mattoni d’epoca romana da mettere in relazione ad una “figlina” rustica, storicamente accostabile alla fabbrica romana di laterizi della “Massa Liciniana”2 . Va aggiunto che l’edizione 1950 dell’I.G.M. (f. S. Severa) riporta presso “Pian Calcari” i resti di una fornace di laterizi da collegare probabilmente alla cava di argilla rimasta in funzione fino a qualche decennio fa. Nella zona in esame è rinvenibile ceramica d’epoca romana ed è ancora visibile uno (foto n.1) sperone di un antico muro che è il documento archeologico utile ad avanzare l’ipotesi dell’identificazione con il “Castrum” medievale del quale si traccia il seguente profilo storico (foto n.2).
Va anche considerato che a Nord di “Pian Calcari” è posto l’altro toponimo quello de “Il Castellaccio” caratterizzato da una collinetta che presenta due cime racchiuse da una folta macchia mediterranea. Nella cima più bassa, nascosto da lentischi, cerri e olivastri, emerge un muro largo circa 1,50 metri, costruito con pietra locale e cementato con calce magra e molto scadente, che attraversa la cima del colle (foto n.3) da Nord a Sud. Nei pressi del muro si possono notare alcuni blocchetti di tufo decisamente estranei alla natura del terreno. Sembrerebbe un muro perimetrale di qualche costruzione, ma in effetti i circa 2 metri di altezza sono alquanto anomali per un “Castrum” medievale. Se l’antica Rocca fosse da rinvenire in questi luoghi, sarebbe opportuno rivolgere l’indagine sull’altra cima del colle, quella più alta, presso cui però non emerge nessun elemento archeologico. In conclusione, allo stato dei fatti, l’ipotesi avanzata dell’identificazione con lo sperone di muro posto a “Pian Calcari”, sembra la più verosimile.
Da una ricognizione di superficie sono rinvenibili frammenti d’epoca romana e sono state trovate due scorie di fusione di ferro.
Tutto l’insieme avalla la vocazione estrattiva dell’intera zona, presso cui predomina la calcite, minerale utilizzato per le antiche “Carcare” (dove si cuoceva la pietra calcarea per produrre la calce idrata). Probabilmente è proprio dalle “calcare” che il “Castrum” prese il nome. Appartengono a questo territorio altri due toponimi significativi: “Le Cavarelle” e “Monte dei Pozzi” che convalidano questa vocazione.
Di certo tutta l’area esaminata è cosparsa di materiale calcareo che probabilmente ha dato il nome al “Castrum”. Come ricorso storico, a Est de “Il Castellaccio”, in prossimità di “Pian Sultano”, attualmente è in attività una cava di caolino di proprietà dell’Italcementi mentre a Sud di “Pian Calcari”, nei pressi di S. Severa Nord, è in funzione un impianto per la trasformazione del caolino.
Negli anni 50 era in attività una miniera di caolino della quale era concessionaria la Società Nazionale del Caolino.
Il caolino era utilizzato nell’industria della ceramica, per la fabbricazione di porcellane, e terraglie e in quella della carta.
PROFILO STORICO
La prima menzione di Carcari risale al 1066: il Conte Raniero, figlio del Conte Sassone, e sua moglie Stefania donarono all’Abbazia di Farfa la chiesa di S. Lorenzo con tutte le sue pertinenze3. Nel documento è detto che era: “positam in Comitatu Centumcellensi, iuxta mare magnum, in loco qui vocatur Heriflumen qui vulgo dicitur Gerflumen. Ipsam ecclesiam quae vocatur S. Laurentii in territorio quod vocatur Carcari, cum finibus suis et vines, terris, pascuis....”4. La menzione di Carcari in questo documento farebbe pensare non tanto ad un “Castrum” quanto a un toponimo indicante un territorio di tale denominazione, è infatti espressamente detto: “in territorio quod vocatur Carcari”.
