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V convegno internazionale degli ordinari militari


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V CONVEGNO INTERNAZIONALE DEGLI ORDINARI MILITARI

Città del Vaticano, 24 Ottobre 2006




Il diritto all'assistenza religiosa dei militari inviati in missione di pace

e la necessità della formazione al diritto internazionale umanitario

S.E. Mons. Giampaolo CREPALDI



Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

Sono particolarmente lieto di partecipare al V Convegno Internazionale degli Ordinari Militari, dedicato al tema “Ministerium Pacis Inter Arma”, e prendere la parola sul tema: “Il diritto all’assistenza religiosa dei militari inviati in missione di pace e la necessità della formazione al diritto internazionale umanitario”. Desidero, pertanto, ringraziare la Congregazione per i Vescovi, e in particolare il Prefetto, l'Eminentissimo Sig. Cardinale Re, nonché l’Ufficio Centrale di Coordinamento Pastorale degli Ordinariati Militari, per avermi invitato e offerto la preziosa opportunità di trattare un argomento di grande attualità e crescente importanza.




La vocazione del militare cristiano
Nel mondo contemporaneo si assiste ad un'evoluzione del ruolo dei militari, sempre più impegnati in operazioni umanitarie e missioni di pace a seguito di una guerra (le cosiddette missioni di peace-keeping e di peace-building, nel linguaggio giuridico internazionale). I militari sono chiamati ad essere, e percepiti dalla società civile, come “operatori di pace” (Mt 5, 12) o, secondo il Concilio Vaticano II, come “ministri della sicurezza e della libertà” (Gaudium et spes, n. 79). In una più ampia prospettiva, come sottolinea il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, "ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo" (n. 502).

Le missioni di pace sono uno strumento provvidenziale sotto diversi aspetti: esse rappresentano una testimonianza di solidarietà verso gli indifesi, un contributo alla promozione dei diritti umani e delle istituzioni democratiche, e un motivo di speranza per la sicurezza e la pace a livello locale e internazionale. Dal 1948 al 2006 vi sono state sessanta missioni di pace sotto l'egida delle Nazioni Unite (più di quindici quelle in corso), tutte in aree del mondo o paesi attraversati da gravi conflitti e tensioni di natura politica, culturale o religiosa (basti citare le attuali missioni in India/Pakistan, Sudan e Medio Oriente, o la recente missione in Libano); altre missioni sono in corso sotto l'egida della NATO (come in Afganistan e Iraq). In tali contesti, come sottolinea il Primo Sinodo della Chiesa Ordinariato Militare in Italia del 1999, il militare cristiano, in particolare, è chiamato a distinguersi “non soltanto per l’integrità della propria vita e per l’accoglienza incondizionata verso tutti, ma anche per la chiarezza delle ragioni morali che lo ispirano nella sua professione” (Chiesa Ordinariato Militare, n. 45).


In questa prospettiva, si comprende, pertanto, l’importanza dell’assistenza spirituale e della formazione al diritto umanitario dei militari in missione di pace.
La Chiesa Ordinariato Militare: “popolo cristiano militare”
Come sottolineava l'indimenticabile Servo di Dio Giovanni Paolo II, la Chiesa “ha sempre voluto provvedere con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato … alla cura spirituale dei militari” (Costituzione apostolica “Spirituali militum curae”, para. 1). Infatti, continuava Papa Wojtyla, i militari “costituiscono un determinato ceto sociale” che, “per le peculiari condizioni della loro vita … hanno bisogno di una concreta e specifica assistenza pastorale” (Ibid.). Queste affermazioni hanno una duplice valenza, individuale e comunitaria. Da un lato, ciascun militare, come battezzato, a ragione della sua condizione di vita, ha bisogno di una specifica assistenza. Dall'altro lato, il militare, è membro di una Chiesa particolare, la Chiesa Ordinariato Militare, composta (oltre che da una specifica gerarchia ecclesiastica) dal cosiddetto “popolo cristiano militare”, cioè i militari e gli impiegati nelle forze armate; le loro famiglie e le persone di servizio, in caso di coabitazione; gli studenti nelle scuole militari, i degenti e gli impiegati negli ospedali e nelle case di riposo militari; e tutti i fedeli, membri o meno di un istituto religioso, che svolgono stabilmente un’attività per incarico o con il consenso dell’Ordinario militare (Spirituali militum curae, nn. I e X).

