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13 febbraio Memorie, ma non solo di Paolo Brunatto 13-17 febbraio Non ci resta che ridere. Il cinema di Roberto Benigni


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1-12 febbraio Le stagioni del nostro cinema: Antonio Pietrangeli, Florestano Vancini, Valerio Zurlini

prima parte

13 febbraio Memorie, ma non solo... di Paolo Brunatto

13-17 febbraio Non ci resta che ridere. Il cinema di Roberto Benigni

18 febbraio Indipendente italiano: arcangeli e demoni. Il cinema di Simone Scafidi

19-22 febbraio Tra memoria e presente: i film di Gianfranco Pannone

24-25 febbraio (In)visibile italiano: Sergio Capogna, Enzo Battaglia, Franco Indovina tre autori ingiustamente dimenticati

prima parte

25 febbraio Vittorio Armentano, un autore sui generis

26 febbraio Giovanni Arpino, un romanziere cinematografico

27 febbraio La forza del mondo. I documentari di Anna Lajolo e Guido Lombardi

28 febbraio La figura del padre tra Cinema e Psicoanalisi
1-12 febbraio

Le stagioni del nostro cinema: Antonio Pietrangeli, Florestano Vancini, Valerio Zurlini

prima parte

C’è un filo conduttore che lega quasi tutte le rassegne di questo mese: gli anni Sessanta, il decennio di maggior creatività del cinema italiano. Come ha scritto Jean A. Gili nel libro di Valeria Napolitano Florestano Vancini. Intervista a un maestro del cinema, Liguori Editore, Napoli, 2008, da cui sono tratte le dichiarazioni di Vancini inserire nelle schede dei film, «Il 1960 rappresenta una data decisiva nella storia del cinema italiano, paragonabile forse, in una valutazione critica a posteriori, al 1945. In pochi anni si determina un cambio generazionale, che non troverà più riscontro nei decenni successivi». Esordiscono fra il 1958 e il 1962 Pontecorvo, Rosi, Olmi, Vancini, Damiani, De Seta, Montaldo, Pasolini, Petri, Bertolucci, i fratelli Taviani, Ferreri, Leone, esplodono i generi (il peplum, il western e, sul finire del decennio, il thriller) e il filone inesauribile dei film a episodi, si sviluppa l’underground, che proietta il cinema italiano in una dimensione internazionale, a stretto contatto, se non altro “elettivo”, con le forze più innovative del cinema americano, e sull’onda della dolce vita il fenomeno del divismo scuote il provincialismo italico ponendo Roma e la Hollywood sul Tevere al centro del mondo. In questo periodo di fervore (anche critico grazie all’opera rigorosa di recensori e saggisti) gli autori dalla vena più personale sono rimasti inevitabilmente, in un’ideale foto di gruppo, un po’ in disparte e meritano oggi, a distanza di decenni, una riflessione, purtroppo in molti casi postuma. È il caso dei tre autori presentati in questa retrospettiva, Antonio Pietrangeli (1919-1968), Valerio Zurlini (1926-1982) e il recentemente scomparso Florestano Vancini (1926-2008), tre registi di cui solo adesso si riesce a percepire pienamente la grandezza, lungo due direttrici, destinate a convergere: l’uomo (e la donna, soprattutto, vista come prospettiva privilegiata per registrare i cambiamenti sociali) e la Storia, con il peso della guerra che, esaurita la ricostruzione e iniziata l’era del boom, incombe sulle coscienze imponendo finalmente un esame, prima di tutto interiore. Lungo questi percorsi si è andati alla ricerca di ulteriori affinità elettive (le vite e le carriere dei tre registi si intrecciano) con film e registi guidati dalla medesima sensibilità, vera e propria cifra stilistica di uomini che alla macchina da presa chiedevano delle risposte alle loro ansie esistenziali. Nel programma di questo mese troverete quindi film, cortometraggi e documentari di registi come lo “zurliniano” Sergio Capogna (Plagio vs. La prima notte di quiete), Franco Indovina, Enzo Battaglia, Vincenzo Gamna, Eriprando Visconti, Gianni Vernuccio, Renato Dall’Ara, Bruno Paolinelli, Vittorio Armentano, Anna Lajolo e Guido Lombardi. Nomi da dizionari dei registi, dietro i quali si celano traiettorie imprevedibili. Tutte da approfondire.


