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Volume primo traduzione italiana, introduzione e note: paola de paolis edizioni mediterraneelatin penauroville


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Canto Primo
L'Aurora Simbolica

Era l'ora che precede il risveglio degli Dei. Attraverso il cammino del divino

Evento, l'immenso, presago spirito della Notte, solo nel suo tempio d'eternità

senza luce, giaceva immobile sull'orlo del Silenzio. Si sentiva quasi, opaco,

impenetrabile, nel cupo simbolo del suo cieco sognare, il baratro dell'Infinito

incorporeo; uno zero insondabile occupava il mondo.



(10) Il potere d'un illimitato sé caduto, sveglio tra il primo e l'ultimo Niente,

ricordando il grembo tenebroso da cui era venuto, si distoglieva dall'insolubile

mistero della nascita e dal lento processo della mortalità, bramando d'arrivare

alla sua fine nel vacuo Nulla. Come in un oscuro inizio di tutto, un'indistinta

parvenza muta dell'Ignoto, ripetendo in eterno l'atto inconscio, prolungando in

eterno la volontà che non vede,



(20) cullava l'assopimento cosmico della Forza ignorante il cui sonno creativo,

animato, accende i soli e nel suo vortice sonnambulo porta le nostre vite.

Solcando la vana, enorme trance dello Spazio, informe il suo stupore senza mente

né vita, ombra roteante in un Vuoto senz'anima, rigettata una volta ancora in

sogni privi di pensiero, la terra girava abbandonata nei cavi abissi, dimentica

dello spirito suo e del suo destino. Gli impassibili cieli erano vuoti,

immobili, neutrali.

(30) Qualcosa allora s'agitò nell'ombra inscrutabile; un movimento senza nome,

un'Idea impensata, insistente, insoddisfatta, senza uno scopo, qualcosa che

voleva esistere ma non sapeva come, tormenta l'Incosciente per risvegliare

l'Ignoranza. Uno spasimo che venne e lasciò una traccia vibrante permise a un

antico, stanco bisogno inappagato, in pace nella sua caverna subcosciente

illune, d'alzare il capo in cerca d'una luce assente, forzando occhi chiusi di

svanita memoria,

(40) come chi ricerchi un sé passato e incontri solo il cadavere del suo

desiderio. Era come se nel profondo stesso di questo Nulla, nel cuore stesso di

quest'ultima dissoluzione, si celasse un'entità smemorata, superstite d'un

passato ucciso e sepolto, condannata a riprendere lo sforzo e la pena rivivendo

in un altro mondo di frustrazione. Una coscienza non formata desiderò la luce e

una vuota prescienza anelò a un remoto mutamento.



(50) Quasi dito di bimbo posato sulla gota della distratta Madre dell'Universo a

ricordarle il bisogno infinito nelle cose, (I) una voglia infante afferrò la

cupa Vastità. Impercettibile, una breccia s'aprì da qualche parte: una lunga

linea solitaria, di colore incerto, come un vago sorriso che tenti un cuore

deserto, fece tremare l'orizzonte lontano del sonno oscuro della vita. Giunto

dall'altra riva del senza-limite, l'occhio d'un dio penetrò i muti abissi;



(60) esploratore in ricognizione dal sole, sembrava, in mezzo a una pesante stasi

del cosmo e al torpore d'un mondo malato e stanco, cercare uno spirito solo e

desolato, troppo abbattuto per risovvenirsi della perduta beatitudine.

Intervenendo in un immemore universo, il suo messaggio s'infiltrò nel riluttante

silenzio chiamando l'avventura della coscienza e della gioia, (II)

e, conquistando il seno disilluso della Natura, impose il rinnovato assenso a

vedere e a sentire.

(70) Un pensiero attecchì nell'insondato Vuoto, un senso nacque nel fondo della

tenebra, palpitò nel cuore del Tempo una memoria come se un'anima, morta da

tanto, fosse sospinta a vivere; ma l'oblio che succede alla caduta cancellato

avea le fitte iscrizioni del passato, e ogni cosa distrutta era da ricostruire e

l'antica esperienza da elaborare ancora una volta. Tutto è possibile se c'è il

tocco divino. Una speranza che appena osava esistere s'insinuò



(80) nella triste indifferenza della Notte. Come una meraviglia errante senza un

luogo per vivere, lasciata orfana e cacciata a cercare un asilo, che mendichi in

un mondo straniero con timida e azzardata grazia istintiva, entrò in un angolo

di cielo remoto l'indistinto richiamo d'un gesto lento e miracoloso. Il

persistente trasalimento d'un contatto trasfigurante persuase la nera quiete

inerte e bellezza e prodigio turbarono i campi di Mo.



