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Sabato 11 Rosanna Schiaffino: il fascino discreto della semplicità


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ore 16.45

Al di là del bene e del male (1977)

Regia: Liliana Cavani; soggetto: L. Cavani; sceneggiatura: Franco Arcalli, Italo Moscati; fotografia: Armando Nannuzzi; costumi: Piero Tosi; musica: Daniele Paris; montaggio: F. Arcalli; interpreti: Dominique Sanda, Erland Josephson, Robert Powell, Virna Lisi, Philippe Leroy, Carmen Scarpitta; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Clesi Cinematografica, Lotar Film, Les Artistes Associés, Artemis; durata: 127’



«Liberamente ispirato alla realtà storica, è il romanzo di una donna e due uomini – Lou Von Salomé, Friedrich Nietzsche, Paul Rée – che verso la fine dell'Ottocento cercano di attuare una trinità sentimentale. Chi conduce il gioco sovversivo del desiderio – la cui logica si scontra con quella del potere – è la donna e suo (della regista) il punto di vista sugli avvenimenti. Scritto con Italo Moscati e Franco (Kim) Arcalli e sostenuto da un apparato figurativo di sfarzo viscontiano, è un film denso, ambizioso, fin troppo esplicativo, un po’ raffazzonato nelle plurime ispirazioni letterarie, compiaciuto nel suo indugio sul tema dell’“andare fino in fondo”» (Morandini).

Vietato ai minori di anni 14
ore 19.00

Interno berlinese (1985)

Regia: Liliana Cavani; soggetto: liberamente tratto dal romanzo La croce buddista di Junichiro Tanizaki; sceneggiatura: L. Cavani, Roberta Mazzoni; fotografia: Dante Spinotti; scenografia: Luciano Ricceri; costumi: Alberto Verso; musica: Pino Donaggio; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Gudrun Landgrebe, Kevin McNally, Mio Takaki, Massimo Girotti, Philippe Leroy, William Berger; origine: Italia/Germania; produzione: Cannon; durata: 118’



Nella Berlino del 1938, proprio mentre il regime nazista intensifica le sue campagne di moralizzazione, Louise von Hollendorf e suo marito Heinz vengono entrambi sedotti da Mitsuko, figlia dell’ambasciatore giapponese: dall’incontro nasce un triangolo morboso. Con uno stile decadente e raffinato, a cui contribuiscono gli eccellenti Spinotti e Donaggio per la fotografia e la colonna sonora, Liliana Cavani trapianta nella Germania nazista l’erotismo di Junichiro Tanizaki, con effetti suggestivi. «Quell’angelo demonio [Mitsuko] Liliana Cavani lo ha trascritto con molta finezza, andando a fondo nella sua psicologia irta di enigmi e conducendo avanti il suo incontro-scontro con gli altri due, mettendo in vellutata evidenza il suo ruolo di perfido ma segretissimo di carnefice i cui moventi, visti solo dalle sue vittime, attraverso i suoi gesti, non sono mai chiariti del tutto, rimanendo – come spesso i personaggi di Tanizaki – confinati in limbi misteriosi, all’insegna soprattutto dell’ambiguità» (Rondi).

Vietato ai minori di anni 14
ore 21.05

Relazione della psicanalista Manuela Fraire e incontro moderato da Fabio Castriota con Liliana Cavani


a seguire

Il portiere di notte (1974)

Regia: Liliana Cavani; soggetto e sceneggiatura: Barbara Alberti, L. Cavani, Italo Moscati, Amedeo Pagani; fotografia: Alfio Contini; scenografia: Nedo Azzini, Jean Marie Simon; costumi: Piero Tosi; musica: Daniele Paris; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Dirk Bogarde, Charlotte Rampling, Philippe Leroy, Gabriele Ferzetti, Giuseppe Addobbati, Isa Miranda; origine: Italia; produzione: Lotar Film; durata: 118’