domenica 1

ore 17.00

I dolci inganni (1960)

Regia: Alberto Lattuada; soggetto: Franco Brusati, Francesco Ghedini, da un’idea di A. Lattuada; sceneggiatura: A. Lattuada, F. Brusati, F. Ghedini, Claude Brulé; fotografia: Gabor Pogany; musica: Piero Piccioni; montaggio: Leo Catozzo; interpreti: Catherine Spaak, Christian Marquand, Juanita Faust, Marilù Tolo, Milly, Antonella Erspamer; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, Laetitia Film, S.G.C., Les Films Marceau Cocinor; durata: 95’



L’adolescenza di Francesca: la scuola, la danza, il nuoto, la libertà, i primi amori… «Forse il miglior film di Lattuada (benché non apprezzato in Italia), che qui torna al mondo dell’adolescenza già esaminato in Guendalina. Il ritratto della protagonista è ottimo, e serve da legame tra ambienti e personaggi secondari, altrimenti bozzettistici. La descrizione dei turbamenti della fanciulla, fatta con un’attenzione e un’intelligenza non comuni, ha provocato al film molte noie con la censura» (Sadoul). «Il film, così, nonostante risulti un po’ chiuso e schematico, si segue con interesse, per merito, anche, della sottile, calda e delicata interpretazione della sua protagonista, Catherine Spaak, figlia del nostro amico Charles Spaak, sceneggiatore di tutti i film di Cayatte: ha diciassette anni davvero e riesce limpidamente ad esprimere tutte le contraddizioni, le confuse speranze, timori, i pallori di quella difficile età; con una grazia innata eppur sapientissima» (Rondi). Nel film compare una giovanissima Donatella Raffai.

Vietato ai minori di anni 16
ore 19.00

La noia (1963)

Regia: Damiano Damiani; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Tonino Guerra, Ugo Liberatore, D. Damiani; fotografia: Roberto Gerardi; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Renzo Lucidi; interpreti: Horst Buchholz, Catherine Spaak, Bette Davis, Georges Wilson, Leonida Repaci, Isa Miranda; origine: Italia/Francia; produzione: C.C. Champion, Les Films Concordia; durata: 118’



«Dino, pittore romano egoista e incapace di comunicare col prossimo, ha un ambiguo rapporto di dipendenza con la ricca madre americana. Allaccia una relazione con Cecilia, ragazza dall’oscuro passato, a scopo di mero intrattenimento sessuale. Quando comincia a sospettare che lo tradisca ne diventa sempre più succubo» (Morandini). Secondo Kezich «il film è rispettoso degli eventi narrati nel libro, tranne per un eccesso di ottimismo nel finale», mentre per Pestelli «il film resta autenticamente moraviano», anche se il male del protagonista, nel passaggio dal romanzo al film, «perde il lustro filosofico».

Vietato ai minori di anni 18
ore 21.15

La calda vita (1963)

Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal romanzo omonimo di Pier Antonio Quarantotti Gambini; sceneggiatura: Marcello Fondato, Elio Bartolini, F. Vancini; fotografia: Roberto Gerardi; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Catherine Spaak, Jacques Perrin, Gabriele Ferzetti, Fabrizio Capucci, Daniele Vargas, Alina Zalewska; origine: Italia/Francia; produzione: Jolly Film, Les Films Agiman; durata: 110’