Probabilmente la costruzione del “Castrum” è avvenuta più tardi ad opera di una di quelle famiglie che emersero, o tentarono di emergere, durante il disordine politico in cui versava lo stato della Chiesa. In effetti durante l’XI secolo, col cessare delle incursioni saracene, tutto il litorale situato a Nord di Roma andò ripopolandosi e fu oggetto di numerose contese.
E’ durante questa fase storica che l’Abbazia di Farfa5 giunse a controllare tutta la costa che va dalla foce del Mignone fino a S. Severa, mediante restituzioni e donazioni di beni. Pertanto è probabile che anche il territorio di Carcari fosse controllato dalla stessa Abbazia e appartenesse al “Comitatu Centumcellensis” cioè al territorio spettante alla diocesi di “Centumcellae”.
Comunque il primo documento che menziona espressamente il “Castrum” di Carcari risale al 11306 Innocenzo II, per un prestito di 200 denari papiensi concesso da Pietro Latro, gli cedette in pegno le Rocche di Carcari e del Sasso, metà di Civitavecchia e “Gobitam” ed il casale “quod dicitur vulgare”. (odierno casale “smerdarolo”).
Il pignoramento fu confermato da Alessandro III (1159-1181) e poi riscattato da Celestino III nel 1193 che pagò 200 once d’oro ai discendenti di Pietro Latro7.
La successiva notizia è del 1288: un certo Rinaldo da Carcari figura come testimone ad alcuni signori di Tolfa Nuova quando questi si aggiudicarono dal Comune di Corneto il diritto di pesca nel fiume Mignone, dal ponte di San Martino fino al mare8.
Con la fine della potenza farfense, Innocenzo III (1198-1216) concesse i beni dell’Abbazia al monastero di S. Paolo di Roma, tra questi anche la Rocca di S. Severa già in possesso del Monastero dal 1130, ad opera dell’antipapa Anacleto II. Infatti nella conferma di beni del 15 Maggio 1218 di Onorio III si legge: “Castrum Sancte Severe cum Ecclesia et pertinentis suis”9. Anche se non documentato, e probabile che Carcari facesse parte delle pertinenze di S. Severa e perciò concesso e appartenuto al Monastero di S. Paolo.
Nella divisione del patrimonio dei Venturini avvenuta il 1 Gennaio 1290 tra Giovanni di Bonaventura e suo nipote Alessio10, sono menzionati le Rocche di S. Severa e di “Carcaro”. E’ probabile che Carcari andasse a Giovanni11. Entrambe le Rocche appartenevano al viterbese Giovanni Tignoso12, già proprietario dal 1251, per averle acquistate dal Monastero di S. Paolo, autorizzato a vendere da Gregorio IX nel 1237 “Castri Carcharis”. E’ menzionato di nuovo nel 1334, in un documento conservato nella biblioteca Vaticana, assieme a Tolfa Nuova, al Sasso, a Monte Castagno e alla tenuta di S. Ansino13.
Dai Venturini, Carcari passò a Stefano dei Normanni, lo stesso (foto n. 5) che nel 1346 aveva accusato di furto Puccio di Nallo da Carcari che fu assolto dalla condanna di pagamento di 500 fiorini d’oro14 (foto n.6).
Il 7 Luglio 1348 Stefano dei Normanni vendette la Rocca di Carcari al Prefetto Giovanni di Vico per la somma di 6.000 fiorini15. L’11 Luglio dell’anno successivo il Prefetto a sua volta la rivendette a Nerio del fu Baldo dei signori di Tolfa Nuova. L’atto di vendita, che fu redatto dal notaio Bartolomeo del fu Nanni di Tolfa Nuova, fu stipulato con la formula “fictum et simulatum et fraudem factum”. Cioè il compromesso fu eseguito con il patto del riscatto mediante il rimborso del prezzo realmente pagato16 .
