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Studio di impatto ambientale


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4Conformita’ alla pianificazione territoriale ed urbanistica dell’impianto

Come già specificato nella Relazione opere civili, l’impianto sarà localizzato in un’area zonizzata “agricola” dal vigente strumento urbanistico del Comune di Castelluccio Valmaggiore (FG).

Tale destinazione è compatibile con la tipologia dell’impianto in quanto il D. Lgs. n. 387/2003 art. 12 comma 7 recita che “gli impianti di produzione di energia elettrica di cui all’art. 2 comma 1 lettere b) e c), (fonti rinnovabili) possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici”.

In coerenza con il dettato della deliberazione regionale n. 35 del 23 gennaio 2007 paragr. 2.3.1 comma h e così come evidenziato al paragrafo 3.12, il sito interessato all’intervento non ricade in siti di importanza comunitaria (SIC) ai sensi della direttiva comunitaria n. 92/43 CEE “habitat” e tra le zone di protezione animale (ZPS) ai sensi della direttiva comunitaria 29/409 CEE “uccelli selvatici” con relativo inquadramento territoriale nell’area rispetto ai siti “Natura 2000” più prossimi.

Tanto si desume anche dal Certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Castellucio Valmaggiore allegato alla presente.

Anche il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio (P.U.T.T./P), approvato con Deliberazione di G.R. n. 1748 del 15 dicembre 2000 che rappresenta uno strumento di pianificazione territoriale sovraordinato agli strumenti di pianificazione comunale e che ha la finalità primaria di promuovere la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse territoriali ed in particolare di quelle paesaggistiche, non prevede particolari regimi vincolistici sul sito in esame.

Con riferimento poi agli ambiti territoriali estesi, (ATE) con i quali il P.U.T.T./P perimetra gli ambiti territoriali con riferimento ai valori paesaggistici, l’area non ricade in nessuno degli ambiti individuati dal P.U.T.T..

Per quanto riguarda gli aspetti geologici e geotecnica, con particolare a quelli geomorfologia ed idraulici, così come definiti dal Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) della Autorità di Bacino della Regione Puglia, si rimanda alla parte geologica, geotecnica, idrogeologica e sismica trattata al paragrafo 3.1. del presente studio.

Per quanto riguarda le reti della mobilità il sito dell’impianto si raggiunge assumendo come riferimento la città capoluogo di provincia Foggia, percorrendo la strada statale n. 17 per 16 km che si immette sulla strada statale n. 160 che va percorsa per circa 20 km. Successivamente si imbocca la strada provinciale n. 125 ed infine la strada comunale per Castelluccio Valmaggiore.


  • Tanto si desume anche dalla carta della viabilità riportata nello apposito elaborato riportante l’insieme della cartografia riguardante il sito.


5Descrizione delle condizioni iniziali dell’ambiente fisico, biologico e antropico




5.1Analisi dell’area vasta


Il sito del progetto è localizzato nel territorio del Subappennino dauno Meridionale, costituito da un tipico ambiente collinare caratteristico delle aree preappenniniche. Originariamente il paesaggio si presentava coperto da estese foreste a Roverella (Quercus pubescens), attualmente, invece, il comprensorio è caratterizzato dall’alternarsi di lembi, talvolta anche di una certa vastità e spesso estremamente degradati, di bosco governato a ceduo con aree di prateria e grandi estensioni di coltivi. Frequente è anche la presenza di rimboschimenti a conifere sia puri che misti a latifoglie.

L’ambiente risulta abbastanza degradato a causa dell’intervento dell’uomo, estremamente massiccio soprattutto per la facile accessibilità della maggior parte delle zone. L’intervento antropico ha causando una grossa perdita in termini di diversità ambientale.

Il paesaggio caratterizzante il territorio del Subappennino dauno Meridionale, infatti, nelle sue componenti agrarie e forestali, risente delle massicce trasformazioni avvenute nel tempo e particolarmente nei secoli XVIII e XIX, durante i quali sono stati destinati a coltura agraria sempre nuovi territori, prima coltivati a bosco o a pascolo, quest’ultimo derivante, nella generalità dei casi, da precedenti disboscamenti di antica realizzazione.

I disboscamenti sono avvenuti su superfici molto estese, soprattutto alle quote più basse del comprensorio dove gli esempi delle originarie foreste planiziarie sono ridotti a lembi di pochissimi ettari, mentre nelle zone collinari e in quelle pedemontane e montane, la pratica agricola ha dato origine a un mosaico di forme di uso del suolo determinato soprattutto dagli aspetti morfologici del territorio.

