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Sabato 11 Rosanna Schiaffino: il fascino discreto della semplicità


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ore 21.00

Trailer de Le sorelle e presentazione di Enrico Magrelli e Sergio Grmek Germani del programma del festival e dei progetti di collaborazione tra Cineteca Nazionale e Cineteca del Friuli


a seguire

L’ombra (1954)

Regia: Giorgio Bianchi; soggetto: dall’omonima commedia di Dario Niccodemi; sceneggiatura: Fede Arnaud, G. Bianchi; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia e costumi: Veniero Colasanti; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Marta Toren, Pierre Cressoy, Gianna Maria Canale, Paolo Stoppa, Emma Baron, Filippo Scelzo; origine: Italia; produzione: Edo Film; durata: 104’



«Incoraggiando questo restauro inseguivamo un film raro, pura ombra di altre grandezze, come rivelava il casting congiunto di Marta Toren e Gianna Maria Canale. Potendolo ora vedere ne riceviamo un dono più grande di quello atteso. Giorgio Bianchi, cui è dedicato un percorso del festival (Ombre Bianchi), si rivela geniale demiurgo dei registi italiani del sublime, da Genina a Cottafavi a Freda, e non solo quel regista di commedie di cui si conosceva la felice leggerezza. Tratto da un testo di Dario Niccodemi, di cui Bianchi ha messo in cinema tutti e quattro i titoli maggiori, smentisce la puzza al naso con cui in Italia si cancellano glorie presuntamente datate, mentre in Francia Resnais si ispira a Bernstein, e Lourcelles riscopre Yves Mirande, i due autori (con Henry Bataille) paralleli a Niccodemi (che a teatro mise in scena Pirandello e diresse lungamente Vera Vergani). Ma il film va oltre l’intreccio felicemente congegnato a teatro: diventa un duetto di corpi femminili che si scambiano felicità e destini maledetti (come quelli che in vita subirono le due splendide attrici). E se Paolo Stoppa aggiunge uno dei suoi ruoli più felici (per un film che si apre con un ballo previscontiano), il fuori campo in cui resta nel finale la deuteragonista si unisce al nuovo ruolo ritrovato in campo dalla protagonista, per una reinvenzione del montaggio griffithiano che capisce tutto del rapporto tra la vita e la morte» (Germani).

Copia restaurata dalla Cineteca Nazionale - Ingresso gratuito
mercoledì 15

ore 17.00

La Pila della Peppa (Le Magot de Josefa, 1963)

Regia: Claude Autant-Lara; sceneggiatura: Jean Aurenche, Pierre Bost, da un romanzo di Catherine Claude; fotografia: Jacques Natteau; montaggio: Madeleine Gug; interpreti: Anna Magnani, Bourvil, Pierre Brasseur, Henri Virlojeux, Christian Marin, Jean-Marie Proslier; origine: Francia/Italia; produzione: Productions Raimbourg, S.O.P.A.C., Star Press, Arco Film; durata: 90’



«Autant-Lara è uno di quei registi incontrollati che ci interessano, fuori dalla falsa alternativa tra canoni (per quanto tendenzialmente indovinati) e revisionismi. È un regista convincente soprattutto nei suoi film anomali, e questa coproduzione italo-francese (con una splendida Magnani che si ridoppia per la versione italiana) realizza il suo amore (da stendhaliano qual’era) verso il cinema italiano, e permette a questo film di “giustificare” quella mechanceté della provincia francese che qui tocca l’apice e che talvolta si rimproverò al regista come un facile partito preso. Con gli eccellenti Bourvil e Pierre Brasseur, Anna Magnani vive una vicenda di fortune economiche impossibili, e in ciò il film ben si lega a quello che segue nel programma» (Germani).


ore 19.00

Lo scippo (1965)

Regia: Nando Cicero; soggetto e sceneggiatura: N. Cicero, con la collaborazione di Alessandro Continenza; fotografia: Franco Villa; scenografia: Demofilo Fidani; costumi: Mila Vitelli, Nadia Vitelli; musica: Piero Umiliani; montaggio: Maurizio Lucidi; interpreti: Paolo Ferrari, Gabriele Ferzetti, Annette Stroyberg, Margaret Lee, Mario Pisu, Enrico Maria Salerno; origine: Italia; produzione: Italcine T.V.; durata: 94’



