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Lo svolgimento del processo


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Il primo giudice, inoltre, (pag. 477 della sentenza appellata), ha evidenziato che Gaspare, Domenico e Giuseppe Caravello <>.
Tale circostanza deve essere correlata con quella del ritardo nel pagamento delle spese del progetto, che si spiega in un contesto di intimidazione mafiosa sfociato nell’ “esilio” del Siragusa assai meglio che in un avvicendamento tra un imprenditore in cattive acque ed altri in salute economica.
Oltretutto, se il Siragusa fosse rimasto un protetto di Rosario Riccobono, l’adempimento del debito dei Caravello per le spese del progetto sarebbe stato quanto mai tempestivo, data l’importanza degli impegni assunti nei contesti mafiosi e la gravità delle sanzioni per la loro mancata osservanza.
Non coglie, dunque, nel segno l’osservazione difensiva secondo cui la rinunzia al progetto avrebbe trovato causa nello stato di decozione del costruttore. Al contrario, l’insolvenza di questi derivò da una condizione ambientale sfavorevole di esposizione al “Pizzo” e di inibizione all’ulteriore attività costruttiva.
Non è vero, quindi, alla stregua dei riscontri acquisiti, che il Tribunale sarebbe incorso in una petizione di principio assumendo come presupposto il dato da dimostrare, e cioè l’essere stato “Contrada confidente di Riccobono" (pag. 19 vol. 78 dei motivi aggiunti).
Del resto, la mendace negazione del Siragusa si spiega con una condizione di omertà e di diffidenza nel sistema di tutela dello Stato, nonostante la pendenza del procedimento a carico di Contrada e l’uccisione di Rosario Riccobono, né richiede ulteriori commenti alla stregua di quanto sin qui evidenziato.
Le censure articolate sul punto dai difensori appellanti, dunque, devono essere disattese.
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La vicenda Siragusa, come rilevato dal Tribunale (pag. 485 della sentenza), dimostra che nel 1981 i rapporti tra Riccobono e Contrada erano pienamente instaurati.
Anche in ordine alla iniziale instaurazione dei rapporti tra l’odierno imputato ed il mafioso Stefano Bontate le indicazioni accusatorie del Mutolo si sono rivelate credibili, a dispetto di quanto dedotto dai difensori appellanti.
Premesso, infatti che, tali rapporti, preesistenti ai contatti tra il mafioso Rosario Riccobono e l’odierno imputato, sarebbero stati resi possibili, per quanto appreso dal Mutolo, da quelli del Contrada con il funzionario di Polizia Pietro Purpi e con l’imprenditore Arturo Cassina, vanno innanzitutto esaminate le censure articolate nel volume IV, capitolo V paragrafo V.1 nella parte dedicata a Gaspare Mutolo (pag. 33 e segg.) e nel volume III dell’ Atto di impugnazione nella parte dedicata alle dichiarazioni del collaborante Gioacchino Pennino (pagine 10-11).
Esse si riassumono nella proposizione secondo cui, ammesso che il dr. Purpi avesse avuto rapporti amichevoli con il mafioso Stefano Bontate, dispensando favori a costui e ricevendone, ciò non consentirebbe di attribuire proprietà traslative a rapporti personali, cioè di inferire l’esistenza di rapporti della medesima natura tra l’imputato e lo stesso Bontate.
In altri termini, il Tribunale avrebbe arbitrariamente dedotto <> (pag. 35 volume IV capitolo V paragrafo V.1 dei Atto di impugnazione).
Lo stesso Mutolo, peraltro, soggiungono i predetti difensori, <>, non contenendo le sue dichiarazioni alcun elemento <>.
Il collaborante, infatti, alla domanda “...Ha mai sentito parlare il dottore Purpi e il signor Bontate del dr. Contrada?” aveva risposto “No, no,no, mai”(pag. 25, ud. 1° giugno 1995) ed alla ulteriore domanda “Lei ha mai visto il dr. Contrada nella villa di Bontate? Lei ha mai visto il dr. Contrada in compagnia di Bontate?” aveva risposto “No, no” (pag.11, ud. 1° giugno 1995).
Le argomentazioni svolte dal Tribunale circa il rapporto Bontate - Purpi - Contrada (pagina 414 e segg.) intercettano ed esauriscono, a ben guardare, tutti gli spunti successivamente riversati nelle censure della Difesa.
Giova, tuttavia, precisare che è del tutto neutra la circostanza, riferita dal Mutolo, di non avere mai sentito Purpi e Bontate parlare di Contrada.
Il collaborante, infatti, indicando la sua fonte nel Riccobono, ha puntualizzato i limiti delle sue conoscenze in argomento, e cioè l’avere sentito parlare del dott. Purpi come un tramite. Tale ruolo, peraltro, ha un suo logico addentellato in un elemento caduto sotto la diretta percezione del collaborante prima del suo arresto, e cioè l’essere stato il Bontate promotore di una strategia di avvicinamento ai funzionari di polizia più pericolosi per Cosa Nostra.
Per altro verso, ciò che il Tribunale ha valorizzato come riscontro non è soltanto la concomitanza di rapporti di buona conoscenza del dott. Purpi con l’odierno imputato e con Stefano Bontate9, ma anche il ridimensionamento di tali rapporti da parte e del Purpi e del Contrada, e cioè un comportamento processuale persuasivamente valutato come riscontro di natura logica (pag. 424 e segg. della sentenza appellata, cui si rinvia).
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