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Sulle insorgenze antigiacobine in toscana


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ATTI DEL CONVEGNO

DI STUDI

SULLE INSORGENZE ANTIGIACOBINE IN TOSCANA
Grosseto 17 giugno 2005

Roccalbegna 13 agosto 2005
A cura di Fabrizio Druda

Grosseto 2005


La bandiera del “Viva Maria” di Roccalbegna


Lo stemma del Granduca di Toscana Asburgo-Lorena
Calendario delle relazioni
Grosseto

Venerdì 17 Giugno 2005

ore 16.30
Ore 16.30 Saluti ai partecipanti e presentazione della manifestazione.

Roberto Ghini

Circolo Culturale Chimera

Ore 16.45 L’insorgenza del “Viva Maria”.

Dr. Aldo Grieco

Comitato “Viva Maria”


Ore 17.45 “Gli Austro-aretini in marcia”.

canzonetta recitata da

Carlo Sestini

Ore 18.00 Il “Viva Maria” in Maremma.

Dr. Umberto Carini

Ore 18.40 Interventi

Roccalbegna

Sabato 13 Agosto 2005

ore 18.00
Ore 18.00 Saluti del Sindaco di Roccalbegna

Giustarini Alessandro

Ore 18.15 Presentazione dei relatori

Roberto Ghini

Circolo Culturale Chimera

Ore 18.30 La bandiera a Roccalbegna

Don Valentino Pellini


Ore 18.45 L’insorgenza del “Viva Maria”.

Dr. Aldo Grieco

Comitato “Viva Maria”


Ore 19.30 Il “Viva Maria” in Maremma.

Dr. Umberto Carini
Segreteria organizzativa:

Fabrizio Druda - Via Ticino n°15 Grosseto 58100

tel. 0564/417148 ore pasti

e-mail: fabriziodruda@libero.it

Paolo Calvani -Via del Ferro n°2 Grosseto 58100

Tel. 3339386815



pcalvani@inwind.it


Partecipanti ai Convegni



Roberto Ghini

Dr. Aldo Grieco

Carlo Sestini
Dr. Umberto Carini

Giustarini Alessandro

Don Valentino Pellini

Fabrizio Druda

Paolo Calvani

PREMESSA

Fabrizio Druda

La Francia rivoluzionaria nel 1799 invase la penisola Italica esportando gli immortali principi, si innalzarono alberi della libertà e si invocò in essi la dea ragione in nome della quale era lecito estirpare alla radice le istituzioni esistenti e chi le rappresentava.

I giacobini francesi e italiani, uccisero i religiosi, violentarono le religiose, chiusero le Chiese delegittimarono i Sovrani dei vari Stati.

Dalla terra che ci onoriamo di calpestare, lavorata con le mani nodose di uomini di poca erudizione, ma di grande Fede, partì la Reazione da parte di quei contadini i quali con gli stessi strumenti del loro lavoro, insorsero contro l’invasore al grido di “Viva Maria” in difesa non di futili ideali, ma del Trono, dell’Altare, della Religione e dei legittimi Sovrani.

Da Arezzo partì la controrivoluzione che come una miccia incendiò gli animi di tutto il popolo della penisola portando in trionfo la bandiera Imperiale che nel suo cuore racchiudeva la Madonna del Conforto, simbolo della cattolicità e di Arezzo, città alla quale siamo noi tutti debitori per aver acceso nei cuori di tutta l’Italia la forza e la speranza nel trionfo della Fede e del Trono.

Noi Tradizionalisti Maremmani abbiamo l’onore e il dovere di conservare la memoria di questa epopea nell’impossibilità di ricordare tutti i nomi di coloro che sacrificarono la loro vita sulla stessa linea dell’onore, che vide nobili e contadini gli uni accanto agli altri scrivere con il sangue gloriose pagine di storia d’Italia.

La Maremma insultata sempre dai novelli giacobini di oggi come terra priva di storia, dimostra invece che di storia ne ha e gloriosa, e fra l’altro è custode della bandiera del “Viva Maria” che si trova conservata nella chiesa di Roccalbegna simbolo che raccoglie intorno ad esso le anime di tutti gli insorgenti.