Nella zona collinare più bassa, in prossimità dei centri urbani, sono diffuse le colture agrarie legnose specializzate (uliveti e vigneti). I pascoli e i popolamenti forestali di varia forma e superficie, costituiti da boschi di latifoglie eliofile, se si esclude la faggeta relitta di Faeto e i rimboschimenti di conifere, si alternano alle grandi estensioni destinate alla cerealicoltura che si spingono alle quote più elevate sino al confine con i pascoli di altitudine.

5.1.1Vegetazione flora dell’area vasta


L’analisi vegetazionale e floristica dell’area vasta è il risultato di rilevamenti diretti effettuati in campo e di consultazione dei dati, frammentari e scarsi, disponibili su indagini botaniche di tipo sistematico. Per la determinazione ci si è avvalsi della Flora d’Italia (Pignatti, 1982) e di Flora Europea (Tutin & al. 1968-1976).

Secondo quanto riportato da Tomaselli (Note illustrative della carta della vegetazione naturale potenziale d’Italia, Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Collana verde, fasc. 27, Roma), il territorio del Subappennino dauno Meridionale ricade nel piano basale suddiviso in due orizzonti, quello mediterraneo e quello submediterraneo. Per quanto riguarda quella reale, l’intero comprensorio ricade interamente nel piano basale, caratterizzato da vegetazione litoranea, planiziale e collinare, suddiviso in due aree: quella delle sclerofille sempreverdi, che interessa solo le stazioni più calde e protette dai venti freddi settentrionali, e quella delle latifoglie eliofile estesa nelle zone pedemontane, collinari e montane.

In realtà la prima tipologia fisionomica è rappresentata da lembi di macchie a olivastro, Pistacia lentiscus L., Phillyrea latifolia L., Quercus ilex L. e Myrtus communis L., presenti sui versanti riparati, e da rimboschimenti con pini mediterranei, per lo più Pinus halepensis Miller e Pinus pinea L. .

Esempi di questa tipologia si possono osservare lungo i bassi versanti della valle dell’Ofanto esposti a S e SE nel territorio del Comune di Rocchetta S. Antonio. La seconda tipologia è determinata da specie caducifoglie che formano roverellereti, cerrete, orno-ostrieti, corilo-frassineti e castagneti. I boschi di roverella (Quercus pubescens s.l.) si estendono non solo sui versanti più caldi o sui crinali battuti dai venti e quindi in zone a bilancio udico sfavorevole, ma anche nelle zone pedemontane caratterizzate da una certa continentalità termica.

In alcuni casi si osservano interessanti sovrapposizioni della roverella, nel piano dominante dello strato arboreo, con il terebinto (Pistacia terebinthus L.) nel piano dominato e con il lentisco diffuso nello strato arbustivo. Le cerrete sono riscontrabili sia in purezza che in boschi misti con la presenza di Acer campestre L., Acer obtusatum W. et K. (Acer neapolitanum Ten.), Acer pseudoplatanus L., Carpinus orientalis Miller, Carpinus betulus L., Fraxinus ornus L., Tilia cordata L., Cornus sanguinea L., Rosa canina L., Hedera helix L., Euonimus europeus L., Crataegus monogyna Jacq, Corylus avellana L..

Tuttavia, a causa delle forme di utilizzazione del passato, la prevalenza delle specie quercine all’interno di questi popolamenti è particolarmente evidente. Tale prevalenza è dovuta in primo luogo alle modalità di utilizzazione del passato che hanno finito di favorire le specie quercine, più rusticheLe querce, inoltre, erano state maggiormente favorite nella loro rinnovazione per garantire la produzione di ghiande per l’alimentazione animale e per l’approvvigionamento di legna da ardere di ottima qualità. Le altre specie non appartenenti al genere Quercus, dal fogliame maggiormente appetito dal bestiame, sono state ulteriormente danneggiate dall’azione del morso degli animali. Infine, l’azione del fuoco è stata ancor più devastante per le specie dalla corteccia tenera e poco suberificata, come quella delle specie non quercine. Queste ragioni sono all’origine dell’impoverimento floristico della componente arborea di questi popolamenti.