In un albergo di Vienna, nel 1957, una sopravvissuta alla tragedia dei campi di concentramento, Lucia Atherton, ritrova il suo aguzzino, con cui riallaccia un rapporto schiavo-padrone. Trasferitasi a casa dell’uomo, mentre un gruppo di sicari nazisti le sta dando la caccia, Lucia spinge la relazione fino all’annientamento reciproco. Uno dei lungometraggi più discussi degli anni Settanta, diretto da una regista in stato di grazia e causa di un dibattito che all’epoca fece il giro del mondo. Raramente nella storia del cinema il rapporto vittima-carnefice è stato esplorato con tanta lucidità, e i due protagonisti, la Rampling e Bogarde, sono indimenticabili. «Sequestrato, assolto, risequestrato e bloccato per un anno, rimane un film straziante, atroce testimonianza del nazismo. Con questo film, impensabile senza l’analisi materiale e psicologica del nazismo vagliata durante gli anni dell’apprendistato documentaristico, la Cavani sposa sul piano artistico la complicità delle immagini con una pulsione voyeuristica. Lo spazio dell’esperienza si identifica ora con il dominio dello sguardo, metafora di violazione e di potere» (Gaetana Marrone).

Ristampa a cura della Cineteca Nazionale

Vietato ai minori di anni 14 - Ingresso gratuito
domenica 26

Tracce di Alberto Moravia nel cinema italiano

Breve omaggio ad Alberto Moravia a vent’anni dalla morte, con la proiezione di tre film tratti da sue opere letterarie. Ennesima occasione per riflettere sulla figura dello scrittore nel cinema italiano, al quale ha dato un apporto creativo come soggettista e sceneggiatore e come critico, oltre ad essere stato fonte di ispirazione con i suoi romanzi e racconti. Mai scrittore italiano è stato più “saccheggiato” dal cinema, grazie anche alla libertà che Moravia ha sempre concesso agli sceneggiatori chiamati a tradurre le sue pagine in film. Libertà che nasceva dalla consapevolezza della diversità delle due forme artistiche e dal rispetto per il lavoro altrui, che a volte, però, non era reciproco. Ecco il Moravia-pensiero, ancora oggi attuale: «In occasione della proiezione dell’Agostino di Mauro Bolognini ricavato dal mio romanzo omonimo, si sono riaccese le solite polemiche sull’opportunità o meno di tradurre in film i romanzi e sulla migliore maniera di mandare ad effetto questa traduzione. Alcuni critici, non sappiamo quanto in buona fede, si sono addirittura scagliati contro il rapporto della letteratura col cinema, difendendo non si sa quale purezza dell’ispirazione cinematografica. Ma in sostanza che cosa difendono questi critici? Il cosiddetto “soggetto originale” ossia le cinque dieci malvage paginette semianalfabete stillate faticosamente dai cosiddetti “soggettisti” professionali, le quali, una volta acquistate dal produttore, debbono essere rifatte cento volte da intere coorti di sceneggiatori. Diciamolo pure: il “soggetto originale” è il massimo responsabile del basso livello culturale ed estetico di gran parte della produzione cinematografica. Per me, il solo “soggetto originale” legittimo è quello scritto personalmente dal regista. Ma poiché i registi che scrivono i loro soggetti sono pochi, il romanzo è di gran lunga preferibile al “soggetto originale” e questo per i seguenti motivi: 1. Attraverso la riduzione cinematografica di romanzi s’ottiene la circolazione delle idee e della cultura nel cinema, altrimenti impossibile, dato il basso livello culturale dei “soggettisti”; 2. In un “soggetto originale” bisogna aggiungere, il che non è sempre possibile; in un romanzo basta togliere, operazione molto più agevole; 3. Il romanzo fino a un certo punto serve da antidoto ad alcuni mali del cinema quali il divismo, l’intreccio meccanico, la pornografia delle “maggiorate fisiche”, ecc.