I giacobini francesi e italiani nella loro antireligiosità tentarono di distruggere la sacra immagine della Madonna del Conforto, la risposta fu inaspettata per gli occupanti e determinata dagli occupati, al grido Viva Maria si costituì un esercito volontario di quasi 50.000 uomini e per i giacobini fu la fuga o la morte.



Dedicato a coloro che sono caduti per il Trono,

la Fede e la Chiesa

Certi uomini si conoscono prima di nascere, non importa se sono nati prima di noi, di certo arriverà un giorno in cui li rincontreremo perché essi non sono morti, ma sono caduti.

Morire è una disgrazia per coloro che vivono un vita impropria. La morte non è che un ritorno, siamo qui di passaggio, con la nostalgia di chi ricorda ancora la casa del Padre... "dove tutto ha un senso".

PRESENTAZIONE


Roberto Ghini (2005)
Con questa iniziativa vogliamo portare a conoscenza di molti, una pagina importante di storia Toscana.

Le gesta dei patrioti Toscani che difesero la dignità della loro patria al grido di "VIVA MARIA".

Nel 1796, all'indomani della rivoluzione francese i cosi detti " democratici " d'Oltralpe calarono in Italia e in combutta con i giacobini italiani rapinarono e uccisero.

Un'invasione che compì crimini orrendi.

Caddero uccise migliaia di persone nella stragrande maggioranza dei casi contadini, braccianti, povere gente.

Furono prese d'assalto chiese e conventi, numerosi preti, suore, frati, furono uccisi e fu usata violenza sulla maggior parte di donne e bambine.

Clamorosi furono i furti di ogni tipo che, gli storici hanno definito "Il più grande furto organizzato che la storia ricordi".

Occorreva una reazione di popolo. E questa ci fu e i Toscani si fecero molto onore.

Di loro la toscana non sa niente o molto poco.

La gente sa tutto di Cecchi Gori e delle sue avventure. Niente dei nostri martiri.

Martiri due volte, martiri per aver perso la vita per la dignità della loro terra, martiri per essere stati dimenticati dall'ingratitudine umana.




Il Viva Maria

Don Valentino Pellini

Roccalbegna 13/08/05
Sono onorato e vi ringrazio per questo spazio concesso al Parroco che, in verità, è direttamente interessato al tema di questo incontro per avere in custodia, come scrive il Dr. Bruno Santi Soprintendente di Siena, “di UN UNICUM figurativo e di una singolare testimonianza storica quale appare lo stendardo del Viva Maria”.

Il ritrovamento non è avvenuto per caso, ma è rientrato nella ricerca e nella valorizzazione del patrimonio storico-artistico disperso e, in ogni caso, non conosciuto e valorizzato.

Questo fatto non era unico di Roccalbegna: le parrocchie nel dopoguerra erano in possesso di ingenti tesori d’arte senza averne coscienza e in uno stato (in generale ) di aperto degrado.

MA questo avveniva anche nelle famiglie: i cercatori del nuovo Eldorado si misero in moto e battevano paese per paese in cerca di cose antiche come arredi di chiese, casse panche, madie, letti, preziosi oggetti di rame ecc. Non di rado si trovavano cose preziose nei cassonetti della spazzatura.

A Roccalbegna, come in quasi tutte le parrocchie, vi era tanto da scoprire e restaurare, coadiuvato da un operoso Comitato di cui ricordo con vero affetto riconoscente il Dr. Cosimo Annibale, Ettore Corsini, Bovio Bevilotti e il Dr. Manrico Pierini recentemente scomparso e altri ancora attivi e presenti, si è iniziata la ricerca, la catalogazione e il restauro a cominciare dalle opere più importanti:


  1. la scoperta e il restauro del trittico di A. Lorenzetti. (Enzo Carli)

  2. il restauro –ripristino dsel crocefisso di Luca di T (arc. Moretti)

  3. il restauro del primo gruppo di sette tele: i tre Nasini, S. Lucia, S. Elena e due grandi Via Crucis, la Veronica, e la Crocifissione. ( Enzo Carli)

  4. il prezioso altare ligneo con la deposizione di Gesù del Vanni (così da noi riconosciuto), e il grande tempietto ligneo (vecchio fonte battesimenle o Altare?), restaurati nel tempo alle Pietre dure di Firenze

  5. ora siamo in attesa che il lorenzetti dopo due anni a Firenze per restauro, curato dalla Soprintendenza di Siena, rientri per il godimento di tutti.