Risulta chiaro, allora, come l'assistenza spirituale del militare, per essere concreta e specifica, vada adattata allo status del militare, il quale, prima di essere membro di un "ceto sociale", quello militare, è membro di una comunità familiare ed ecclesiale.

La comunità e la comunione sono un elemento essenziale nel percorso spirituale di ogni cristiano, ma lo sono ancora di più per chi è inserito nella realtà militare, dove il forte senso di appartenenza e l'inquadramento gerarchico possono affievolire il senso di appartenenza alla famiglia e alla Chiesa.
Lo status giuridico delle missioni di pace
Sottolineate le particolari esigenze pastorali dell’assistenza, sembra ora opportuno definire il diritto all'assistenza spirituale del militare inviato in missione di pace. In via preliminare, tuttavia, bisogna stabilire lo status giuridico delle missioni di pace. La stessa espressione “missione di pace” sembra implicare la non applicabilità del diritto umanitario, vigente in tempo di guerra. Nel contesto delle Nazioni Unite, le missioni di pace sono quelle autorizzate ai sensi del capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite. Queste sono disciplinate dagli accordi stipulati fra le Nazioni Unite e gli Stati partecipanti alla missione, e da speciali strumenti internazionali, come la Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e associati del 1994. Secondo l'articolo 2 della suddetta convenzione, questa non si applica "ad un'operazione autorizzata dal Consiglio di Sicurezza … ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite" (il capitolo VII, è bene ricordare, disciplina le azioni militari delle Nazioni Unite e la legittima difesa degli Stati a seguito di un’aggressione). Seguendo tale impostazione, il diritto all’assistenza spirituale dei militari in missione di pace sarebbe disciplinato dal diritto internazionale vigente in tempo di pace, e in particolare dagli strumenti sui diritti umani. Quanto si va affermando trova una conferma nell'articolo 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, secondo il quale alcuni diritti fondamentali, fra i quali la libertà di religione o credo, sono inderogabili anche "in caso di pericolo pubblico eccezionale che minacci l'esistenza della nazione".

Nella realtà, tuttavia, non è agevole distinguere fra guerra (soggetta al diritto umanitario) e missione di pace (soggetta al diritto internazionale di pace). Un esempio recente è l'Azione di Assistenza delle Nazioni Unite per l'Iraq (UNAMI), considerata (soprattutto dopo la caduta di Saddam Hussein del 2003), come missione di pace, ma autorizzata dal Consiglio di Sicurezza secondo il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (cfr. Risoluzione 1546 del 2004). Inoltre, la resistenza armata alla missione di pace determina, di fatto, uno stato di guerra, quindi l'applicazione del diritto umanitario.

A fronte di tale complessità le missioni di pace sono soggette ad una disciplina mista. Infatti, secondo un documento adottato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite nel 1999, "i principi e le regole fondamentali del diritto internazionale umanitario sono applicabili anche alle operazioni di peace-keeping" (Osservanza del diritto internazionale umanitario da parte delle forze delle Nazioni Unite, articolo 1). Inoltre, secondo la Convenzione sulla sicurezza del personale delle Nazioni Unite e associati, il personale fatto prigioniero in attesa del rilascio "dovrà essere trattato in conformità degli standard internazionali di tutela dei diritti umani e dei principi e dello spirito delle Convenzioni di Ginevra del 1949" (articolo 8). Per concludere su questo punto, sembra corretto ritenere che la missione di pace abbia uno statuto giuridico misto, e che l’assistenza spirituale dei militari in missione di pace sia disciplinato dagli strumenti sui diritti umani, fatti salvi i casi di applicazione del diritto umanitario.