Venendo al film di Mauro Bolognini, non posso che ripetere ciò che dissi a proposito dell’Isola di Arturo: l’autore del libro non può chiedere che il regista sia fedele; ma può bensì chiedergli che faccia un bel film» («L’Espresso», 16 dicembre 1962; poi nel fondamentale volume a cura di Adriano Aprà, Stefania Parigi, Moravia al/nel cinema, Associazione Fondo Alberto Moravia, 1993, p. 282).
ore 17.00

Racconti romani (1955)

Regia: Gianni Franciolini; soggetto: da alcuni Racconti romani di Alberto Moravia scelti da Sergio Amidei; sceneggiatura: S. Amidei, Age & Scarpelli, Francesco Rosi, A. Moravia; fotografia: Mario Montuori; scenografia: Aldo Tomassini; costumi: Beni Montresor; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Adriana Novelli: interpreti: Vittorio De Sica, Totò, Silvana Pampanini, Franco Fabrizi, Antonio Cifariello, Maurizio Arena; origine: Italia; produzione: I.C.S.; durata: 98’



Un incallito truffatore convince alcuni giovani sfaticati ad abbandonare le loro attività per dedicarsi a imprese poco limpide. «Il film cerca di far convivere il pessimismo dello scrittore con la bonarietà della commedia all’italiana: ne esce un ibrido curioso, vivacizzato – forse troppo – da un cast brillante, che testimonia la nascente tentazione del cinema italiano a stemperare nel rosa certe componenti di più seria analisi sociale» (Mereghetti).
ore 19.00

La noia (1963)

Regia: Damiano Damiani; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Tonino Guerra, Ugo Liberatore, D. Damiani; fotografia: Roberto Gerardi; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Angela Sammaciccia; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Renzo Lucidi; interpreti: Horst Buchholz, Catherine Spaak, Bette Davis, Georges Wilson, Leonida Repaci, Isa Miranda; origine: Italia/Francia; produzione: C.C. Champion, Les Films Concordia; durata: 118’



«Dino, pittore romano egoista e incapace di comunicare col prossimo, ha un ambiguo rapporto di dipendenza con la ricca madre americana. Allaccia una relazione con Cecilia, ragazza dall’oscuro passato, a scopo di mero intrattenimento sessuale. Quando comincia a sospettare che lo tradisca ne diventa sempre più succubo» (Morandini). Secondo Kezich «il film è rispettoso degli eventi narrati nel libro, tranne per un eccesso di ottimismo nel finale», mentre per Pestelli «il film resta autenticamente moraviano», anche se il male del protagonista, nel passaggio dal romanzo al film, «perde il lustro filosofico».

Vietato ai minori di anni 18
ore 21.15

Gli indifferenti (1964)

Regia: Francesco Maselli; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, F. Maselli; fotografia: Gianni Di Venanzo; scenografia: Luigi Scaccianoce; costumi: Marcel Escoffier; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Claudia Cardinale, Rod Steiger, Shelley Winters, Tomas Milian, Paulette Goddard, Consalvo Dell’Arti; origine: Italia/Francia; produzione: Vides Cinematografica, Lux Film, Ultra Film, Compagnie Cinématographique de France; durata: 115’



«Anche quelli che non apprezzano Moravia riconoscono che nel 1929, quando si impose con Gli indifferenti, egli scrisse il suo romanzo più valido e, per quei tempi, più nuovo. Gli schemi narrativi, infatti, li aveva presi dalla vecchia letteratura – la famiglia in sfacelo, la madre anziana con l’amante ricco, il figlio orgoglioso e dolente, la figlia che, quasi per convenienza, sposa l’amante della madre – ma li aveva rivestiti di un clima esistenzialistico ante litteram, di un senso di impotenza di fronte al marcio della vita, di una nauseata indifferenza di fronte al crollo di tutti gli antichi valori, e questo aveva conferito loro una innegabile modernità, trasformando, oltre a tutto, ogni personaggio nel ritratto preciso di un’epoca e di una società. […]
Maselli, convinto nell’universalità dei temi del romanzo e credendo che potessero essere trattati anche al di fuori dell’epoca in cui erano sorti, ha volutamente sfocato attorno ad essi la cornice degli Anni Trenta (pur accettandone fogge e costumi) e ha guardato a quei personaggi, quasi sempre in primo piano, come se fossero di oggi, con angustie, nausee, angosce, noie, facilmente riferibili a quelle di cui soffrono i contemporanei; senza accorgersi, invece, che quelle sofferenze non solo erano tipiche di quegli anni, ma che il modo con cui Moravia le aveva espresse era preso in prestito dalla vecchia letteratura» (Rondi).