Carcari passò poi a Pietro di Vico, fratello di Giovanni. Fu contrastato da Francesco e Battista di Vico, da Giovanni detto “Topone”, “Domicello” viterbese, di Tolfa Nuova e dal Comune di Roma.
Da quanto si apprende, è possibile dedurre che il territorio di Carcari appartenesse ad una giurisdizione pubblica in quanto vantavano diritti contemporaneamente il Campidoglio, la Prefettura romana e lo stesso Stato Ecclesiastico.
Il Tomassetti riporta che il Senato romano prese le Rocche di Carcari e di Trevignano con la forza delle armi “vi armorum”17.
Il Campidoglio, a garanzia dei suoi diritti ed in accordo col Vicario Papale Filippo, commise l’esame della questione a Giacomo, Vescovo di Spoleto, che però morì senza deciderla. Papa Urbano V (1362-1370), dietro istanza dei Di Vico, chiese al Vescovo di Arezzo di riassumerla in giudizio, ma anche il Vescovo di Arezzo non dovette pronunciarsi in merito se al 30 Ottobre 1377 Francesco di Vico risultava ancora in possesso della rocca. Gregorio XI (1370-1378), eletto arbitro a dirimere ogni controversia tra i Di Vico (Giovanni Sciarra, Lodovico e Francesco) ed il Comune di Roma, nel 1377 sentenziò definitivamente che le Rocche di Carcari, del Sasso e di Trevignano dovessero essere restituite al Comune di Roma18.
E’ singolare constatare come a Carcari non sia documentata alcuna chiesa di sua pertinenza, anche se da una foto pubblicata in “Civitavecchia e il suo entroterra” pag. 130 fg.2, figurerebbero tracce di un affresco attribuibile ad una chiesa. Ulteriore osservazione riguarda l’asserzione dell’Antonelli quando ci informa che sul finire del XV secolo Carcari apparteneva alla diocesi di Sutri.
Dai registri del sale e del focatico risalenti ai primi decenni del XV secolo19 risulta che Carcari veniva tassato per 5 rubbia semestrali per una popolazione calcolabile intorno ad un centinaio di abitanti.
Nel 1433 Eugenio IV, per necessità di denaro contante, ordinò al suo camerlengo di vendere S. Severa ad Everso dell’Anguillara per 1.750 fiorini d’oro20. Nel 1454 lo stesso Everso è espressamente indicato come signore di Monterano, Bieda, Carcari e S. Severa.
Nel 1457 Everso Orsini, Conte di Anguillara, vendette il casale del Sasso al Cardinale Prospero Colonna per 3.000 ducati. Come confini sono menzionati: “tenimenta Sancte Siverre, Carcarj, Montis Castagnj, Sammucj, Castri Cerveterj ed il mare”21.
Il 4 Settembre 1464 morì il Conte Everso dell’Anguillara ed il suo patrimonio fu diviso tra i figli Francesco e Deifobo. E’ probabile che Carcari andasse al più irrequieto Deifobo, assieme a S. Severa, e a metà di Cerveteri e forse ad una parte del Sasso.
Con l’assunzione al pontificato di Paolo II, in un primo momento, i due fratelli aderirono alla politica papale, ma in seguito si ribellarono occupando sia Caprarola e sia Tolfa Nuova. Nel 1465 Paolo II dapprima li scomunicò, poi nel volgere di alcuni mesi allestì un esercito chiedendo aiuto al Re di Napoli. In breve venne abbattuta la potenza dei Conti dell’Anguillara, così il Papa riuscì ad impossessarsi di tutto il loro patrimonio: Cerveteri, Veiano, Carbognano, Ronciglione, Bieda, Vetralla, Caprarola, Monterano, Rota, Tolfa Nuova, Capranica, S. Severa e Carcari. Tutti questi beni passarono pertanto alla Camera Apostolica ed è documentato che nel 1465 la Rocca di Carcari apparteneva per l’appunto alla Camera Apostolica che la gestiva tramite Stefano “De Porris mediolano”22.