(90) Una mano vagante di pallida luce incantata ch'ardeva lungo il margine d'un

momento in dissolvenza, fissò con pannello d'oro e cardine opalescente una porta

di sogni socchiusa sulla soglia del mistero. Un solo angolo lucente ch'apriva

una finestra sulle cose nascoste costrinse la cieca immensità del mondo a

vedere. Svanì l'ombra, scivolando come una veste che cade dal corpo reclinante

d'un dio. Allora dal fioco spiraglio che sembrava dapprima bastare appena a

distillare i soli,

(100) sgorgò la rivelazione e la fiamma. Riapparve, in alto, il breve segno

eterno. Malia dalle trascendenze non raggiunte, iridescente della gloria

dell'Invisibile,

messaggio della sconosciuta Luce immortale

in fiamme sul confine vibrante della creazione,

l'alba costruì la sua aura di tinte magnifiche

seppellendone il seme di grandezza nelle ore.

Balena, visita d'un istante, la natura divina:

per un poco, alla frontiera sottile della vita la Visione si tenne

(110) e s'inclinò sulla curva della fronte assorta della terra.

Interpretando una recondita bellezza e beatitudine

in geroglifici di colore dal senso mistico,

tracciò le linee d'un simbolico mito

che narrava una grandezza d'aurore spirituali,

codice radioso scritto sulla pagina del cielo.

Quel giorno quasi fu svelata l'epifania

i cui luminosi segnali sono i nostri pensieri e le speranze.

Un solitario splendore che giungeva dalla meta invisibile

fu quasi gettato sul Vuoto opaco.



(120) Ancora una volta un passo turbò le Distese deserte;

un Volto di calma estatica, centro dell'infinito,

schiuse le eterne palpebre ch'aprono il cielo;

una Forma da lontane beatitudini sembrò appressarsi.

Ambasciatrice fra eternità e mutamento,

la Dea onnisciente si chinò attraverso le distanze

che avvolgono i viaggi predestinati delle stelle

e vide preparati gli spazi al suo piede.

Guardò appena indietro, una volta, in cerca del suo sole velato,

poi intraprese, pensosa, il suo lavoro immortale.



(130) La terra sentì vicino il passaggio dell'Imperitura:

l'orecchio insonne della Natura udì i suoi passi

e la vastità volse a lei il suo sguardo immenso;

diffuso sulle segrete profondità, il suo sorriso luminoso

si accese a infiammare il silenzio dei mondi.

Tutto divenne una consacrazione, un rito.

L'aria un vibrante anello fu tra la terra e il cielo;

a larghe ali spiegate, l'inno d'un grande vento sacerdotale

si sollevava e moriva sull'altare dei monti;

gli alti rami pregavano in un cielo di rivelazione.



(140)Qui, dove la penombra della nostra ignoranza rasenta abissi sul muto seno

della terra ambigua, qui, dove neppure il passo successivo si conosce e la

Verità ha il trono sull'ombroso dorso del dubbio, su quest'angosciato e precario

campo di lavoro dispiegato sotto qualche ampio sguardo indifferente, testimone

imparziale delle nostre gioie e pene, il nostro suolo prostrato sostenne il

raggio del risveglio. Anche quaggiù la visione e il bagliore profetico accesero

di miracolo le comuni forme insensate;

(150) poi l'afflato divino, alla fine, si ritrasse, indesiderato, svanendo dalla

sfera dei mortali. Sulla sua traccia indugiò un sacro anelito, l'adorazione

d'una Presenza e d'un Potere troppo perfetti per dimorare in cuori legati alla

morte, il presagio d'una nascita a venire meravigliosa. Solo un poco la luce

divina può restare: la spirituale bellezza che illumina l'umana visione riveste

della sua passione e il suo mistero la maschera della Materia e dissipa

l'eternità in un battito del Tempo. Come, quando un'anima s'accosta alle soglie

del nascere congiungendo il tempo umano al Senza-Tempo, scintilla di divinità

perduta nella cripta della Materia, il suo splendore scompare nei piani

incoscienti, così quell'ardore passeggero di magico fuoco si dissolveva ora

nella chiarezza consueta dell'aria. Cessò il messaggio e la messaggera

scomparve. Il Richiamo unico, il Potere senza compagni, ricondusse in qualche

lontano mondo segreto il colore e la meraviglia del raggio superno: lei non

guardò più la nostra esistenza mortale. L'eccesso di bellezza, naturale alla

specie divina, non poté mantenere la presa su occhi nati nel tempo; di realtà

troppo mistica per abitare lo spazio, il suo corpo di gloria fu radiato dal

cielo: più non viveva la rarità e il prodigio.

Ci fu la luce ordinaria del giorno terrestre.