Vietato ai minori di anni 18
lunedì 27

chiuso
martedì 28



ore 17.00

Barbagia (La società del malessere) (1969)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Dino Maturi, Massimo De Rita dal libro La società del malessere di Giuseppe Fiori; sceneggiatura: D. Maiuri, M. De Rita, Augusto Caminito, Antonio Troisio; consulenza ai dialoghi: Giuseppe Fiori; fotografia: Michele Cristiani; scenografia: Franco Fontana; costumi: Carlo Gentili; musica: Don Backy; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Terence Hill, Don Backy, Frank Wolff, Rossana Martini, Gabriele Tinti, Clelia Matania; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 121’



Graziano Cassitta, giovane pastore barbaricino, educato, secondo il costume della sua gente, a considerare l’onore più importante della vita, vendica la morte di un fratello uccidendo uno dei suoi assassini. Arrestato, riesce a evadere per ben tre volte: l’ultima, dal carcere di Sassari in compagnia di uno spagnolo, Miguel Lopez, col quale si rifugia sul Supramonte, l’aspra e boscosa catena di montagne nel cuore stesso della Barbagia. Spalleggiato da Spina, un disonesto avvocato, Graziano e la sua banda cominciano a dedicarsi a una fruttuosa attività: il sequestro di persone danarose da liberare in cambio di cospicui riscatti. «Un pamphlet avvincente e utile: un saggio di buon giornalismo ricostruito» (Kezich).

Vietato ai minori di anni 14
ore 19.15

Torino nera (1972)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto e sceneggiatura: Luciano Vincenzoni, Nicola Badalucco; fotografia: Pasqualino De Santis; scenografia: Amedeo Fago; costumi: Maria Laura Zampacavallo; musica: Gianfranco e Gianpiero Reverberi, Nicola di Bari; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Bud Spencer, Domenico Santoro, Andrea Balestri, Nicola di Bari, Marcel Bozzuffi, Françoise Fabian; origine: Italia/Francia; produzione: Intermaco, Trianon Productions; durata: 105’

A Torino durante una partita di calcio, il costruttore edile meridionale commendator Fridda uccide (perché il sicario Puma esita) un gorilla di cui in precedenza si era servito, un certo Santoro. Eliminato costui a causa dei suoi metodi feroci e controproducenti, Fridda vuole eliminare anche Rosario Rao, un operaio onesto e difensore degli sfruttati, sposato con due bambini, Mino e Raffaele. Il costruttore riesce a incastrare il pover’uomo facendolo incriminare e condannare per l’omicidio da lui commesso (Rao risulta essere il proprietario della pistola che aveva sparato ed era anche lui presente allo stadio). La moglie di Rao lavora in una lavanderia, i bambini, pressoché abbandonati, si danno al piccolo commercio di sigarette di contrabbando. Della scena dell’assassinio esiste da qualche parte una fotografia. Alla ricerca di quella fotografia e del negativo si mette il giovane avvocato Mancuso, stimolato e aiutato da Mino e Raffaele. «Dramma un po’ semirusticano in ambiente però metropolitano con un finale alla Matarazzo […], Torino nera punta sugli effetti forti, senza perdersi in finezze e mediazioni» (De Santi).
ore 21.15

Storie di vita e malavita (Racket della prostituzione minorile) (1975)

Regia: Carlo Lizzani; collaborazione alla regia: Mino Giarda; soggetto: Marisa Rusconi, M. Giarda, da un’inchiesta di Marisa Rusconi; sceneggiatura: C. Lizzani, M. Giarda; fotografia: Lamberto Caimi; scenografia: Franco Fumagalli; costumi: Lia Morandini; musica: Ennio Morricone; interpreti: Anna Curti, Lidia Di Corato, Annarita Grapputo, Danila Grassini, Sandro Pizzocchero, Cinzia Mambretti; origine: Italia; produzione: Thousand Cinematografica; durata: 120’