Intanto sui Monti della Tolfa era stata avviata dal 1460 l’industria dell’allume che nel giro di pochi anni divenne la più grande industria estrattiva di tutto il Rinascimento.
L’evento, con tutti i suoi risvolti di carattere economico e politico, decretò da una parte la fine di molti insediamenti medievali, dall’altra la fortuna di Tolfa Vecchia (Tolfa attuale).
Per Carcari segnò la fine, infatti nel 1470 Paolo II ordinò la sua demolizione (la stessa sorte avverrà per Tolfa Nuova l’anno seguente ad opera di Sisto IV).
Agli inizi del suo pontificato, Sisto IV concesse l’ormai “diruta” Rocca di Carcari e quella di S. Severa all’Ospedale di S. Spirito in Sassia23.
A garanzia di un mutuo contratto con il Cardinale Guglielmo d’Estouteville, il 14 Ottobre 1478 Sisto IV gli diede in pegno le tenute di Carcari e di S. Severa assieme a Vico, Casamala e S. Ansino ed altre. Nella bolla il Papa dichiarò che le due tenute spettavano all’Ospedale di S. Spirito per sua speciale concessione24.
L’operazione finanziaria si concluse nel 1482 quando il Precettore del S. Spirito riscattò le tenute dal Cardinale25. Così anche la tenuta di Carcari era andata a far parte dell’immenso patrimonio dell’Ospedale. Non solo, nel 1540 il S. Spirito l’ingrandì ricevendo in permuta dalla Camera Apostolica le attuali “Piane S. Lorenzo” assieme a S. Marinella, in cambio donò il Castello di S. Elia26.
La tenuta di Carcari è elencata nella costituzione di Gregorio XIII del 1 Febbraio 1580 dove sono indicati i luoghi che componevano la Dogana dei Pascoli del Patrimonio.
Nel documento risulta che il territorio spettante all’Ospedale di S. Spirito in Sassia era così composto: “Banditella delle larghe”, “S. Pupa” (odierna Manziana), “Le Pietricelle”, “Laiola”, “Campo Maggiore”, “La Selvotta”, “Monte Sassone”, “S. Marinella”, “Il Pian di S. Lorenzo”, “S. Ansino” “e Carcari27.
Nel 1660 un apposito Amministratore risiedeva nel Castello di S. Severa e gestiva le tenute di Carcari, Pian S. Lorenzo e S. Severa28.
Come ricorso della vocazione estrattiva della zona, va registrato che nel 1936 furono scoperte nei dintorni di S. Severa giacimenti di caolino. Nella Piana di Monte Ansino in località “Forconcino” furono individuati giacimenti di argille caoliniche per una superficie di circa 800 ettari. Inoltre in località “Scaglia”, nel Comune di Tolfa, venne scoperta della trachite caolinica nonché marmo bianco di ottima qualità. Lo sfruttamento di questi due giacimenti iniziò nell’Ottobre 193629.
Il Pio Istituto del S. Spirito ha gestito le sue tenute fino agli anni 1977-78. A seguito di una serie di provvedimenti legislativi, il S. Spirito è stato sciolto e i suoi beni sono passati alle Provincie e ai Comuni.
Attualmente i territori corrispondenti ai toponimi “Pian Carcari”, “Il Castellaccio”, “Le Cavavelle”, “Pian Sultano” ed altri sono di proprietà del Comune di Tolfa (foto n.4) fino a pochi anni fa li gestiva tramite l’Azienda Agricola Speciale Zootecnica. A tutt’oggi l’Azienda è stata sciolta e i suddetti territori sono gestiti direttamente dall’Assessorato competente.