«Opera d’esordio di un regista di cui i 1000(o)cchi si occupano spesso e nella quale si trova già sintetizzata “teoricamente” la scatologia dell’economico, che fa capire come Ultimo tango a Zagarol potesse diventare una parodia più radicale del modello. La sequenza più volte variata nei film di colpi grossi, del bottino beffardamente perduto, diventa qui, visibilmente, lo scarto scatologico di una società fondata sull’economia (cinema compreso). Il festival proporrà il film in un percorso intitolato “Cinema ed economia: due finzioni allo specchio”, in cui si vedrà come il cinema italiano abbia fatto, tra anni Trenta e anni Sessanta, degli acuti discorsi antieconomici, ben confluenti nel pensiero di Pasolini e nel suo dialogo con Pound» (Germani).


ore 21.00

Le sorelle (1969)

Regia: Roberto Malenotti; soggetto: Alex Fallhai [Renzo Maietto]; sceneggiatura: Brunello Rondi, R. Malenotti; fotografia: Giulio Albonico; scenografia e costumi: Luciana Marinucci; musica: Giorgio Gaslini; montaggio: Antonietta Zita; interpreti: Susan Strasberg, Massimo Girotti, Nathalie Delon, Giancarlo Giannini, Lars Bloch, Gianni Pulone; origine: Italia/Francia; produzione: Cine Azimut, Les Films Corona; durata: 102’



«Azzardiamo un’attribuzione a Brunello Rondi, per una proiezione che vuole inserirsi nella riscoperta a tappe del regista, anche in occasione dell’uscita di un volume cui abbiamo collaborato. Questo film con la splendida accoppiata di Susan Strasberg e Nathalie Delon (quindi ben rimato con la coppia femminile della sera prima, giacché non è mai solo di lesbismo che può trattarsi) è tutto fuorché quel banale pre-soft che a molti apparve. La musica di Giorgio Gaslini ben lo lega alla coeva regia Le tue mani sul mio corpo e indica che Rondi era anche qui più che solo sceneggiatore. Viatico alle successive tappe di una serie “erotica”, esige che l’opera dell’autore si sottragga agli equivoci (compreso quello dei recuperi trash)» (Germani).

Copia proveniente dall’Archivio Storico del Cinema Italiano
16-30 settembre

Attraverso il Novecento. Il cinema di Carlo Lizzani

«Affrontare l’opera di Carlo Lizzani vuol dire fare i conti con la storia del cinema e la storia d’Italia negli ultimi settant’anni. La sua longevità artistica, il suo eclettismo, la sua elasticità rispetto alla nozione di autore, la sua frequentazione dei generi, fanno del suo cinema un serbatoio enorme di temi possibili, tanti fili rossi attraverso cui analizzare le tipologie, le fonti, i modelli produttivi, le dinamiche industriali e culturali del film. Vediamone alcuni. Parto dal cinema come fonte e specchio della storia, per dirla alla Ferro: ecco che Lizzani rivisita il fascismo e l’antifascismo, da Achtung! Banditi! a Il sole sorge ancora, dal Processo di Verona, a Mussolini ultimo atto; rende omaggio all’Olocausto (L’oro di Roma, e l’ultimo lungometraggio Hotel Meina, sulla strage di un gruppo di ebrei all’indomani dell’8 settembre); analizza il comunismo con Bucharin, Un’isola, Caro Gorbachov, il boom economico con La vita agra, la corruzione con Roma bene, il terrorismo con Kleinhoff Hotel, Il caso Dozier, Nucleo Zero. Prendo il rapporto tra cinema e letteratura: ecco la possibilità di rileggere sotto altra luce Cronache di poveri amanti da Pratolini e La vita agra di Bianciardi, oppure Fontamara da Silone, o Celluloide da Pirro. Continuo col metalinguaggio: ancora con Celluloide ecco Lizzani riflettere sulla stessa macchina-cinema oltre che ricostruire un evento storico irripetibile. E poi i generi: Lizzani affronta il comico e la commedia (Lo svitato, Il carabiniere a cavallo), il thriller (La casa del tappeto giallo), il film-cronaca (Mamma Ebe), il western (Requiescant), il poliziesco (Banditi a Milano, Lutring, Crazy Joe). […] Il lungo percorso di Lizzani “attraverso il Novecento” (come suona la sua raccolta, una sorta di diario dall’interno del cinema italiano) permette di fotografare uno spaccato d’Italia dal ventennio fascista all’era del postmoderno; egli stesso, infatti, sottolinea come attraverso i suoi film si possano raffigurare interi decenni della storia italiana» (Vito Zagarrio, dal volume, da lui curato, Carlo Lizzani - Un lungo viaggio nel cinema, Marsilio, 2010).