Infine, nella zona montana è possibile osservare, in nicchie ecologiche con microclimi particolarmente favorevoli, limitate estensioni di faggeta da considerare come relitti di più ampie formazioni analoghe che si sono ritirate in seguito alle modificazioni del clima nel post-glaciale. Nel Subappennino dauno meridionale, secondo il censimento della Società Botanica Italiana (1977), il faggio è presente solo nel Bosco “Difesa” di Faeto. Queste faggete si inquadrano nella classe Querco-Fagetea Br.–Bl. & Vlieg. 1937, nell’ordine Fagetalia sylvaticae Pawl. 1928 sensu Br.–Bl. 1950–51 e nell’alleanza Campanulo trichocalycinae-Fagion (Corbetta & Ubaldi, 1986; Ubaldi 1993) e nell’associazione Aquifolio-Fagetum (Gentile, 1969) (= Aremono apeninae fagetum Brullo 1984). In queste faggete è presente, anche se in maniera sporadica, l’agrifoglio (Ilex aquifolium L.), mentre sembrerebbe assente il tasso (Taxus baccata L.). Questo habitat rientra tra quelli elencati nel Manuale tecnico di interpretazione dei tipi di habitat prioritari della Direttiva 92/43 CEE (febbraio 1994). Tale habitat fa parte dei “faggeti degli Appennini di Taxus e Ilex”. Esso è dato da “foreste di faggio nelle montagne italiane a Sud del 42° parallelo, che notoriamente passa per Roma e per il Gargano, fortemente frammentate e ospitanti molte specie endemiche, con Taxus baccata e Ilex aquifolium (Geranio nodosi-Fagion, Geranio striati-Fagion)”. In generale la flora dei boschi con tasso e agrifoglio dell’Appennino si identifica praticamente con quella di tutte le formazioni mesofile a latifoglie esistenti in tali territori, in quanto i boschi con tasso e agrifoglio compaiono in tutte le più importanti tipologie della vegetazione forestale appenninica. Tali complessi comprendono sia aspetti dei Fagetalia che dei Quercetalia pubescentis, dei quali non si hanno indagini corologiche dettagliate e complete, ma si può dire che rispetto alle formazioni di latifoglie dell’Europa centrale la flora è in generale improntata da elementi sud-est europei (appennino-balcanico), sudeuropei e mediterranei, mentre sono poche le specie endemiche o subendemiche italiane, cosa che in termini fitosociologici corrisponde, in definitiva, alla presenza di alleanze e sottordini comuni con la vegetazione balcanica. Le formazioni forestali con tasso e/o agrifoglio si collocano in parte nella classe Fagetalia ed in parte nella classe Quercetalia pubescentis, essendo i primi tipicamente rappresentati da faggete microterme della fascia oro-subatlantica, ed i secondi da boschi termofili della fascia submediterrenea. Entrambe le specie, tasso e agrifoglio, sono abbastanza termofile, per cui le condizioni di Fagetalia ad esse consone si trovano sempre al limite con i Quercetalia pubescentis (Provincia di Foggia, Strumenti di pianificazione e gestione delle aree naturali protette ex L.R. 19/97. Sub aree E1, E2, E3, E4). Oltre ai popolamenti di origine naturale, si registra la presenza di rimboschimenti realizzati dal secondo dopoguerra agli anni settanta per circa 1.500 ettari. Le specie impiegate sono state numerose ma le principali sono state, tra le conifere, Pinus halepensis Miller, Pinus pinea L., Pinus nigra Arnold, Cupressus sempervirens L. e Cupressus arizonica Greene, Cedrus atlantica (Endl.) Carrière, tra le latifoglie, Acer pseudoplatanus L., Acer neapolitanum Ten., Fraxinus ornus L., Fraxinus excelsior L., Populus spp., Ulmus pumila, Robinia pseudoacacia L.. Le condizioni fitosanitarie di questi popolamenti sono soddisfacenti, anche se rimane sempre molto alto il rischio di attacchi parassitari in fitocenosi così semplificate e ad alto grado di artificialità, come i rimboschimenti realizzati sovente su terreni poco fertili e in condizioni stazionali difficili.

5.1.2Fauna dell’area vasta


L’area di intervento si inserisce in un’area vasta ricadente nel territorio del Subappennino dauno Meridionale, che riveste un ruolo importantissimo da un punto di vista faunistico sia per la presenza di numerose specie, che per le potenzialità che esso riveste, in ragione delle zone confinanti che consentono scambi con il territorio. Inoltre, la morfologia complessa del territorio, in alcune zone non rende facile la presenza massiccia dell'uomo, limitando le sue azioni di maggiore impatto nella vicinanza degli habitat o, comunque, nelle aree più accessibili. Dai più recenti censimenti della fauna del Subappennino, si ricavano i seguenti dati sulle specie presenti nell’area vasta.