VENIAMO ORA ALLO STENDARDO DEL “VIVA MARIA”

Conservato come cosa sconosciuta e avvolto in un telo nella Chiesa Maggiore e depositato, dopo l’abbandono di questa , nella Chiesa della Madonna del Soccorso, vi rimase fino al 1969 quando si inaugurò finalmente la rinnovata chiesa.

Fù negli anni ’70, in una delle frequentio visite del Dr. Bruno Santi che il telo venne dispiegato e portato, dallo stesso Soprintendente a Firenze per il restauro.

LA storia di questo ritrovamento e restauro venne descritta dallo stesso soprintendente in un articolo pubblicato su “Arte cristiana” nel 1984 con questo titolo:

Una traccia figurativa di religiosità popolare in Toscana lo stendardo del “Viva Maria” di Roccalbegna . (b: Santi 15/10/1984.)

Di questi avvenimenti parla molto diffusamente il Rev. Don Santini Galloni nel libro di Rigutino. ( ED. Calosci Cortona).

Siamo in Chiesa, oggetto del nostro incontro è la Madonna, lo Stendardo del “Viva Maria”, la Madonna del Soccorso, e mi è dolce rivolgere a Lei un pensiero caldo , affettuoso, riconoscente.

Penso ai motivi di questa insorgenza e di chi l’ha voluta tra le schiere dei combattenti a difesa della miscredenza e delle libertà civili così fortemente minacciate.

Ci voleva coraggio, si poteva pensare ad una lotta persa in partenza e allora ecco il ricorso a Lei , Madonna del Soccorso e della pietà popolare.

Quanto questa iniziativa sia servita anche dopo la battaglia del Rigutino, lo ha detto poi chi ne ha fatto la storia, perché di storia si è trattato, a noi riconoscere e ricordare che la Madonna, Madre di Gesù nostro Signore e umile sua serva, non è mai invocata invano né negli avvenimenti che segnano i secoli e la storia.

Oltre alla devozione popolare che è rimasta ed è cresciuta nei secoli ai giorni nostri , anche per dei mirati interventi come a Loudes, Fatima, La Salette, Madiogori ecc. la Madonna è attiva nella comunità mondiale attraverso i grandi Santuari, come nei piccoli borghi e nelle case dove, spesso, la vita è dolorosa e straziante.

Se mai questo incontro potrà avvicinarci a Lei e capire la Sua preoccupazione per l’intera umanità e ciascuno di noi, vediamo come ci è+ possibile inserirla nella vita delle nostre famiglie e nella nostra personale perché la Madonna sia il nostro Vessillo.

Salutiamo insieme ora la Madonna con il grido degli insorgenti
VIVA MARIA”

Chiesa dei

SS. Pietro e Paolo Roccalbegna (Gr)
1799 – Il ‘Viva Maria’ in Toscana

Aldo Grieco

Grosseto 17/06/05

Il 6 maggio 1799, verso le 8 del mattino, entrò in Arezzo dalla Porta di Santo Spirito una carrozza,ad andatura veloce, con in serpa un vecchio contadino, sulla quale sedeva una vecchia che reggeva in mano una grande bandiera imperiale.

La città era piena di gente venuta fin dalle prime ore del mattino dal contado; la notte era stata rischiarata da grandi fuochi accesi sulle colline circostanti anche perché ricorreva il genetliaco del Granduca Ferdinando, esule a Vienna. Altro motivo dei fuochi era da individuare nel clima turbolento che covava da giorni, e non solo in terra aretina, per la presenza delle truppe francesi che,occupata la Toscana, allontanato l’amato Granduca,per di più avevano istituito amministrazioni locali con soggetti – i ‘giacobini’ – mal visti dalla stragrande maggioranza della popolazione per i loro costumi ‘immorali’.