La retrospettiva dedicata a Lizzani, dopo il grande successo alla Mostra di Pesaro (24° Evento Speciale), viene riproposta al Cinema Trevi. La programmazione è scandita in base al periodo storico in cui sono ambientati i film, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri.
giovedì 16

ore 17.00

Un fiume di dollari (1966)

Regia: Lee W. Beaver [Carlo Lizzani]; soggetto e sceneggiatura: Dean Craig [Piero Regnoli]; fotografia: Toni Secchi; scenografia: Aurelio Crugnola; costumi: Elio Micheli; musica: Leo Nichols; montaggio: Ornella Micheli; interpreti: Thomas Hunter, Henry Silva, Nando Gazzolo, Nicoletta Machiavelli Rangoni, Dan Duryea, Gianna Serra; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 93’



Jerry è un soldato sudista che, dopo la sconfitta, compie un furto milionario insieme a un commilitone. Raggiunto dagli inseguitori, viene catturato mentre l’amico si mette in salvo con la refurtiva. Dopo cinque anni di carcere, scopre che sua moglie è morta a causa degli stenti patiti e che suo figlio è costretto a fare il ragazzo di bottega da un fabbro, mentre il suo complice è divenuto ricco e potente. Jerry prepara la vendetta… Film voluto da Dino De Laurentiis per lanciare il suo villaggio western e la nuova stella Thomas Hunter, ma il film si regge soprattutto sulla straordinaria maschera di Henry Silvia e sulla simpatia di Dan Duryea.
ore 19.00

L’amante di Gramigna (1968)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Ugo Pirro, liberamente ispirato alla novella omonima di Giovanni Verga; sceneggiatura: Ugo Pirro, C. Lizzani; fotografia: Silvano Ippoliti; scenografia: Dino Leonetti; Mony Mayer Alagemoy; costumi: Danilo Donati; musica: Otello Profazio; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Gian Maria Volonté, Stefania Sandrelli, Ivo Garrani, Luigi Pistilli, Emilia Radeva, Assen Milanov; origine: Italia/Bulgaria; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Studija Za Ignaini Film; durata: 97’



Nel 1865 in Sicilia, due poveri cittadini, Giuseppe Gramigna e suo padre, truffati dal barone Nardò, sono costretti a lasciare la loro misera casa, già affittata dal barone ad Assunta e a sua figlia Gemma, promessa sposa a Ramarro, uno dei suoi dipendenti. Gramigna, deciso a vendicarsi, si dà al banditismo e incomincia a uccidere i “mediatori”, complici di Nardò. «Lo spettacolo mantiene una sua dignità, dovuta sia alla sicurezza che ormai il regista ha acquisito nella trattazione di questi argomenti, sia alla sua nota predilezione per le vicende storiche (nelle quali più frequentemente lo vorremmo impegnato) sia al calore non finto che Volontè mette nella figura del “brigante”. Non si potrebbe però asserire che i tempi del fascismo siano tramontati del tutto. La sua Sicilia Lizzani ha dovuto ricostruirsela in Bulgaria, tanto il nome di Verga incute ancora paura ai potenti produttori italiani!» (Casiraghi).
ore 21.00

Incontro con Carlo Lizzani, Vittorio Giacci, Vito Zagarrio

Nel corso dell’incontro sarà presentato il volume curato da Vito Zagarrio Carlo Lizzani - Un lungo viaggio nel cinema (Marsilio, 2010)
a seguire

Il cineasta multitasking. Carlo Lizzani, cinema e altro (2010)

Regia: Vito Zagarrio; fotografia: Andrea Gagliardi, Simone Isola, Luca Lardieri; montaggio: Pierpaolo De Sanctis; origine: Italia; produzione: Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus, Laboratorio Cinema-Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in collaborazione con Kimerafilm; durata: 50’



Una lunga intervista a Carlo Lizzani, che ricostruisce il suo percorso politico e culturale, e affronta il tema del suo essere “eclettico”, che ha provocato, a volte, un pregiudizio della critica.