Un’adolescente trascorre una vacanza al mare con due coetanei, uno ingenuo, l’altro nevrotico, entrambi, a modo loro, innamorati di lei. Ma la ragazza preferirà concedersi a un uomo maturo, il proprietario della villa nella quale soggiornano. «Tutta la narrativa di Gambini è ambientata sulla costa istriana, non lontano da Trieste, in epoche legate al ricordo delle generazioni di ieri e alla nostalgia per una terra perduta. Sono storie che hanno al centro, per lo più, personaggi giovani o addirittura adolescenti, alle prese con l’erompente e disordinato risveglio dell’Eros. […] Nel film non c’è più l’Istria, né il 1939, né l’affresco di costume. Siamo in Sardegna, tra la costa ancora selvaggia e Cagliari, cioè in un mondo che per cultura e mentalità è agli antipodi del romanzo» (Kezich). «Se si considera che l’ambiente in cui fu girato [Villasimius] ha conosciuto, nel corso dei decenni, uno sviluppo turistico enorme, è giusto affermare che il film finisce per diventare un vero e proprio documento storico. Allora c’era solo un albergo, il Timi Ama […]. Il capanno che mostro, invece fu costruito dallo scenografo [Flavio Mogherini]; per anni il Timi Ama, che era abbastanza distante dal mare, se ne servì come punto bar, ristoro e juke-box. Era una costruzione solida che resistette per una ventina d’anni prima di essere abbattuta» (Vancini).

Vietato ai minori di anni 18
lunedì 2

chiuso
martedì 3



ore 17.00

Il sole negli occhi (1953)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: A. Pietrangeli, con la collaborazione di Lucio Battistrada, Ugo Pirro, Suso Cecchi d’Amico; fotografia: Domenico Scala; musica: Franco Mannino; montaggio: Eraldo da Roma; interpreti: Gabriele Ferzetti, Irene Galter, Scilla Vannucci, Anna Maria Dossena, Pina Bottin, Paolo Stoppa; origine: Italia; produzione: Film Costellazione, Titanus; durata: 98’



Una contadina arriva a Roma per fare la domestica e la vita non le regala grandi soddisfazioni. Si innamora di un idraulico, ma la loro relazione non dura. Non le rimane che la luce del figlio che ha in grembo. «Un film di un giovane, e un film semplice, lineare, sentito, forse fin troppo semplice, per molti palati soliti a ben altro. Ma c’è una deliberata e decisa coerenza, in questo Pietrangeli che delinea un suo soggetto, ne sviluppa una sua sceneggiatura, e giunge alla regia di ogni inquadratura ben sapendo, istante per istante, che cosa dovrà trarne. Se il giovane regista avesse dedicato le sue molteplici fatiche a una vicenda più corposa e più appariscente, ne avrebbe forse composto un film di non minore valore, ma di un più vasto e sicuro successo. Si è imposto, invece, un tema di tutti i giorni, quasi in grigio, scegliendo a sua eroina una giovane servetta, in una modestia che si risolve in orgoglio. Forse non saranno molti, a riconoscere le sue orgogliose ambizioni sotto una veste, apparentemente, tanto modesta; ma quei non molti potranno apprezzare e gustare una regia meditata, coerente, sensibile. Ciò è talmente raro da doversi additare, sopratutto in un esordiente» (Gromo).
ore 19.00

Una storia milanese (1962)

Regia: Eriprando Visconti; soggetto e sceneggiatura: E. Visconti, Renzo Rosso, Vittorio Sermonti; fotografia: Lamberto Caimi; musica: John Lewis, montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Danièle Gaubert, Enrico Thibault, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Regina Bianchi, Ermanno Olmi; origine: Italia/Francia; produzione: 22 Dicembre Cinematografica, Galatea, Lyre; durata: 95’



Una storia milanese racconta la storia d’amore di due giovani belli e ricchi (Giampiero e Valeria). Sullo sfondo di un inverno milanese i due s’innamorano forse per noia o per convenzione, ma poi la ragazza rimane incinta e le cose cambiano…. Magnifica opera d’esordio di Visconti che oltre ai consensi di critica ottiene una serie di premi, fra i quali la segnalazione di merito della giuria internazionale al festival di Venezia e il Nastro d’argento 1962 a Romolo Valli quale miglior attore non protagonista. «Le doti del regista sono notevoli. Nel film vi sono sequenze che con grande efficacia rappresentano lo scollamento generale delle coscienze, belle immagini del grigio lombardo, gustosissime note di costume, e una buona recitazione da parte di Daniele Gaubert, Enrico Thibaut e soprattutto Romolo Valli» (Grazzini).