La carrozza girò per la città , andò, a passo normale, davanti al pretorio dove erano soldati francesi e cisalpini, destando la loro meraviglia e turbamento, e, alla fine, uscì da Arezzo dalla porta da dove era venuta.
Ma è necessario andare a ritroso, nella storia delle cose toscane, per inquadrare gli avvenimenti del maggio 1799 e seguenti.
Nel febbraio del 1790 Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, lasciò Firenze per recarsi a Vienna dove, morto il fratello, divenne Imperatore. Lasciò una Giunta – Consiglio di Reggenza, diretta da Francesco Maria Gianni- col precipuo compito di mantenere tutte le innovazioni che aveva attuato, ed in attesa della presa di possesso da parte del figlio Ferdinando,che divenne il successivo Granduca di Toscana.
Le innovazioni apportate furono essenzialmente di due ordini, economici e religiosi.Le innovazioni economiche si possono sintetizzare nell’assoluto liberismo economico e nella concessione di vasti territori demaniali ed ecclesiastici a privati cittadini. Questi, nell’intenzione, dovevano essere dei meno abbienti, ma alla fine quei beni si ricapitolarono nelle mani dei grandi proprietari. Questo comportò anche la fine di ‘usi civici, di cui si avvantaggiava tutta la popolazione, specie la meno economicamente fortunata .Le innovazioni liberistiche, poi, avevano permesso la ‘estrazione’ dalla Toscana dei grani anche quando le necessità richiedevano grano sul posto.
Vuoi il liberismo economico, vuoi una situazione internazionale protratta nel tempo non favorevole, i salari erano restati invariati mentre il pane era notevolmente aumentato.Di conseguenza la condizione delle classi umili, stragrande maggioranza della popolazione, era drammaticamente peggiorata. A questo aggiungasi l’abolizione delle corporazioni e, conseguentemente, dei contratti collettivi garanti di una equa remunerazione degli operai, sia dell’industria sia dell’agricoltura.Abolita anche, per il liberismo economico, la ‘grascia’ che era l’istituto che normava i prezzi al consumo e non permetteva speculazioni sui generi alimentari.

Tumulti , molto circoscritti, erano divenuti frequenti, proprio per la richiesta della ‘grascia’ e di prezzi equi. Particolarmente veementi essi furono in Valdichiana nel 1795: interessante notare la avversione nei riguardi dei ‘baron fottuti’ e cioè dei nobili proprietari senza amore per il popolo e l’affetto e la fiducia, per contro, nei riguardi dei ‘nobili e possidenti’ che, evidentemente, svolgevano una politica economica locale di comprensione e sollievo alle popolazioni.


Altro motivo di turbamento fu la politica religiosa, attuata d’intesa con il Vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci. Questo era fieramente giansenista e tentava di realizzare una Chiesa nazionale toscana, ‘razionalizzata’ nei modi di fede e negli articoli di verità.Abolite tutte le Confraternite, abituale ambiente di vita del popolo, aboliti, o almeno tentato di farlo, gli ordini contemplativi perché improduttivi. Abolite Processioni ed altre forme di culto pubblico. Aboliti altari particolari e devozioni mariane. La devozione mariana , come quella al Sacro Cuore, erano aborrite dal giansenismo e pertanto abolite , vietate, anatemizzate (‘cardiolatria’, definita con orrore la seconda). Tentata la chiusura del Santuario livornese della Madonna di Montenero.Abolite tante case di ordini religiosi ritenute inutili e dannose.
A seguito di un ennesimo tentativo di sovvertimento consistente, in Cattedrale, nella demolizione dell’altare della reliquia del Sacro Cingolo della Madonna e, in altra Chiesa, della demolizione dell’altare della Misericordia, confraternita abolita, ci fu una sollevazione che coinvolse Pistoia, la Valdinievole, Pescia, Livorno, fino Firenze. Il De’Ricci fuggì da Pistoia e non vi tornò più.
Il Consiglio di Reggenza ritornò,nel 1790, con l’approvazione di Pietro Leopoldo, ora Imperatore Leopoldo II°, sulla politica intrapresa e furono date soddisfazioni alle popolazioni. Esse furono confermate dal nuovo Granduca Ferdinando III° che dimostrò sensibilità per le necessità sia spirituali sia materiali del popolo toscano.
Nel frattempo la repubblica Francese nata dalla recente Rivoluzione, aveva preso le armi, dopo aver dichiarato che la guerra era da aborrire e, dopo la difesa, passò all’attacco.La coalizione contraria ad essa - Inghilterra, Austria, Russia – tentò di esportare , a costo di imporla, la propria politica.