Ingresso gratuito
venerdì 17

ore 17.00

Cattiva (1991)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: F. Scarpelli; sceneggiatura: Francesca Archibugi, F. Scarpelli; consulenza scientifica: Anna Sanpaolo Criscuolo; fotografia: Daniele Nannuzzi; scenografia: Luciano Calosso; costumi: Enrica Barbano; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Giuliana De Sio, Julian Sands, Erlans Josephson, Milena Vukotic, Didi Perego, Francesca Ventura; origine: Italia; produzione: Pac; durata: 98’



Il film è ambientato agli inizi del Novecento: la giovane signora Emilia Schmidt, di origine italiana, conduce in Svizzera col marito e il figlioletto Ludwig un’esistenza agiata, in apparenza serena, ma ogni tanto dà qualche inatteso segno di squilibrio. Ricoverata in una lussuosa clinica di Zurigo, viene diagnosticata come schizofrenica a causa del suo comportamento: è presa da improvvise crisi di collera, rifiuta il cibo, si ostina a non parlare. Viene perciò definita “cattiva”. «Il film, che non nomina Jung, non somiglia ai tanti film americani o no su casi clinici: […], al di là di alcune semplificazioni si distingue per mancanza di corrività e di drammatizzazioni stereotipate, per una civile serietà più colta che didattica, per la chiara onestà intellettuale, per il vero interesse nel capire e far capire il confine tra biografia e malattia» (Tornabuoni).
ore 19.00

Cronache di poveri amanti (1953)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini; sceneggiatura: Sergio Amidei, C. Lizzani, Massimo Mida, Giuseppe Dagnino; fotografia: Gianni Di Venanzo; scenografia: Peck G. Avolio; costumi: Edith Bieber; musica: Mario Zafred; montaggio: Enzo Alfonsi; interpreti: Antonella Lualdi, Giuliano Montaldo, Marcello Mastroianni, Anna Maria Ferrero, Wanda Capodaglio, Gabriele Tinti; origine: Italia; produzione: Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici; durata: 109’



Intorno al 1925, Mario, giovane tipografo fiorentino, per essere più vicino alla sua fidanzata, Bianca, va ad abitare in del Corno, dietro Palazzo Vecchio, e fa amicizia col maniscalco”Maciste”, suo padrone di casa, e col fruttivendolo Ugo, tutti e due antifascisti. Alfredo Campolmi, proprietario di una pizzicheria, essendosi rifiutato di versare certi contributi al partito, viene selvaggiamente bastonato dai fascisti. Al capezzale del Campolmi, all’ospedale, Mario incontra spesso la di lui moglie Milena, amica della sua fidanzata, Bianca, e se ne innamora, rompendo il fidanzamento con Bianca. «È l’ambiente fiorentino di Via del Corno che il romanzo di Vasco Pratolini, dal quale il film è tratto, ha efficacemente delineato, e che ora Lizzani delinea non meno efficacemente. È tutto un piccolo mondo che l’obiettivo non si stanca di frugare, unendo mura e botteghe, finestre e dimore a volti e cadenze, tipi e caratteri. È una umanità semplice, e rilevata, che ben presto desta una pensosa attenzione» (Gromo).

Copia ristampata dalla Cineteca Nazionale
ore 21.00

Fontamara (1980)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: dall’omonimo romanzo di Ignazio Silone; sceneggiatura: Lucio De Caro, C. Lizzani; consulente ai dialoghi: Guido Celano; fotografia: Mario Vulpiani; scenografia: Luigi Schiaccianoci; musica: Roberto De Simone; costumi: Luciano Calosso; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Michele Placido, Antonella Murgia, Antonio Orlando, Imma Piro, Ida Di Benedetto, Deddi Savagnone; origine: Italia; produzione: Rai, Erre Cinematografica; durata: 139’



1927. Fontamara è un paese della Marsica dimenticato da tutti, e i suoi abitanti – chiamati “cafoni” e considerati quali “intrattabili ribelli” - sono uomini rudi e donne severe che pensano soltanto a lavorare duramente per tutta la giornata. Invitati a scendere ad Avezzano per prendere parte a una parata fascista e, nel contempo, partecipare alla suddivisione del Fucino bonificato dai Torlonia, essi vengono presi in giro dall’avvocato concittadino Don Circostanza. Il medesimo li canzona con il giochetto dei “cinque lustri” anziché “cinquant’anni” quando il torrente che irrigava i loro sassosi campicelli viene deviato a favore di un possidente fascista. Ma tra i “cafoni” c’è un discendente di briganti che un poco alla volta apre gli occhi. «Robusta opera di divulgazione, il film è svelto, nitido, corposo. C. Lizzani mette la sordina allo spiritualismo religioso di Silone, evita gli schemi celebrativi del realismo socialista, rievoca con pensosa malinconia un mondo contadino in cui si riflette l'irrisolta questione della nazione italiana, lo squilibrio tra Nord e Sud, tra sviluppo e progresso. È una delle migliori interpretazioni di M. Placido» (Morandini).
sabato 18