CONCLUSIONI
Con l’aiuto della toponomastica e della documentazione pervenutaci, abbiamo avanzato l’ipotesi, senza avere la pretesa di essere stati esaustivi, che il medievale “Castrum” di Carcari si possa identificare con lo sperone di muro antico che giace sopra un banco di caolino e trachite. La continuata estrazione ha probabilmente cancellato le restanti strutture della Rocca. Questo antico rudere si trova a Settentrione della frazione di Tolfa che a S. Severa Nord.
Ancora a Nord, avanzando nell’entroterra, si può notare il toponimo “Castellaccio” che corrisponde forse non tanto ad un castello distrutto o abbandonato, come vorrebbe la tradizione, quanto ad una struttura muraria utilizzata come recinzione di un deposito o accumulo di materiale (non casualmente e proprio ai margini di questa struttura che abbiamo raccolto il bel minerale di calcite della foto).
Dall’esame della documentazione raccolta per questa monografia, ci sembra che si possa dedurre quanto segue: in primo luogo è verosimile accostare il territorio circostante alla Rocca con la romana “Massa Liciniana” che comprendeva la documentata fabbrica di laterizi (sarebbe un bel passo in avanti per la conoscenza complessiva della “Massa”); è rilevabile un vero e proprio ricorso storico in epoca moderna della destinazione del territorio, infatti l’attività estrattiva, iniziata quanto meno nel periodo romano, non si è ancora esaurita e ancora oggi è operante una cava di caolino ed un impianto per la sua trasformazione; Carcari non comprendeva soltanto la Rocca, ma disponeva anche di casali tuttora riconoscibili in parte; infine, attraverso il consumo del sale, si può calcolare intorno ad un centinaio il numero dei suoi abitanti.
Carcari ha seguito, per gran parte, le vicende della vicina S. Severa, e la sua storia può essere così sintetizzata.
Costruita probabilmente intorno all’XI secolo, la Rocca è espressamente menzionata per la prima volta nel 1130. Forse appartenne al Monastero di S. Paolo che la vendette al viterbese Giovanni Tignoso e da questi al romano Giovanni di Bonaventura. Nel secolo XIV figura appartenuta a Stefano dei Normanni a cui subentrò la potente famiglia dei Di Vico, prima con Giovanni e poi con Francesco.
Nel 1377 fu risolta a favore del Comune di Roma la vertenza giuridica sull’appartenenza della Rocca di Carcari, segno di un rilevante motivo economico.
Dovette poi pervenire alla Camera Apostolica e successivamente alla potente famiglia degli Anguillara.
Con Paolo II ritornò alla Camera Apostolica per essere fatta demolire dallo stesso Papa nel 1470.
Così la Rocca divenne una tenuta con il conseguente cambio di destinazione e come tale fu concessa all’Ospedale di S. Spirito in Sassia.
Data in pegno da Sisto IV al Cardinale d’Estouteville, fu riscattata dal S. Spirito tramite il suo Precettore.
Sciolto il S. Spirito in questi ultimi decenni, la tenuta di Carcari è passata al Comune di Tolfa, attualmente proprietario.
Insomma le vicende storiche della Rocca di Carcari sono analoghe a quelle di tanti altri insediamenti medievali, si distingue soltanto per la sua singolare denominazione che fa pensare indubbiamente allo sfruttamento del materiale calcareo. Va anche osservato che forse sin dall’epoca romana il suo territorio dovette far parte di un “Ager” pubblico e come tale conteso, nel medioevo dai rappresentanti dell’apparato istituzionale come la Prefettura romana, il Comune di Roma e lo stesso Stato Ecclesiastico.
Fra una coltivazione estrattiva ed un’altra, soprattutto dell’argilla e del caolino, il territorio è stato sfruttato anche come tenuta agricola-zootecnica, ma chiaramente i popoli antichi (anche prima dei romani) sono stati attratti da questo luogo per la sua principale vocazione, che per l’appunto è quella estrattiva.
Antonio Berardozzi
Giuseppe Cola
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