Scioltosi dalla pausa concessa alla sua fatica,

una volta ancora il rumore della corsa della Vita

insegui i cicli della sua accecata ricerca.

(180) Tutti si precipitarono ai quotidiani atti invariabili;

i mille esseri del suolo e dell'albero

obbedirono all'impulso dell'istante avventato,

e in prima fila, qui, con la sua mente incerta,

solo a fissare il volto coperto del futuro,

l'uomo il peso sollevò del suo destino.

Ed anche Savitri si svegliò in mezzo a queste tribù

che raggiungevano in fretta il canto del brillante Convocatore

e, sedotte dalla bellezza delle vie apparenti,

plaudivano alla loro porzione di gioia effimera.



(190) Imparentata all'eternità da cui veniva,

lei non prese parte a questa esigua felicità;

potente straniero nel campo umano,

non rispondeva l'Ospite interiore incarnato.

L'appello che suscita lo slancio della mente umana,

il suo appassionato e fortunoso moto d'inseguimento,

la sua illusione di desiderio dalle tinte cangianti,

visitò il Suo cuore come una dolce nota aliena. (III)

La breve luce del messaggio del Tempo non era per lei.

In lei era l'angoscia degli dei



(200) imprigionati nella nostra forma umana transeunte,

l'angoscia degli immortali vinti dalle morte delle cose.

Sua era stata una volta la gioia d'una Natura più vasta,

una gioia che non poteva conservare a lungo il suo aureo colore divino

o mantenersi su questa fragile base terrestre.

Movimento angusto sul profondo abisso del Tempo,

la piccolezza inferma della vita rifiutò il potere,

l'ampiezza fiera e cosciente e la felicità

da lei portati nella forma umana,

la calma delizia che sposa un'anima a tutte le anime,



(210) la chiave delle fiammanti pone dell'estasi.

La semenza terrestre ch'esige la linfa del piacere e le lacrime respinse il dono

del rapimento eterno: alla figlia dell'infinità offri il suo fior-della-

passione: amore e fato. Vano sembrava ora il sacrificio splendido. Prodiga della

Sua ricca divinità, avea prestato agli uomini il Suo sé e tutto ciò ch'ella era,

sperando di radicare il Suo essere più vasto e acclimatarlo nella loro vita

corporea

(220) perché il cielo potesse crescere innato sul suolo mortale. Difficile è

persuadere la natura terrestre a cambiare; la condizione umana mal sopporta il

tocco dell'eterno: teme la pura, divina intolleranza (IV) di quell'assalto

d'etere e di fuoco;

Mormora contro la sua felicità che non conosce tristezza, quasi con odio rifiuta

la luce ch'esso porta; trema al suo nudo potere di Verità, alla forza e dolcezza

della sua Voce assoluta. Infliggendo alle cime la legge dell'abisso,

(230) sporca col suo fango i messaggeri del cielo: le sue spine di natura caduta

volge a difesa contro le mani redentrici della Grazia; ripaga i figli di Dio con

la mone e il dolore. Lampi di gloria che attraversano la scena terrestre, i loro

pensieri solari eclissantisi, oscurati da menti ignoranti, il loro lavoro

tradito, il loro bene converso in male, la croce il compenso per il dono d'una

corona, essi non lascian dietro a sé che lo spendore d'un Nome. Un fuoco è

giunto, ha sfiorato il cuore degli uomini e se n'è andato;

(240) pochi si sono accesi e elevati a una vita più nobile. Troppo diversa dal

mondo che veniva a soccorrere e a salvare, la Sua grandezza pesava su quel petto

ignorante e dai baratri foschi scaturì una risposta terribile, porzione della

sua pena, della sua lotta e caduta. Vivere con il dolore, affrontare la morte

sulla Sua strada, - la sorte del mortale venne condivisa dall'Immortale.

Presa così nella trappola dei destini terrestri,

dimorava attendendo l'ora della Sua prova,

bandita dalla Sua innata felicità,



(250) accettando l'oscura veste terrena della vita,

celandosi a quelli stessi che amava,

la divinità resa più grande da un umano destino.

Una cupa prescienza la divideva

da tutti quelli di cui era la stella e il sostegno;

troppo grande per sparire il pericolo e la pena,

nell'intimo Suo lacerato serbava il dolore a venire.

Essendo colei che vegliando su uomini ciechi e abbandonati

raccoglie il peso d'una razza incosciente,

ospitando un nemico da nutrire col Suo cuore,



(260) ignorata la Sua azione, ignorato il destino che affrontava,

senz'aiuto doveva prevedere, temere ed osare.

Era giunto il fatale mattino previsto da tanto,

portando un meriggio simile agli altri meriggi.