ore 17.00

Caro Gorbaciov (1988)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: C. Lizzani; sceneggiatura: C. Lizzani, Augusto Zucchi; collaborazione ai dialoghi: Robert Brodie Booth; fotografia: Roberto Benvenuti; scenografia: Luciano Sagoni; costumi: Adriana Berselli; musica: Luis Bacalov; montaggio: Angela Cipriani; interpreti: Harvey Keitel, Flaminia Lizzani, Gianluca Favilla, Francesca Lucidi, Rick Boyd [Federico Boido], Valerio Serraiocco; origine: Italia; produzione: R.P.A. International, con la collaborazione di Rai; durata: 80’



Nella notte del 26 febbraio 1937, nell’appartamento di Mosca – ceduto loro da Stalin dopo il suicidio ivi avvenuto della moglie Nadezda Allilujeva – Nikolaj e Anna Larina Bucharin trascorrono una drammatica vigilia, punteggiata da inquietanti premonizioni. Con l’angoscioso presentimento che, a causa delle accuse di tradimento di Stalin, per Nicolaj si avvicini la medesima sorte toccata ad altri dirigenti del partito, questi insiste perché la moglie impari a memoria una lettera, indirizzata come denuncia alle future generazioni, per evitare che venga requisita e distrutta e per assicurare in tal modo ai posteri la conoscenza della verità sul regime. «Caro Gorbaciov costituisce un intervento comunque apprezzabile nel folto di problematiche di divampante attualità, oggi, in Unione Sovietica. Per il resto, il fluire intrecciato dei ricordi e dei flashback imprime all’opera di Lizzani la precisa dimensione drammaturgica di una testimonianza-rendiconto di controllatissima misura» (Borelli).
ore 18.30

Viaggio in corso nel cinema di Carlo Lizzani (2007)

Regia: Francesca Del Sette; soggetto e sceneggiatura: F. Del Sette; fotografia: Malcom Occhetto, Giuseppe Varlotta; riprese: Claudio Perugini, Claudio Palombelli, G. Varlotta; musica: Luca Scota, Giovanni Giombolini, Ermanno Giorgetti; montaggio: Roberto Di Tanna; interpreti: Carlo Lizzani; origine: Italia; produzione: Oblomov Films, con la collaborazione di LA7, Tech; durata: 83’



Tratto da un’idea di Francesca Del Sette, liberamente ispirato al libro-autobiografia di Carlo Lizzani Il mio lungo viaggio nel secolo breve, questo documentario segue le tracce di una poliedrica personalità artistica, in tutte le sue sfaccettature, attraversando la memoria storica non solo del cinema italiano ma dell’Italia stessa. Lizzani è un ponte tra il vecchio e il nuovo, tra il neorealismo e la sperimentazione di genere, è l’occhio attento di un documentarista che si serve del cinema per “documentare” prima di tutto, e per conoscere il mondo poi; è un operatore culturale che si circonda di giovani per rinnovare il festival di Venezia, un cineclubbista che si forma al Cineguf e poi prende il posto di Truffaut nella Federazione mondiale dei Cineclub; un’anima duplice che oscilla tutta la vita tra la politica e il cinema compenetrando sempre le due cose, pur nella scelta sofferta del “racconto” a discapito dell’azione. Un uomo di sinistra che fa della tolleranza la sua più grande qualità e non ha paura di condannare lo stalinismo né di riconoscere nel fascismo l’iniziale spinta innovatrice; uno studioso, un critico, che fissa in alcuni scritti alcune intuizioni essenziali.

Ingresso gratuito
ore 20.00

L’oro di Roma (1961)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto e sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, Giuliani G. De Negri, C. Lizzani, con la collaborazione di Alberto Lecco; fotografia: Erico Menczer; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Luciana Marinucci; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Gérard Blain, Anna Maria Ferrero, Jean Sorel, Filippo Scelzo, Ugo D’Alessio, Andrea Checchi; origine: Italia/Francia; produzione: Ager Film, Sancro Film, C.I.R.A.C., Contact Organisation; durata: 97’