Vietato ai minori di anni 18
ore 20.45

Tre canne e un soldo (1954)

Regia: Florestano Vancini; commento: Gerardo Guerrieri; fotografia: Antonio Sturla; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Este Film; durata: 10’



Centinaia di pescatori, ogni anno, nelle paludi alle foci del Po tagliano il fiocco delle canne con il quale sono fabbricate le scope. Un lavoro estenuante e poco remunerato…«Con questo documentario, Vancini, si assume di diritto l’epiteto di poeta del fiume, dal momento che la sua opera di documentarista procede attraverso affascinanti e variabili esplorazioni del territorio fluviale padano» (Ivelise Perniola).
a seguire

Variazioni a Comacchio (1955)

Regia: Florestano Vancini; commento: Giovanni Comisso; fotografia: Mario Bernardo; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Valpadana Film; durata: 9’



La popolazione di Comacchio e la dura lotta per la sopravvivenza in un lembo di terra circondato dalle acque. «Dopo la pausa poetica di Solleone, Vancini ritorna all’impegno sociale e mostra le dure condizioni di vita degli abitanti delle paludose terre di Comacchio, rimanendo però ancorato ad una dimensione prettamente poetica» (Ivelise Perniola).
a seguire

Scano Boa (1961)

Regia: Renato Dall’Ara; soggetto: R. Dall’Ara, Lucia Avanzi dall’omonimo romanzo di Gian Antonio Cibotto; sceneggiatura: Tullio Pinelli, Ugo Moretti, Benedetto Benedetti, Rodolfo Sonego, Giorgio Cavedon, R. Dall’Ara; fotografia: Antonio Macasoli; musica: Roman Vlad; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Carla Gravina, José Suarez, Alain Cuny, Gianfranco Penzo, Emma Penella, Walter Santesso; origine: Italia/Spagna; produzione: Cinematografica Lombarda, Ara Cinematografica, Luvi; durata: 95’



La pesca allo storione nel delta del Po è al centro di una storia di attese e di speranze, ma anche, collateralmente, di violenze e di morte. Dal romanzo di Cibotto nel 1996 è stato tratto un secondo film, interpretato da Franco Citti, nella parte del vecchio pescatore (nel film di Dall’Ara Alain Cuny) che, accompagnato dalla nipote, giunge al delta del Po per catturare uno storione. Dall’Ara si era affermato come documentarista, purtroppo i suoi lungometraggi (fra i quali segnaliamo Mercanti di vergini, girato nelle Langhe alla fine degli anni Sessanta) hanno sempre avuto problemi di distribuzione.

Vietato ai minori di anni 16
mercoledì 4

ore 17.00

Souvenir d’Italie (1957)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: Age & Scarpelli, da un’idea di Fabio Carpi e Nelo Risi; sceneggiatura: Age & Scarpelli, Dario Fo, A. Pietrangeli, [non accreditato] Armando Crispino; fotografia: Aldo Tonti; musica: Lelio Luttazzi; montaggio: Eraldo da Roma; interpreti: June Laverick, Vittorio De Sica, Isabelle Corey, Ingeborg Schoener, Isabel Jeans, Massimo Girotti; origine: Italia; produzione: Athena Cinematografica; durata: 100’