Questa soluzione sembra la più favorevole al militare, considerata la presenza di strumenti giuridicamente vincolanti, come il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il quale afferma in maniera ampia e inderogabile il diritto di ognuno alla libertà di religione o credo; e prevede un sistema di ricorso al Comitato dei diritti dell'uomo in caso di violazione dei diritti umani.



Il diritto all’assistenza spirituale del militare in missione di pace
Individuato il quadro normativo di riferimento, passiamo ora alla definizione del diritto all’assistenza spirituale dei militari in tempo di pace. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, richiamando la formulazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, afferma che la libertà di religione o credo "include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo di propria scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti, nelle pratiche e nell'insegnamento" (articolo 18, comma 1). Come precisa il Comitato dei diritti dell’uomo nel commento all'articolo 18 del 1993, "la pratica e l'insegnamento della religione o credo include … la libertà di scegliere i propri leader religiosi, preti e insegnanti, la libertà di stabilire seminari e scuole religiose e la libertà di preparare e distribuire testi o pubblicazioni religiosi" (General commet n. 22, p. 4).

L'articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, così come interpretato dal Comitato dei diritti dell’uomo, sembra garantire in maniera adeguata sia il diritto all'assistenza spirituale del militare in missione di pace, sia l'attività pastorale della Chiesa Ordinariato Militare.

Le suddette fonti giuridiche, infatti, riconoscono al militare in missione di pace: a) il diritto di manifestare la propria religione, individualmente o in comunione con altri, in pubblico e in privato; b) il diritto ad una guida spirituale e ad un insegnante. In tale contesto, inoltre, è prevista la facoltà di stabilire seminari e scuole, e di preparare o distribuire testi e pubblicazioni di carattere religioso.


Contenuti del diritto all'assistenza spirituale
L'esistenza di un diritto sollecita una breve riflessione sui contenuti dell'assistenza spirituale dei militari in missione di pace. Come accennato in precedenza, l'assistenza spirituale del militare deve essere concreta e specifica. Tale specificità è motivata dallo stato di vita e dal servizio svolto dal militare, chiamato ad essere costruttore della pace, ma ancora di più dal senso che la pace ha per il cristiano. Il militare cristiano, infatti, è chiamato non solo a prevenire, gestire o porre fine ad un conflitto, ma a contribuire alla riconciliazione e alla costruzione di un ordine fondato sulla verità, sulla giustizia, sull'amore e sulla libertà, secondo la magistrale definizione di pace fornita dal Beato Giovanni XXIII nella Pacem in terris (nn. 18 ss.). Il militare cristiano in missione è chiamato ad essere testimone del Vangelo in situazioni difficili e talora drammatiche, e a dare speranza ai più deboli e indifesi; è inoltre chiamato a cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo all'interno della stessa realtà militare, con fermento apostolico e missionario, come afferma la Costituzione apostolica Spirituali militum curae (n. IX).

Su tali basi è di fondamentale importanza l'evangelizzazione e la catechesi dei militari. In particolare, la pastorale militare dovrebbe promuovere la carità (in particolare durante i conflitti armati, come lascia intuire il felice titolo di questo Convegno: Ministerium Pacis Inter Arma) e la dignità umana, l'unità della famiglia umana e la pace, e soprattutto coltivare una spiritualità eucaristica: l'Eucaristia è il sacramento della comunione, dell’amore e della pace.

Inoltre, come già accennato, dovrebbe essere promosso il senso di appartenenza del militare alla propria famiglia e alla Chiesa. In tale prospettiva, dovrebbe essere prestata particolare attenzione alla cura spirituale della famiglia del militare, la quale, assieme alla Chiesa, è chiamata a sostenere umanamente e spiritualmente il militare in missione.