Ché la Natura segue la sua via possente

senza badare all'anima, alla vita che spezza;

lasciando dietro le sue vittime, prosegue il suo cammino:

solo l'uomo s'accorge, e l'occhio onniveggente di Dio.

Perfino in tale momento di disperazione dell'anima,

al macabro incontro di questa con la mone e la paura,



(270) non un lamento proruppe dalle Sue labbra, nessuna invocazione d'aiuto;

a nessuno disse il segreto della Sua sventura:

calma era in volto, muta di coraggio.

Ma soffriva e lottava solo il Suo sé esteriore;

anche la Sua umanità era semi-divina:

il Suo spirito aprivasi allo Spirito in tutto,

la Sua natura sentiva l'intera Natura appartenerle.

In disparte, vivendo interiormente, sosteneva tutte le vite;

distante, ponava in Sé il mondo;

il Suo terrore era lo stesso che il grande terrore cosmico,



(280) la Sua forza era fondata sulle potenze cosmiche,

il Suo amore era quello della Madre universale.

Contro il male che affligge la vita alle radici,

di cui la Sua propria sventura era il segno personale, lei fece dei Suoi

tormenti una mistica spada acuminata. Mente solitaria, cuore vasto come il

mondo, era all'altezza del lavoro incondiviso ch'è del solo Immortale.

All'inizio la vita non si dolse sul Suo petto oppresso: sul grembo

dell'originaria sonnolenza della terra, inerte, abbandonata nell'oblio,



(290) essa riposava prona, inconscia al limite della mente, ottusa e tranquilla

come la pietra e la stella. In una profonda fessura di silenzio fra due regni,

lei giaceva lontana dall'angoscia, non straziata da affanni, (V) nulla

ricordando della tristezza di qui. Lenta si mosse allora una memoria pallida

come un'ombra, ed ella, sospirando, si pose una mano sul petto e riconobbe il

dolore intimo e persistente, profondo, calmo, antico, connaturato al suo luogo,

ma ignorava perché ci fosse o da dove venisse.

(300) Ritirato era ancora il Potere che accende la mente: pesanti, riluttanti

erano i servitori della vita come operai cui manchi il salario della gioia;

imbronciata, la fiaccola dei sensi rifiutava di ardere; il cervello, privo

d'aiuto, non trovava il proprio passato. Solo una vaga natura terrestre

manteneva la forma d'insieme. Ma ora lei si animava e la Sua vita condivideva il

peso del cosmo. All'invito del richiamo muto del Suo corpo, il Suo spirito

forte, uso a voli lontani, riandò indietro, indietro,

(310) verso il giogo dell'ignoranza e del fato, verso la fatica e la tensione dei

giorni umani, illuminando un sentiero mediante strani sogni simbolici attraverso

il riflusso dei mari del sonno. La Sua dimora di Natura sentì un influsso

invisibile, presto le ottenebrate stanze della vita si rischiararono, i battenti

della memoria s'aprirono sulle ore e i piedi stanchi del pensiero s'accostarono

alle Sue porte. Di tutto si risovvenne: la Terra, l'Amore e il Fato, antichi

avversari, la circondarono,

gigantesche figure in lotta nella notte:



(320) le divinità nate dall'oscuro Incosciente si risvegliarono al conflitto e al

tormento divino, e all'ombra del Suo cuore in fiamme, al centro cupo della

feroce contesa, un guardiano dello sconsolato abisso, erede dell'agonia lunga

del globo, forma pietrificata del sublime Dolore d'un dio, fissò lo spazio con

occhi senza sguardo che vedevano profondità infinite di pena ma non lo scopo

della vita. Afflitto dalla sua rude divinità,



(330) legato al suo trono, egli attendeva inappagato la quotidiana oblazione

delle lacrime Sue non versate. Tutta la fiera questione delle ore dell'uomo

tornò a vivere.

Il sacrificio della sofferenza e del desiderio

che la terra offre all'Estasi immortale

ricominciò sotto la Mano eterna.

Lei sopportò, ridesta, la marcia serrata dei momenti,

guardò questo mondo verde che sorrideva pericoloso

e udì il pianto delle cose viventi.

In mezzo ai suoni insignificanti e alla scena immutabile,



(340) l'anima Sua si levò affrontando il Tempo e il Destino. Immobile in se

stessa, raccolse la Sua forza. Era il giorno in cui Satyavan doveva morire.


Fine del Canto Primo

NOTE SPECIALI

I Inversione dei versi 51 e 52 del testo originale.

II "gioia" (comparata con "felicità" e "beatitudine"): vedi Glossario.

III Per evitare ambiguità. utilizziamo la maiuscola per tutti i pronomi e aggettivi possessivi riferentisi a Savitri.

IV A proposito del significato di "intolleranza", vd. nota relativa in fine di volume.

V "lei": Savitri.


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