Le avventure sentimentali di tre ragazze straniere in giro per l’Italia in autostop. «Il film contiene, a giudizio mio, un capitoletto eccezionale, incisivamente buffo, sostenuto da un Alberto. Sordi straordinariamente in vena. Dunque: Sordi e il mantenutello (Sergio) di una preziosa tardona (Cynthia [Isabel Jeans]) che lo ninna e lo vezzeggia in una culla d’oro. Tema arduo e antipatico se mai ve ne furono; ma guardate come lo svolge don Alberto, qui è veramente nelle sue corde, oppure baciato in fronte con la massima foga da Talia. È un Sordi, accidenti a lui, che sfido chiunque a descrivere. “Ma quale culla d’oro? Gabbia, cari miei, gabbia”, sembra dirci. È infantile e decrepito, ingenuo e corrotto, saggio e scemo, tiranno e schiavo. […] Che veloce e nitido capolavoro di ipocrisia, di innocente bassezza, di piacevole trivialità, è il Sergio di Alberto Sordi. Vi rimarrà a lungo in mente. […] L’altro motivo che mi induce a suggerirvi di non perdere questo film, è l’Italia in technicolor e in technirama. Gesù. Dall’inizio alla fine, quale meraviglia, quale incanto, quale festa delle feste geologiche è il nostro paese. Che diavolo abbiamo fatto, sentiamo, per averlo noi, proprio noi?» (Marotta).
ore 19.00

La ragazza con la valigia (1960)

Regia: Valerio Zurlini; soggetto e sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Giuseppe Patroni Griffi, V. Zurlini; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Claudia Cardinale, Jacques Perrin, Romolo Valli, Corrado Pani, Renato Baldini, Gian Maria Volonté; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, S.G.C.; durata: 121’



Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigia è nato da un incontro. Un giorno, a Milano [...] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all’epoca faceva l’indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po’ dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini).
ore 21.15

Provini di Catherine Spaak e Stefania Sandrelli
a seguire

Io la conoscevo bene (1965)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto e sceneggiatura: A. Pietrangeli, Ruggero Maccari, Ettore Scola; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Piero Piccioni; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Stefania Sandrelli, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Robert Hoffmann, Jean-Claude Brialy, Joachin Fuchsberger; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Ultra Film, Le Film du Siècle, Roxy Film; durata: 125’



«Ecco Adriana, una bella ragazza scappata a Roma dal Pistoiese. Ha cominciato come domestica, e se sulle prime s’è dovuta difendere dal lattaio, presto le barriere del pudore contadino hanno ceduto di fronte al mito degli amori romanzeschi coltivato da fumetti e canzoni. A poco a poco Adriana scivola, diviene come un oggetto, passa da un uomo all’altro con la stessa indifferenza con cui cambia mestiere. Parrucchiera, maschera in un cinema, cassiera in un bowling, la sua vita è una collezione di cotte per tipi che le sembrano meravigliosi, di passive accettazioni di maneschi dongiovanni, di umiliazioni che appena ne scalfiscono la vergogna. Amica del sole e del neon, fanatica del giradischi, vive alla giornata senza nemmeno la tagliente ambizione dell’arrivista; ma ogniqualvolta le si schiude un orizzonte, si consegna tutta intera alla speranza d’un grande futuro. […] Probabilmente questo è il più bel film che ci abbia dato sinora Antonio Pietrangeli. Non è nato improvviso: oggi si vede, guardando a ritroso, che quasi tutti i suoi ritratti di donna (da Il sole negli occhi a Nata di marzo, da Adua e le compagne a La parmigiana e alla Visita) preludevano ad Adriana, e anticipavano qualche sua componente psicologica, prima fra tutte quella tensione a collocarsi in un paesaggio più largo. Ora soltanto, però, il personaggio è giunto a completa maturazione, e Pietrangeli (coadiuvato per il soggetto e la sceneggiatura da Maccari e Scola) è riuscito a proporcelo in tutta la sua ricchezza di motivi come amarissimo simbolo d’una moderna condizione morale e sociale» (Grazzini).