Di conseguenza il porto di Livorno, polmone economico del Granducato, fu chiuso alle navi francesi.


Il Granduca tentò di tenere il suo Stato al di fuori della bufera e dichiarò la propria neutralità, ma nel maggio 1796, essendo stato il generale Napoleone nominato Comandante dell’Armata d’Italia, Livorno e la costa maremmana furono occupate dalle forze navali e di terra francesi. Fu il tracollo economico del Granducato che ebbe i suoi commerci bloccati e le merci giacenti sequestrate.
Nel 1796, piaccia o non piaccia agli storici ideologizzati che scelgono le storie da raccontare e il modo di farlo, in Italia, per lo più a Roma e nello stato della Chiesa, ma anche in altre località, semplici, banali immagini della Madonna mossero gli occhi. E questo per mesi e mesi.Il tutto iniziò con la Madonna dell’Archetto, a Roma.Migliaia di persone videro liberamente e credettero: fedeli, agnostici, deridenti, giacobini, ebrei. I Processi, eseguiti solo molti anni dopo, confermarono giuridicamente quanto era successo nel 1799.

Quale significato storico ebbe questo fatto clamoroso? Fu ovunque visto come atto di amore della Madonna che guardò il suo popolo anche nelle avversità sacrileghe incombenti. Nulla di più. Ma anche nulla di meno.

Anche ad Arezzo ci fu un miracolo: in occasione della festa presso un piccolo santuario, la (bruttina) immagine della Vergine, che era scura, divenne improvvisamente bianca, come poi restò ad essere. Questo prodigio fu interpretato come l’attenzione della Madonna per un episodio di terremoto appena occorso. Quella immagine prese da allora il titolo di Madonna del Conforto e portata in Cattedrale.Essa divenne la protettrice di Arezzo, insieme al Patrono San Donato.
I francesi avanzarono vittoriosi nell’Italia del nord. Conclusero un trattato con gli Austriaci (trattato di Campoformio): il Veneto, esclusa Bergamo e Brescia, fu dato all’Austria, perdendo la Serenissima Repubblica di Venezia la sua libertà millenaria.Anche per l’inettitudine e l’imbellità dei suoi ultimi governanti.
Nel 1798 l’esercito francese scese l’Italia, occupò Roma, dopo aver saccheggiato e distrutto città e paesi la cui semplice popolazione non si arrendeva (Monterano, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Galeria ed altre), e dopo aver saccheggiato tutto quanto era possibile.Venne fondata la Repubblica Romana, patetico, triste dileggio ad una Città la cui ragione di esistere veniva riferita alla Repubblica Francese. Nel Novembre il Re di Napoli, Ferdinando IV°, liberò Roma ed il Lazio.
Venne imposta una guarnigione anglo-napoletana a Livorno.
Nel febbraio ’99 i francesi riscesero verso la Toscana e ‘democratizzarono’ Lucca, repubblica da sempre democratica,ed il Gen. Schérer comunicò da Mantova che sarebbe intervenuto per ‘proteggere’ la Toscana.

Altro motivo di occupazione sarebbe fu l’offesa arrecata alla repubblica francese per l’ospitalità accordata, Francia permettendo, al Papa Pio VI° esule da Roma in Siena.