Infine, avendo le missioni di pace natura prevalentemente internazionale, e quindi fornendo al militare cattolico l'opportunità di confrontarsi con militari e civili di diverse religioni, in coerenza al Magistero, dovrebbe essere coltivato nel militare uno spirito ecumenico verso i cristiani, e di dialogo con i fedeli di altre religioni. Su tali basi, come notava il Servo di Dio Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dei militari e delle forze di polizia del 2000, ai militari "si addice il ruolo di sentinella, che guarda lontano per scongiurare il pericolo e promuovere dappertutto la giustizia e la pace" (n. 2).


La formazione del militare al diritto umanitario
Passiamo a questo punto alla seconda parte del tema: la formazione dei militari al diritto internazionale umanitario. Come ha sottolineato il Santo Padre Benedetto XVI nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace del 2006: “il diritto umanitario è da annoverare tra le espressioni più felici ed efficaci delle esigenze che promanano dalla verità della pace” (n. 7). Il diritto umanitario, infatti, è animato dal nobile intento di affermare la dignità umana e la solidarietà fra le parti avverse, e di mitigare l’inumanità della guerra (Gaudium et spes n. 78). Il cristianesimo, con il suo patrimonio umano e spirituale, e con la testimonianza di sacerdoti e fedeli laici che nei secoli si sono dedicati all’assistenza materiale e spirituale dei militari, ha svolto un ruolo centrale nella genesi e nello sviluppo del diritto umanitario. Lo stesso Henry Dunant, fondatore del Comitato internazionale della Croce Rossa, nel diario “Un souvenir de Solférino”, dove annota le impressioni avute durante la battaglia di Solferino del 1859, considera l’affermazione della dignità umana in guerra una questione di universale importanza dalla prospettiva umana e cristiana (cfr. Un souvenir de Solférino, Genève, 1990, p. 114).

Nel mondo di oggi il diritto umanitario si deve confrontare con questioni molto complesse, tali da mettere in dubbio la sua stessa aderenza alla realtà e applicabilità: basti citare la guerra globale contro il terrorismo; la crescita del numero di conflitti locali dai gravi riflessi internazionali; l’avanzare dei concetti di guerra asimmetrica e di guerra preventiva; l’istituzione della Corte penale internazionale; l'impiego di sempre più sofisticati e letali armamenti; oppure la recente approvazione dell’emblema addizionale del Movimento internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, cosiddetto “cristallo rosso”, il quale, pur avendo natura addizionale e non sostitutiva di quelli tradizionali, nel lungo periodo potrebbe essere strumentalizzato per combattere i simboli religiosi, e in particolare la croce rossa. Malgrado l’esigenza di una riforma migliorativa, tuttavia, non possono essere messi in discussione i principi e i fondamenti e la corretta applicazione del diritto umanitario, come sottolinea il Santo Padre Benedetto XVI nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace del 2006 (n. 7).

Si comprende, pertanto, l'importanza della formazione del militare al diritto umanitario, considerata dalla Chiesa Ordinariato Militare come fase preliminare ed elemento essenziale della evangelizzazione stessa del militare (La Chiesa Ordinariato Militare, n. 8). Come si trova nel citato documento del Primo Sinodo della Chiesa Ordinariato in Italia del 1999: “per quanto possibile, la Chiesa Ordinariato Militare si propone di dedicare intelligente, prudente e rispettosa attenzione alla cultura militare, ai metodi e sistemi didattici, ai principi e contenuti ispiratori della dottrina e della prassi militare”; questo, continua il documento sinodale, per integrare con i principi della religione Cattolica la formazione delle Forze Armate (La Chiesa Ordinariato Militare, nn. 10-11).