Tratto da un’inchiesta, il film racconta molte vicende sul tema annunciato dal sottotitolo: il racket della prostituzione minorile. Due sono i filoni di fondo: quello delle giovani sprovvedute, immigrate nelle grandi città del Nord delle provincie meridionali o dalle grandi isole, spinte dal bisogno di lavorare e allettate con promesse lusinghiere; e quello delle ragazze di famiglie borghesi, i cui genitori conducono ipocritamente una doppia vita oppure sono incapaci di rapporti affettivi e confidenziali con i propri figli. «All’epoca venne strapazzato dalla critica, ma se è vero che non lesina in crudezze e sfiora il sensazionalismo, le notazioni di costume sono quasi sempre azzeccate e non ci sono spiegazioni univoche. Il punto di vista è giustamente quello delle vittime, ma pari attenzione viene riservata agli sfruttatori, che siano i clienti o i protettori. E gli uomini fanno una pessima figura» (Mereghetti).

Vietato ai minori di anni 18
mercoledì 29

ore 17.00

San Babila ore 20: un delitto inutile (1976)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Ugo Pirro, Mino Giarda; sceneggiatura: U. Pirro, M. Giarda, C. Lizzani; documentazione e ricerche: Claudio Lazzaro; fotografia: Pier Giorgio Pozzi; scenografia: Pier Luigi Basile; costumi: Dada Salingeri, Serenilla Staccioli; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Daniele Asti, Pietro Giannuso, Giuliano Cesareo, Pietro Brambilla, Brigitte Skay, Paola Faloja; origine: Italia; produzione: Produzioni Tattilo Associate; durata: 105’



Reduci del funerale di un vecchio gerarca del “ventennio”, quattro giovani neofascisti – Fabrizio Franco e Micki, d’estrazione borghese, e Alfredo, commesso d’origine meridionale – compiono una bravata contro i “rossi” del liceo Beccaria. «Ancora una volta Lizzani sfrutta con tempismo gli avvenimenti della cronaca nera, recuperando anche uno sguardo civile e politico. Non tutto funziona, ma il merito di una documentazione e della stessa denunzia del fenomeno, legato al neo-fascismo più violento ed eversivo, appare inoppugnabile» (De Santi).
ore 19.00

L’indifferenza (ep. di Amore e rabbia, 1969)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: da un’idea base di Puccio Pucci e Piero Badalassi; sceneggiatura: Carlo Lizzani; fotografia: Sandro Mancori; scenografia: Mimmo Scavia; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Tom Baker; origine: Italia/Francia; produzione: Castoro Film, Anouchka Film; durata: 12’



È una rilettura della parabola del buon Samaritano. Siamo a Brooklyn, sul celebre ponte: un uomo, vittima di un incidente, implora aiuto ai bordi della strada ma nessuno si ferma. Nel frattempo in un’altra zona della città una ragazza viene violentata in un allucinante silenzio, senza che nessuno possa, sappia o voglia intervenire. È la barbarie del vivere moderno, isolazionista, individualista, totalmente privo di spirito altruistico. Solo un pregiudicato è disposto, pure se controvoglia, al gesto pietoso, ma sarà arrestato. La rilettura in chiave moderna della parabola del buon Samaritano (Vangelo secondo Luca, 10,25-37), narrata da Gesù ha lo scopo di spiegare il valore della pietà come sentimento fondamentale nella vita dell’uomo.

Vietato ai minori di anni 18
a seguire

Crazy Joe (1973)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Dino Maiuri, Massimo De Rita, da un racconto di Nicolas Gage; sceneggiatura: D. Maiuri, M. De Rita, C. Lizzani, (per l’edizione statunitense) Lewis John Carlino; fotografia: Aldo Tonti; scenografia, arredamento e costumi: Marina Bruni e Robert Gundlach; musica: Giancarlo Chiaramello; montaggio: Vanio Amici; interpreti: Peter Boyle, Paula Prentiss, Fred Williamson, Eli Wallach, Rip Torn, Fausto Tozzi; origine: Usa/Italia; produzione: De Laurentiis Intermaco, Bright-Persky Associates Features; durata: 100’