Il trattamento riservato dai francesi al Papa, letteralmente scacciato da Roma, povero e senza corte, impossibilitato a mantenere rapporti con chicchessia anche con la popolazione che , ordine dei francesi e dei giacobini, non doveva esultare, né salutare, né inginocchiarsi al suo passaggio o al suo apparire, rappresentò, per tutta la popolazione, il biglietto di presentazione dei francesi e dei giacobini che ad essi invocavano.Da questo nacque un odio implacabile e senza ritorno per giacobini e francesi.
Nonostante il pagamento di un altissimo contributo la Toscana fu invasa, il 25 marzo 1799. Il Granduca lasciò Firenze all’ingresso del Gen. Gaultier. Il Gen. Reinhard prese il potere civile. Venne mantenuto un imbelle Senato fiorentino, fantoccio nelle mani francesi. Entrare in Firenze ed iniziare i furti organizzati degli oggetti d’arte fu questione di ore. Palazzo Pitti fu vuotato del meglio. Scomparsero ori ed argenti.

Venne costituita una guardia nazionale, che, dove i francesi la vollero, dovette essere ad arruolamento obbligatorio perché nessuno accorreva, salvo pochi francesizzati giacobini.

La Garfagnana, che all’epoca non era toscana, ma estense, venne occupata manu militari dal generale Rusca, dopo che gli abitanti della montagna avevano rifiutato l’albero della libertà, divellendolo ovunque piantato.
L’Elba non sarà mai francese o ‘democratizzata’ per la continua organizzatissima resistenza ai giacobini locali e francesi di occupazione.
Il 5 Aprile 1799 i francesi, con elementi della Repubblica Cisalpina, staterello satellite della valpadana che ,all’ombra del berretto frigio e delle conseguenti baionette francesi, inalberava un fin troppo banalmente scopiazzato tricolore verde (anziché blu)- bianco -rosso, occuparono Arezzo con 120 uomini. Tutto restò apparentemente calmo. Si stette a guardare. Venne nominata una amministrazione locale composta dai pochi giacobini aretini, che per l’occasione festeggiarono ed esultarono, ma erano squalificati all’occhio del popolo perché considerati dei poco di buono dai costumi immorali.
Venne eretto l’albero della Libertà, ad Arezzo ed in ogni centro abitato. Simbolo della Repubblica francese, una ed indivisibile (?) e che comprendeva oramai la Toscana. Esso era simbolo di sovranità, sotto di esso dovevano svolgersi i matrimoni, sotto di esso giuravano i giudici. Doveva essere festeggiato. In realtà doveva essere sempre messa una guardia per evitarne deturpazioni, oscenità, abbattimento.Anche se conseguenza di questi fatti era la pena di morte, non necessariamente con giudizio.
Il 4 Maggio fu insorgenza in tanti centri della Toscana: in Valdinievole, a Viareggio.

Il 5 si accesero i fuochi per il Granduca e per la desiderata riscossa.


Il 6 Maggio la carrozza, sui quali il popolo vorrà vedere San Donato e la Vergine del Conforto con bandiera dispiegata, fece esplodere la Insurrezione in Arezzo, piena di gente del contado.Il grido di Viva Maria venne urlato in ogni dove e sempre, come già lo era in Versilia e nelle valli che si andavano sollevando. Viva Maria fu il grido che i giacobini ed i francesi portarono nei loro orecchi e quel grido precedette i forconi, le asce, i rastrelli, i falcioni con il ferro rigirato ad offendere.

Armi da fuoco ce ne erano poche ed i contadini sapevano disbrigarsi meglio con i loro arnesi da lavoro, affilati per l’occasione per mietere, questa volta,non il grano ma la malerba.


I francesi furono assaliti e fuggirono.Fatto importante è che l’insorgenza, forse fomentata da alcuni organizzatori, si costituì rapidamente con istanze ed istituzioni.

Venne costituita una Suprema Deputazione, con un ramo civile ed uno militare. Il ramo civile prese provvedimenti di ordine pubblico, migliorò lo stato delle carceri, invitò a vesti, comportamento e modi parsimoniosi, secondo precedenti indicazioni del Granduca. Organizzò le località progressivamente liberate con un sistema di governo generale piramidale. Il ramo militare organizzò le forze in unità combattenti di 130 uomini, ad origine della medesima parrocchia. Esso arrivò a contare 38.000 uomini in armi. Questi uomini non furono, pertanto, una turba dì facinorosi ma una organizzazione con insegne, la bandiera del Granducato bianca con il bordo rosso o dell’impero, gialla con il bordo nero. Non potendo disporre di uniformi i militi portavano il ‘brigidino’ sul petto: coccarda rossa e bianca o gialla e nera, oltre all’immancabile immagine della Madonna del Conforto.