Il maggiore Kappler, durante l’occupazione nazista di Roma, ordina agli ebrei della città di consegnare, nel giro di poche ore, cinquanta chilogrammi di oro, pena la consegna di duecento ostaggi. La comunità immediatamente organizza la raccolta del prezioso metallo. Davide, un giovane calzolaio, esprimendo anche il pensiero di altri giovani, vorrebbe rispondere alla iniqua richiesta con la violenza delle armi. Lizzani «non vuol limitarsi a una rievocazione commossa ed eloquente della tragedia degli ebrei romani, ma mira molto più in alto, alla ricerca appunto delle ragioni che determinarono allora nei perseguitati un atteggiamento di passività e di rassegnazione, e cerca di indicare nel contempo una diversa prospettiva, di reazione e di ribellione, affidata a un personaggio il quale rispecchia aspirazioni che sono la conseguenza di un discorso anche autocritico degli ebrei oggi» (Ferrero).
ore 21.45

Il gobbo (1960)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: Luciano Vincenzoni, Elio Petri, Tommaso Chiaretti; sceneggiatura: C. Lizzani, Ugo Pirro, Vittoriano Petrilli, Mario Socrate; fotografia: Leonida Barboni, Aldo Tonti; scenografia: Mario Chiari; costumi: Piero Gherardi; musica: Piero Piccioni; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Gérard Blain, Anna Maria Ferrero, Bernard Blier, Ivo Garrani, Pier Paolo Pasolini, Rocci Vodolazzi; origine: Italia/Francia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Orsay Film; durata: 103’



Nell’ultima fase della guerra, un giovane della periferia romana, Alvaro, soprannominato “il gobbo”, è diventato famoso compiendo una serie di attentati contro i tedeschi e i fascisti. Suo personale e accanito avversario è il commissario della polizia fascista, Poletti. Per vendicarsi di lui, Alvaro non esita a usare la violenza sulla sua giovane figlia Ninetta. Da quel momento il destino accomuna le sorti di entrambi. Alvaro viene ferito dai tedeschi; si rifugia in casa di Ninetta e la ragazza, innamoratasi nonostante tutto del fuorilegge, lo nasconde. «Si deve dare atto alla regia di Carlo Lizzani di aver saputo risolvere sia il personaggio del protagonista, sia l’ingrata cornice che gli fa da sfondo con un linguaggio quanto si vuole aspro e violento, ma sempre rigoroso e preciso, attento ai disegni psicologici più complessi, sicuro nell’evocazione delle atmosfere più drammatiche, sulla scia (quanto a immagini e a ritmo narrativo) dei migliori film gangster americani» (Rondi).

Copia ristampata dalla Cineteca Nazionale - Vietato ai minori di anni 16
domenica 19

ore 17.00

Hotel Meina (2007)

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Marco Nozza; sceneggiatura: Dino Leonardo Gentili, Filippo Gentili, C. Lizzani, con la collaborazione di Pasquale Squitieri; fotografia: Claudio Sabatini; supervisione alla cinematografia: Vittorio Storaro; scenografia: Tonino Zera; costumi: Catia Dottori; musica: Luis Enrìquez Bacalov; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Ivana Lotito, Majlinda Agaj, Eugenio Allegri, Marta Bifano, Veronica Bruni, Ursula Buschhorn; origine: Italia; produzione: Titania Produzioni, Film’87, Plaza Film, con la collaborazione di Rai Cinema; durata: 115’



Il film è basato su fatti realmente accaduti, raccontati in un libro di Marco Nozza. Lago Maggiore, settembre 1943, un gruppo di sedici ebrei italiani, provenienti dalla Grecia, sono ospiti dell’Hotel Meina di proprietà di Giorgio Benar, un ebreo con passaporto turco (cioè cittadino di un paese neutrale). In seguito all’8 settembre, giorno dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, un reparto di SS capitanato dal comandante Krassler giunge a Meina. Due giovani, Noa Benar e Julien Fendez, sono strappati al loro amore dal brutale irrompere del drappello nazista. Gli ebrei vengono reclusi nell’hotel e inizia una settimana di attesa, terrore e speranza. «Alla soglia degli 85 anni Lizzani conosce la macchina cinema come pochi e sa perfettamente (e in prima battuta) cosa togliere e levare da una materia già di per sé carica di pathos e inevitabile retorica. Non ha bisogno di star, né di effetti speciali, né ha urgenze particolari da appendere sopra le righe. Si limita a filmare, rubando sguardi e denunciando dolori. Ottimo il cast, di volti giusti e sensibili. Un altro tassello di una filmografia esemplare» (Fittante).
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