Nella trattazione delle specie presenti si tralasceranno le specie cosiddette "banali", costituite da specie ubiquitarie, presenti in tutte le situazioni ambientali e geografiche d'Italia, evidenziando invece le specie caratteristiche della zona o gli ambienti particolari e, soprattutto alcune specie ad elevato valore zoologico ed ambientale.

I molteplici ambienti presenti nel Subappennino sono colonizzati da una nutrita specie di uccelli, alcune molto ben rappresentate numericamente, altre di notevole rarità. In ambienti umidi trovano rifugio numerosi uccelli acquatici i cui rappresentanti di maggior rilievo sono costituiti da varie specie di Ardeidi, tra i quali si cita l'airone cinerino (Ardea cinerea), da varie specie di Anatidi (anche se non presenti tutto l’anno ma solo nei periodi di passo) tra cui alzavole (Anas crecca), il Codone (Anas acuta), il Mestolone (Anas clypeata), il Fischione (Anas penelope), germano reale (Anas platyrhynchos), marzaiola (Anas querquedula). La gallinella d'acqua (Gallinula chloropus), il beccaccino (Gallinago gallinago), la folaga (Fulica atra) si osservano fra la vegetazione palustre; la pavoncella (Vanellus vanellus), il combattente (Phylomachus pugnax), il piro piro (Actitis sp.) frequentano le rive di stagni, marcite, laghetti artificiali, fiumi ecc. e le zone fangose.

Lungo i fiumi è possibile incontrare, soprattutto nelle zone più riposte e tranquille, il martin pescatore (Alcedo atthis). Per quanto riguarda i rapaci, piuttosto comune è la poiana (Buteo buteo) e il falco di palude (Circuì aeroginosus), meno frequente risulta essere il gheppio (Falco tinnunculus). Tra i rapaci, sono da segnalare anche alcune specie di grande importanza naturalistica quali il nibbio bruno (Milvus migrans). Tra i rapaci notturni, sono da citare il barbagianni (Tyto alba), il gufo comune (Asio otus), l'allocco (Strix aluco) e la civetta (Carine noctua). La famiglia dei Phasianidae è rappresentata dal fagiano (Phasianus colchicus) e dalla quaglia (Coturnix coturnix), presenti in buon numero.

La famiglia dei passeriformi è ben diffusa. Nelle aree di pascolo è presente l'averla piccola (Lanius collurio) e l'averla cinerina (Lanius minor); nelle zone di bosco invece, sono frequenti il merlo (Turdus merula), il pettirosso, (Erithacus rubecula), la capinera (Sylvia atricapilla), la sterpazzola (Sylvia communis), Nelle aree di prateria e ai margini dei coltivi è frequente la cappellaccia (Galerida cristata), l'allodola (Alauda arvensis), la ballerina bianca (Motacilla alba). Tra le specie apparteneti alla famiglia dei corvidi, risulta essere frequente la taccola (Coloeus monedula spermologus), la gazza (Pica pica), la ghiandaia (Garrulus glandarius) e la cornacchia grigia (Corvus cornix). Dall’elenco delle specie si rileva che su un totale di 127 specie, 95 sono protette e di queste 31 sono inserite nell’Allegato 1 della Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE.

Per quanto riguarda i mammiferi, sono presenti mammiferi di piccola e media taglia. Molto diffusi risultano essere la volpe (Vulpes vulpes), il cinghiale (Sus scropha), la talpa europea (Talpa europaea). Molto più importanti come impatto sono i mustelidi: donnola (Mustela nivalis), faina (Martes foina), tasso (Meles meles) e puzzola (Mustela putorius), che risultano piuttosto diffusi. Gli insettivori sono rappresentati da un notevole numero di specie tra cui si citano il toporagno comune (Sorex araneus) e, meno diffuso, il toporagno pigmeo (Sorex minutus) e il riccio europeo (Erinaceus europaeus). Tra i Roditori è presente il moscardino (Muscardinus avellanarius), il topo quercino (Elyomis quercinus) ed il ghiro (Glis glis). Le arvicole, la cui presenza è rara, sono rappresentate dall'arvicola (Arvicola terrestris musignani) e dal pitimio del savi (Pitymys savi), quest’ultimo molto raro. Dell’ordine dei Chirotteri, è documentata la presenza di rinolofidi fra cui il rinolofo ferro di cavallo (Rhinolophus hipposideros), dei vespertilionidi di cui il più comune è il pipistrello (Pipistrellus pipistrellus) seguito dal pipistrello orecchie di topo (Myotis myotis).