La Santa Sede e la promozione del diritto umanitario
La Santa Sede sostiene lo sviluppo del diritto umanitario sin dai suoi inizi, e oltre ad avere aderito a tutti gli strumenti vigenti in materia (a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1864), ha adottato uno specifico impegno per la promozione e la formazione al diritto umanitario. Nel 2003, infatti, durante la 28° Conferenza internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, la Santa Sede ha assunto due impegni per la promozione del diritto umanitario, consistenti nel: 1. Organizzare appropriate iniziative a carattere interreligioso per difendere la dignità umana durante i conflitti armati e a promuovere il rispetto del diritto internazionale umanitario; 2. Continuare il programma di formazione al diritto umanitario dei cappellani cattolici in servizio presso le forze armate. In adempimento a tali impegni, nel 2003 il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in collaborazione con la Congregazione per i Vescovi, ha organizzato il 1° Corso internazionale di formazione dei cappellani militari cattolici al diritto umanitario (Roma, 25-26 marzo 2003), i cui atti si trovano in un volume curato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2004. Sempre in adempimento degli impegni assunti dalla Santa Sede nel 2003, sono inoltre lieto di annunciare che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in collaborazione con la Congregazione dei Vescovi, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sta organizzando il 2° Corso internazionale di formazione al diritto umanitario, che avrà carattere interreligioso e sarà dedicato al tema "Dignità umana e diritto internazionale umanitario: Il contributo delle religioni".

Il corso si ispira al tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace del 2007: "La persona umana: cuore della pace", e vedrà la partecipazione di rappresentanti di diverse religioni, oltre che di esperti e personalità del mondo politico e militare.


Conclusione
Mi avvio a concludere. Nella prospettiva cristiana, la pace rappresenta un valore da perseguire in ogni ambito della vita umana, privata e pubblica, ed è un diritto fondamentale di ogni persona e popolo. Essa infatti, costituisce il dono e il messaggio di Gesù Cristo, venuto a portare la pace (Gv 14, 27); nonché la missione della Chiesa, che in Cristo è essa stessa "sacramento, cioè segno e strumento della pace nel mondo e per il mondo" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2000, n. 20). Tuttavia, come nota il Concilio Vaticano II, la guerra non è estirpata dalla condizione umana; circostanza, questa, che giustifica l'esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace (Gaudium et spes, n. 79).

In tale contesto, assumono un ruolo particolare le missioni di pace, con le quali si tende a consolidare o ristabilire la pace a seguito di un conflitto armato; missioni nelle quali il militare, e soprattutto il militare cristiano, è chiamato ad essere costruttore di pace e testimone del Vangelo della vita e della solidarietà. Si comprende, pertanto, l'importanza dell'assistenza spirituale e della formazione al diritto umanitario del militare.

Con riferimento alla evangelizzazione dei militari, lo stesso Vangelo registra la conversione di militari, i quali incontrano e convertono i loro cuori a Cristo, come il centurione che ai piedi della croce riconosce che Gesù è il Figlio di Dio (Mc 15, 29). La Chiesa ha sempre provveduto alla cura spirituale dei militari, sino a riconoscere una Chiesa particolare, la Chiesa Ordinariato Militare, chiamata ad assistere i militari e la loro famiglia, che con la Chiesa sostiene umanamente e spiritualmente il militare. Le stesse Scritture riportano esempi di assistenza comunitaria dei militari; è il caso di Cornelio, il centurione battezzato da Pietro insieme ai suoi congiunti e amici (Atti 10-11).

L'assistenza spirituale è altresì un diritto fondamentale del militare. Come si è avuto modo di rilevare, le missioni di pace sono rette da uno regime giuridico misto che consente l'applicazione degli standard e degli strumenti internazionale sui diritti umani, i quali affermano in maniera ampia ed inderogabile il diritto alla libertà di religione o credo dei militari e la libertà della Chiesa di assistere i militari.

Infine, un elemento essenziale della evangelizzazione e della formazione del militare è la formazione al diritto umanitario, il quale afferma la dignità e la solidarietà nella realtà militare e tende a mitigare l’inumanità della guerra. A tale formazione si dedicano sia la Chiesa Ordinariato Militare sia la Santa Sede con appositi orientamenti e percorsi formativi.

In conclusione, l'affermazione della pace non è impresa facile soprattutto a seguito della guerra, che inaridisce i cuori ed esaspera i sentimenti umani sino alla violenza e all'odio. "Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta dio Cristo, ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere il peccato, essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina: "Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra" (Is 2, 4)" (Gaudium et spes, n. 78).


Grazie di cuore.





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