Stanco della sua eterna posizione di subalterno malpagato, Joe – un mafioso della famiglia Gallo - tenta, spalleggiato da suo fratello Richie, di prendersi una fetta degli affari del boss. Sconfitto però, nell’impari lotta, finisce in galera. Mentre Joe sconta la pena, Falco incarica un ex amico del recluso, Vincent Coletti, di uccidere il più astuto esponente dei capifamiglia don Vittorio Santoni. Vincent invece passa dalla parte di questi che lo premia dandogli il “feudo” di Falco. Perduto Richie (suicida perché stanco e malato), Joe riconquista la libertà e, più che mai deciso a farsi strada fra i boss, si allea con Willy, suo ex compagno di prigione. «Unendo la sapienza espressiva del neorealismo con la tecnica americana Lizzani, a poco tempo di distanza dall’uscita nelle sale di Il Padrino […] confeziona un’opera senza dubbio meno “romantica” ma ugualmente emozionante da considerare come una pregevole premessa a ciò che Sergio Leone e Tonino Delli Colli, dieci anni più tardi, avrebbero saputo egregiamente fare con C’era una volta in America» (Giacci).
ore 21.15

Kleinhoff Hotel (1977)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: V. Orsini; sceneggiatura: V. Orsini, Faliero Rosati; fotografia: Gabor Pogany; scenografia: Luciano Spadoni; costumi: Gianfranco Carretti; musica: Giorgio Gaslini; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Corinne Clery, Bruce Robinson, Katja Rupé, Michele Placido, Werner Pochat, Peter Kern; origine: Italia/Germania; produzione: Trust International Films, Roxy Film Gmbh & Co. KG; durata: 105’



Pascale, moglie francese di un architetto tedesco che lavora in Africa, è costretta, avendo perso l’aereo per Parigi, a pernottare in un albergo berlinese in cui aveva alloggiato da studentessa. Incuriosita dai rumori provenienti dalla stanza accanto scopre, spiando da una fessura, che il suo vicino è un giovane barbuto. Qualche ora dopo saprà anche, avendo ascoltato i suoi dialoghi con un’amica drogata e con un amico, che si chiama Karl, che è un terrorista incaricato di eliminare un presunto traditore. «Si respira, lungo tutto questo film, un’aria malata, un senso di chiuso, una mancanza di ossigeno e di luce. La lotta armata, colta nel suo progressivo ma inesorabile fallimento, diventa una cospirazione solitaria, […] e il regista sceglie di esporla nelle forme di un Kammerspiel, attraverso un’osservazione non emotiva ma distaccata, rigorosa, scientifica, simile alla lente di ingrandimento di un entomologo che studia un microcosmo animale» (Giacci).

Vietato ai minori di anni 18
giovedì 30

ore 17.00

L’autostrada del sole (ep. di Thrilling) (1965)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto e sceneggiatura: Rodolfo Sonego; fotografia: Roberto Gerardi; scenografia: Elio Costanzi; costumi: Lucia Mirisola; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Alberto Sordi, Sylva Koscina, Nicoletta Rangoni Machiavelli, Giampiero Albertini, Rossana Martini, Federico Boido; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 30’



Fernando Boccetta, trovandosi per curiose circostanze a inseguire con la sua utilitaria una potente automobile, è costretto a passare la notte in una misteriosa locanda dove una famiglia di maniaci commette una serie di delitti dei quali lui verrà incolpato.
a seguire

La casa del tappeto giallo (1983)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: dalla pièce Teatro a domicilio di Aldo Selleri; sceneggiatura: Lucio Battistrada, Filiberto Bandini; fotografia: Giuliano Giustini; scenografia: Elena Ricci Poccetto; costumi: Lina Taviani e Pamela Aicardi; musica: Stelvio Cipriani; montaggio: Angela Cipriani; interpreti: Beatrice Romand, Erland Josephson, Vittorio Mezzogiorno, Milena Vukotic; origine: Italia; produzione: R.P.A., Rai; durata: 85’



La vita di Franca ed Antonio, una giovane coppia di sposi, è turbata dagli incubi notturni di lei, che nel sonno sogna di avere rapporti intimi col suo patrigno, provocando in questo modo la gelosia del marito. Un mattino presto, in risposta ad un’inserzione attraverso la quale i due sposi intendono vendere un ingombrante tappeto giallo, si presenta un distinto signore; ad aprirgli, in assenza di Antonio, è Franca, per la quale inizia così una allucinante esperienza. « È un giallo psicologico di confezione accurata, efficacemente claustrofobico, incline ai colpi di scena e servito da un efficiente quartetto di attori. 1° film di C. Lizzani dopo il quadriennio di direttore della Mostra di Venezia» (Morandini).