Dall’elenco delle specie si rileva che su un totale di 20 specie, 10 sono protette e di queste solo 3 sono inserite nell’Allegato II della Direttiva “Habitat” 94/43/CEE.

Tra gli anfibi, va rilevata una distribuzione piuttosto omogenea di rospo comune (Bufo bufo), di rana verde (Rana esculenta), di rana agile (Rana dalmatina) e di raganella (Hyla arborea) che tendono ad occupare una grande quantità di siti. Alcune tipologie ambientali, disponibili in area vasta, si rilevano effettivamente particolarmente favorevoli per la rana agile e per il rospo comune, che normalmente utilizzano per la riproduzione siti localizzati all’interno o al margine dei boschi. La raganella invece, specie termofila, predilige zone umide situate in ambienti aperti e assolati ai margini dei boschi. Dall’elenco delle specie si rileva la presenza di 9 specie, di cui 8 protette ed inserite nell’Allegato II della Direttiva “Habitat” 94/43/CEE. I rettili sono rappresentati soprattutto da specie maggiormente legate maggiormente ad ambiente boschivi, come il saettone (Elaphe longissima) e la vipera comune (Vipera aspis), quest’ultima meno frequente di quanto si creda, che frequentano questi habitat per la loro grande disponibilità di prede, soprattutto piccoli mammiferi e uccelli. Altre specie, più eliofile e termofile come la lucertola dei campi (Podarcis sicula), il ramarro (Lacerta viridis) colubro nero o biacco (Coluber viridiflavus carbonarius), forse il più diffuso degli ofidi, sono confinate alle zone più aperte. Meno frequenti risultano essere la luscengola (Calcides calcides) e l'orbettino (Anguis fragilis), la cui presenza può risultare sottostimata in quanto si tratta di specie elusive e spesso crepuscolari e notturne. Di notevole importanza è la presenza, anche se rara, della tartaruga palustre europea (Emys orbicularis) che risente notevolmente della competizione con la tartaruga americana, cosiddetta tartaruga dalle orecchie rosse (Trachemys scripta), molto simile alla specie italiana. La tartaruga americana, proveniente dal Nord America, è da lungo tempo oggetto di commercio per scopi amatoriali e un gran numero di individui sono stati liberati in ambiente naturale. Rara è anche la presenza della testuggine terrestre (Testudo hermanni), ormai in via di rarefazione a causa sia della distruzione dell'ambiente che del prelievo di esemplari da ridurre in cattività in ambienti privati. Più legati all'acqua per le riserve trofiche, le due specie di natricidi presenti: la biscia dal collare (Natrix natrix) e la biscia tassellata (Natrix tessellata). Ancora sufficientemente diffusi i geconidi, con due specie: il geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), nelle zone al di sotto dei 700 metri di altezza, ed il geco comune (Tarentola mauritanica) che si è acclimatata quasi esclusivamente nelle case.Dall’elenco delle specie si rileva la presenza di 13 specie, di cui 9 protette ed inserite nell’Allegato IV della Direttiva “Habitat” 94/43/CEE.

Per quando riguarda l’ittiofauna, questa è presente soprattutto nei corsi d’acqua perenne, in particolare nell’ Ofanto. Le specie più numerose sono rappresentatae dalla carpa (Cyprinus carpio), dall'alborella (Alburnus albidus), dalla tinca (Tinca tinca) , dal cavedano (Leuciscus cephalus), dalla scardola (Scardinius erythrophthalmus) e dal barbo (Barbus barbus).

Per gli invertebrati, numerose sono anche le specie di farfalle sia diurne, come il macaone (Papilio machaon) e il podalirio (Iphiclides podalirius) , che notturne come la testa di morto (Acheronthia atropos). Tra i coleotteri si nota una buona presenza di popolazioni diffuse abbondantemente nelle aree più integre. Una presenza qualificante, in questo senso, è quella di Lucanus cervus, il cervo volante, il più grosso coleottero delle zone.

Ancora abbondantemente presenti, nelle acque stagnanti o con corrente molto lenta, le varie specie di invertebrati acquatici, tutti di elevatissimo interesse (Ranatra linearis, Nepa cinerea, Notonecta glauca, Dytiscus marginalis, varie specie di odonati, oltre a plecotteri, efemerotteri, tricotteri, ecc.).


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