La Suprema Deputazione comunicò e stampò quali erano stati i motivi dell’Insorgenza:insulti e scherni alla Religione e al Granduca, minacce, liste di proscrizione, segni sulle case dei realisti da saccheggiare per opera dei francesi e dei giacobini, uso del fucile contro pochi contadini schiamazzanti con conseguenti inutili morti, ed infine, nel più perfetto stile democratizzatore francese sorretto dai giacobini locali “l'ordine di levarsi dalle chiese e dalle religioni tutti gli ori e gli argenti di loro pertinenza, niuno eccettuato”.
Lo stesso 6 maggio, anche Cortona insorse, cacciò i francesi ma poi, all’arrivo delle avanguardie polacche dell’esercito del Gen. Macdonald proveniente dal Sud, riaprì le porte e si ridette ai ‘democratizzatori’. Gli aretini, all’arrivo di quell’esercito, comunicarono che le loro porte erano chiuse, diffidarono Macdonald da compiere azioni di militari e promisero guerra.
Storici rilevano che il Macdonald tirò dritto evitando di investire Arezzo, che era sulla sua strada. Probabilmente dimenticano che Macdonald aveva avuto l’esercito decimato dalla fiera guerriglia sofferta, per opera delle ‘masse’di Michele Pezza detto fra’ Diavolo, alle gole di Itri e nella Ciociaria. Per di più la colonna di 3500 uomini proveniente dall’Abruzzo, dove aveva saccheggiato e violato, era stata attaccata dal Passo di Sella di Corno fino ad Antrodoco, dalle masse del Barone Salomone.Queste avevano disfatto la colonna con combattimenti all’arma bianca. Solo 1000 uomini si salvarono.Ritengo che dover investire una città in armi che fieramente e decisamente si dichiarava pronta al combattimento, dopo pochi giorni dai sopracitati eventi sofferti, avranno portato al Macdonald più saggio consiglio.
Pochi giorni dopo, alla Trebbia, anche Macdonald ed i suoi uomini, come dissero gli arguti toscani, furono ‘trebbiati’ dagli austro-russi del Gen. Suvorov.
Prime reazioni dalla Firenze francese e giacobina all’Insorgenza aretina furonono le feroci minacce contro gli “ignoranti campagnoli” (anche allora il popolo era ignorante e superstizioso se difendeva Trono ed Altare, se tagliava la testa al re era democratico ed illuminato).
Ma l’Insorgenza andava avanti, lentamente. Al Grido di Viva Maria, Viva il Granduca nostro, Viva l’Imperatore insorse il Casentino, la Val d’Orcia, la Val d’Arbia, la Val di Chiana, la Val d’Arno.E poi Montepulciano, Sarteano, Pienza. Si cacciarono i giacobini ‘traditori’, i francesi, si abbatté l’albero.

Il 16 fu liberata Montalcino e Città di Castello, il 26 Giugno Siena dove però avvennero feroci rappresaglie contro la comunità ebraica. 13 ebrei furono trucidati ma , probabilmente, per faide locali, perché un tale episodio fece il paio solo con quello, in tutto analogo, di Pitigliano. Interessi, odii e vendette, che trovarono facile terreno di rancore per l’incetta fatta dagli ebrei degli arredi delle Chiese,per l’amicizia coi francesi, per l’essere essi per lo più giacobini. Ma tutto questo nulla giustificò.