Vietato ai minori di anni 14
ore 19.10

Mamma Ebe (1985)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Gino Capone; sceneggiatura: C. Lizzani, Gianni Capone, Iaia Fiastri; fotografia: Romano Albani; scenografia: Massimo Razzi; costumi: Rita Corradini; musica: Franco Piersanti; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Cassandra Domenica [Berta Dominguez], Stefania Sandrelli, Laura Betti, Barbara De Rossi, Luigi Pistilli, Alessandro Haber; origine: Italia; produzione: Clemi Cinematografica; durata: 98’



La giovane Laura si è barricata nella sagrestia di una chiesa e minaccia di uccidersi dopo aver saputo che Ebe Giorgini, detta Mamma Ebe, la donna a cui si è affidata totalmente, è stata arrestata insieme ai suoi più stretti collaboratori e seguaci. Da qui inizia il processo alla donna creduta da alcuni, con scetticismo, un’esaltata, esibizionista ed astuta nel carpire la buona fede della gente; e da altri, con fanatismo più che religioso, una “santa” miracolosa dalle doti eccezionali, onesta sotto tutti i punti di vista. «Il film, girato a ridosso degli avvenimenti (il film sarà presentato infatti a Venezia il 28 agosto dello stesso anno, a poco più di tre mesi dall’emanazione della sentenza), con la tecnica naturalistica dell’inchiesta processuale ma anche con il ricorso a numerosi flashback che lo costellano di ricordi e di testimonianze su una incredibile vicenda di superstizione e di aberrazione, permette a Lizzani di “tracimare” ancora una volta nell’”horror”. Come sua consuetudine l’intento non è di trasformare il proprio film in un processo parallelo, di condannare o di assolvere, ma di capire, esponendo fatti e lasciando trarre allo spettatore le proprie conclusioni» (Giacci).

Vietato ai minori di anni 14
ore 21.00

Il mio Novecento (2010)

di Carlo Lizzani; origine: Italia; durata: 190’



Realizzato in occasione del 24° Evento Speciale della Mostra di Pesaro, Il mio Novecento ripercorre, attraverso un montaggio di immagini dei suoi film, la storia politica, sociale e cinematografica del secolo scorso. Contemporaneamente testimone e protagonista dei cambiamenti che hanno segnato l’Italia dall’epoca del fascismo a quella attuale Lizzani propone una straordinaria rilettura meta-cinematografica del ricco repertorio di temi, generi e modelli produttivi con cui ha raccontato la storia del Paese. «Il Novecento è un secolo che è stato definito breve, com’è noto, da Hobsbawm, e che va dalla Prima Guerra Mondiale alla Caduta del Muro di Berlino. È un secolo che, essendo io nato nel ’22 e attivo fin dagli anni Cinquanta, ho attraversato tutto materialmente e facendo film che via via si soffermavano su momenti che lo hanno caratterizzato: basti pensare a film come Fontamara, Cronache di poveri amanti, Mussolini ultimo atto e tanti altri titoli. Senza la presunzione dello storico, montando sequenze di miei film credo di aver colto in essi i momenti essenziali del secolo visti in un ottica italiana, pur ogni tanto offrendo la possibilità di uno sguardo fuori dal mio Paese. […] Quindi questo è il Novecento non di uno storico, ma di un regista che si è avventurato nel proprio Paese e nel mondo con quell’occhio critico che ha caratterizzato poi tutto il nostro cinema. Ci sono sequenze di film drammatici come di commedie: insomma, c’è una varietà di colori e di aspetti che penso possano essere interessanti. È la mia visione del Novecento, ma forse permetterà anche alla critica un ulteriore approfondimento» (Lizzani).

Ingresso gratuito
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