Vietato ai minori di anni 14
giovedì 5

ore 17.00

Come, quando, perché (1968)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: dal romanzo Amour terre inconnue di Martin Maurice; sceneggiatura: Tullio Pinelli, A. Pietrangeli; fotografia: Mario Montuori; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Philippe Leroy, Danielle Gaubert, Horst Buchholz, Elsa Albani, Lilly Lembo, Liana Orfei; origine: Italia/Francia; produzione: Documento Film, Columbia Films; durata: 103’



«Paola, moglie di Marco, conosce Alberto durante un ricevimento. Lui la corteggia senza risultati e lei per troncare quel rapporto che non vuole parte in anticipo per le vacanze. Raggiunta da Alberto la donna gli cede ed instaura con lui una relazione che si protrae anche dopo il ritorno in città» (Poppi/Pecorari). «Mentre sta girando il film, Pietrangeli affoga nel mare di Gaeta il 12 luglio 1968. Completato e montato da Valerio Zurlini, Come, quando, perché esce un anno dopo, senza la firma di Pietrangeli. Si possono fare alcune considerazioni. Al centro del racconto è ancora una figura femminile, Paola, signora della ricca borghesia torinese, sposata felicemente, che scopre il piacere di una sessualità vissuta senza inibizioni solo dopo una relazione extraconiugale. Le novità significative sono date dalla tonalità e dal linguaggio. Non è più la commedia a fornire l’intelaiatura. Il climax è quello tormentato di un dramma a sfondo sessuale. Il cambio di registro linguistico è notevole rispetto a Io la conoscevo bene [...]. Per la prima volta, dopo molti anni, la sceneggiatura non è scritta insieme a Maccari, ma con Tullio Pinelli. L’assenza di Maccari è temporanea [...]. La sceneggiatura prevedeva, tra l’altro, anche la partecipazione di Allen Ginsberg, nella parte di se stesso, che recita versi durante una serata di poesia» (Maraldi).
ore 19.00

Il magnifico cornuto (1964)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: dalla commedia Le cocu magnifique di Fernand Crommelynck; sceneggiatura e dialoghi: Diego Fabbri, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Stefano Strucchi; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Armando Trovajoli; interpreti: Ugo Tognazzi, Claudia Cardinale, Salvo Randone, Paul Guers, Bernard Blier, Michèle Girardon; origine: Italia/Francia; produzione: Sancro, Les Films Copernic; durata: 124’



Un uomo, dopo aver tradito la moglie con una donna sposata, si rende conto della facilità con la quale avvengono i tradimenti e incomincia a insospettirsi della moglie e a ossessionarla con la sua gelosia. Finché la moglie è costretta a confessargli un tradimento… «In realtà egli non tanto vuole che la moglie gli sia fedele: quanto di non soffrire più di gelosia» (Moravia). «Gli sceneggiatori si servono dell’ossessione del protagonista per indagare vizi e virtù di una borghesia provinciale, non assillata da problemi economici, tutta presa da pruriti sessuali, da relazioni extraconiugali da imbastire e da nascondere. Da una di tali relazioni nasce il meccanismo che farà scattare nel protagonista prima il dubbio e poi il tormento» (Maraldi).

Vietato ai minori di anni 14
ore 21.10

Fata Marta (ep. de Le fate, 1966)

Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: dal romanzo Amour terre inconnue di Martin Maurice; sceneggiatura: Rodolfo Sonego; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Alberto Sordi, Capucine, Anthony Steel, Olga Villi, Gigi Ballista; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 35’



Un cameriere-autista presta servizio per una serata da una contessa durante una festa. Sul finire della serata viene incaricato di portare una camomilla in una stanza da letto. Qui trova una donna ubriaca e seminuda sdraiata sul letto, che lo invita a fare l’amore. Il giorno dopo scoprirà che la donna è la moglie del professore, dal quale è stato chiamato a prestare servizio come autista, grazie all’interessamento della contessa… «In questo breve e gustoso racconto dall’impianto chapliniano (quando lei è ubriaca si rivolge a Giovanna come a un amante, quando è sobria lo tratta da persona di servizio), Pietrangeli si limita al ruolo di director, muovendosi con sicurezza e ironia negli ambienti dell’alta società» (Maraldi). Gli altri episodi sono diretti da Luciano Salce, Mario Monicelli, Mauro Bolognini.
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