L’Inclita Armata procedette lentamente, suddivisa in Divisione del Casentino ed in Divisione del Valdarno ed investì Firenze. Il 7 Luglio ufficialmente chiamati dal Senato fiorentino risvegliatosi, gli aretini entrarono in Firenze da Porta San Gallo , Porta della Croce e Porta San Niccolò. Anche la popolazione fiorentina finalmente insorse, francesi e giacobini furono messi in fuga, ma non dopo trafugamenti di tutti i beni dei Monti di Pietà, come avevano fatto ovunque, dei privati, dei beni sacri, delle opere d’arte, dei soldi ovunque e comunque incettati forzatamente.
Dal 16 giugno l’Inclita armata aretina fu comandata dal generale austriaco Schneider, per richiesta della Deputazione aretina, anche se i comandi sottostanti continuarono ad essere aretini.
Il 17 Luglio venne liberata Livorno con insorti anche di Volterra. Questa stessa ‘massa’ scese poi verso la maremma, liberando il litorale, mentre da Sarteano ed Abbadia procedette il prete Romanelli verso il restante Amiata, ma lì trovò le squadre dei singoli paesi, armate pronte a procedere. La squadra di Roccalbegna serbò per la storia il drappo da lei usato nell’Insorgenza. Bianco con l’aquila bicipite imperiale ed al centro dell’aquila l’immagine della Madonna del Conforto.Come promemoria fu scritto sulla grande bandiera : Roccalbegna dì: Viva Maria.
E così quel grido – Viva Maria – che ha fatto tremare le mura dei nostri piccoli borghi, venne ricordato per la storia , smemorata, anche sulla seta della bandiera amiatina.
La Toscana fu riconquistata, l’Inclita armata era però pronta a liberare l’Italia ‘democratizzata’ , come si diceva allora. Liberò l’Umbria, Perugia, Orvieto. I Toscani furono pronti per liberare Roma ma l’Armata, a metà settembre venne sciolta e la vita riprese, col rientro del Granduca, un corso più ordinato.
L’Insorgenza Aretina ha rappresentato l’unità e la chiarezza di intenti di una popolazione quando essa si sente assalita sul piano di ‘essere sé stessa. Sul piano della propria identità culturale.

Il Granduca aveva ricomposto buona parte dei motivi di scardinamento dell’ordine pubblico naturale.

Il popolo si mosse per ricomporre le autonomie locali, le partecipazioni attive secondo una naturale partecipazione concentrica ai livelli decisionali delle cose della propria vita reale. Fu offeso dalle magistrature astratte, imposte dall’alto. L’unico riconoscimento effettivo era alle istanze venute da chiarezze legislative semplici e dall’amalgama che la vita aveva fatto con il sentire religioso. Essere un cristiano era l’equivalente del democratico essere un cittadino.Ma in più aveva la ricchezza dell’eternità, dell’atto mai perso nel nulla perché replica di atti sacrali. Il più miserabile degli uomini era una scheggia mai dimenticata del Creato, immensa davanti agli occhi di Dio, prima ancora che agli occhi degli uomini. E il ‘cristiano’ non sarà mai un ‘cittadino’ della ‘nazione’ perché la nazione fa sorridere quando c’è la certezza del Dio, Uno e Trino.
E l’uomo semplice discettava di queste cose seduto sull’asinello o davanti al paiolo in una fumosa cucina ? No, ma aveva una capacità che i giacobini non poterono e, gli attuali, non possono capire, con tutta la rabbia che hanno in corpo: aveva l’intuizione. Intuiva le cose, che erano palpabili per lui. Come la Patria , che era cosa ben solida sotto i piedi, e non era ,né sarebbe mai potuto essere, una eterea categoria dell’immaginario.
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bibliografia




  • (AA.VV.) Le Insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino (1796-1799), pagg.390, Edizioni APES, Roma 1992.

  • Agnoli Francesco Maria, Guida Introduttiva alle Insorgenze in Italia durante il dominio napoleonico (1796-1815), pagg. 128, Mimep-Docete, Pessano 1996.

  • Agnoli Francesco Maria, Rivoluzione scristianizzazione Insorgenze - quattro saggi.pag.82, Edizioni Krinon, Caltanissetta 1991.

  • Brigidi E.A., Giacobini o Realisti o Il Viva Maria, pagg. 454, ristampa anastatica di Arnaldo Forni Editore dalla edizione di Siena, Enrico Torrini, 1882.

  • Cicale Vito, Verrengia Giacomo, Il Catechismo reale di mons. Pietro De Felice e la Grande Insorgenza del 1799, pagg. 126, Controcorrente, Napoli 2000.

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