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Lo svolgimento del processo


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Osserva questa Corte che oggetto del processo è la verifica dei riscontri alla indicazione accusatoria di Gaspare Mutolo nei confronti di Contrada, non il giudizio di responsabilità dell’avv. Fileccia per concorso esterno in associazione mafiosa o per singoli fatti di favoreggiamento.
Non esiste, cioè, la prospettata incompatibilità logica tra la positiva verifica della attendibilità del Mutolo, limitatamente alle indicazioni accusatorie su Contrada che evocano la figura dell’avv. Fileccia, e la mancanza di prova - per di più ritenuta in un provvedimento che non ha il crisma della irrevocabilità - di condotte agevolatrici da parte del predetto legale, pertinenti all’organizzazione mafiosa nel suo insieme.
Del resto, il provvedimento di archiviazione del GIP, nel riportare le dichiarazioni di Gaspare Mutolo, non fa alcuna menzione a notizie fatte avere da Contrada al Riccobono tramite l’avv. Fileccia, ma riporta ciò che Mutolo riferisce come oggetto di una sua percezione diretta, e cioè gli incontri del predetto legale con latitanti mafiosi anche non suoi clienti e fuori dal suo studio : incontri svoltisi negli anni 1975-1976 , che non potevano attingere l’odierno imputato in un periodo in cui era ancora visto come un nemico di Cosa Nostra.
In altri termini, la funzione di tramite dell’avv. Fileccia, per quanto interessa questo processo, riguarda il periodo in cui il collaborante era detenuto (dal maggio 1976 al 1981), ed è per tale ragione che, in modo del tutto logico, lo stesso Mutolo ha risposto di non avere mai direttamente assistito a contatti tra Contrada e Rosario Riccobono e di non avere mai sentito il suo capofamiglia, in occasione degli incontri informativi tra l’avv. Fileccia e latitanti o ricercati mafiosi, parlare dell’odierno imputato.
Del resto, anche a volere ritenere penalmente irrilevanti tali incontri, come ha fatto il GIP (che non ne ha escluso la storicità), non vi è dubbio che essi, menzionati in modo convergente dal Mutolo e dal Marchese, contribuiscono a coonestare, unitamente agli altri riscontri individuati dal Tribunale, le dichiarazioni rese dal Mutolo in questo processo, delineando un profilo non del tutto neutro del predetto legale.
E’ evidente, inoltre, che l’avv. Fileccia, citato dalla Difesa ed escusso come testimone perchè non risultava la sua qualità di indagato, non avrebbe mai potuto edere contra se (art. 198 comma secondo c.p.p.); apparendo, sotto questo profilo, condivisibile la considerazione del Tribunale secondo cui (pag. 470 della sentenza appellata) la sua testimonianza <>.
Infine, proprio l’essere stata la via Jung un qualificato centro di interessi di Rosario Riccobono costituisce un riscontro della veridicità delle notizie riguardanti gli avvertimenti di operazioni di Polizia in quella zona, delle quali ha riferito il Mutolo evocando la figura dell’avv. Fileccia.
Quanto ai rilievi sub e) e f), la circostanza che nelle agende dell’imputato non risultino annotazioni relative ad incontri o contatti con il predetto professionista non ha alcuna valenza dimostrativa.
Può venire in considerazione, infatti, unicamente il significato delle annotazioni che si rinvengono, non l’assenza di annotazioni. Senza dire che, per il loro carattere necessariamente occasionale ed estemporaneo, difficilmente contatti di tal fatta si prestavano ad essere menzionati, peraltro con esiti potenzialmente compromettenti, nelle agende in questione.
Il fatto, poi, che Rosario Riccobono (pagine 433-440 della sentenza) dal 20 aprile 1977 (data di revoca del mandato di cattura n° 306/75 del 5-7-1975 dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo) al 23 aprile 1980 (data dell’ordine di carcerazione n° 419/80 emesso dalla Procura Generale di Palermo per espiare anni 4 di reclusione per condanna definitiva della Corte di Assise di Palermo), fosse “soltanto” ricercato per la notifica di un provvedimento di sottoposizione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Porto Torres, non esclude, come puntualmente rilevato dal Tribunale (pag. 441 della sentenza) che egli avesse <>.
Analogamente, è formalistica l’osservazione secondo cui, lasciata il 20 ottobre 1976 la Squadra Mobile per passare a dirigere la Criminalpol, Contrada aveva assunto competenze diverse e non si occupava di ricercati o latitanti mafiosi (tale compito, infatti, era demandato alla Squadra Mobile, istituzionalmente tenuta anche attività di Polizia Giudiziaria a tutto campo, mentre la Criminalpol assolveva incarichi relativi a specifiche indagini, conferiti caso per caso).
Proprio l’avvocato Fileccia, infatti, che per la sua pluridecennale esperienza forense, scandita da difese di imputati mafiosi di rango, aveva pieno titolo a fare una affermazione così impegnativa (affermazione valorizzata dai difensori appellanti a conclusione dell’Atto di impugnazione) nel corso del suo esame ha dichiarato che <<...Il dr. Contrada era il simbolo della polizia a Palermo>>; non essendo, dunque, pensabile che la considerazione dell’odierno imputato nel mileu mafioso fosse influenzata dalle diverse funzioni svolte negli apparati della Polizia giudiziaria palermitana7.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte devono, dunque, essere disattese le censure in punto di attendibilità del collaborante per lo specifico aspetto in esame.
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Parimenti infondate sono le doglianze, svolte nel volume VI capitolo V dell’Atto di impugnazione e nel volume 7 dei Motivi nuovi, a proposito dell’episodio della rivelazione a Riccobono, da parte di Contrada, di confidenze ricevute dal costruttore Gaetano Siragusa, vittima di pressioni estorsive.
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