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La fiction religiosa italiana anni Novanta e Duemila: storia ed analisi di uno straordinario successo


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La fiction religiosa

La fiction religiosa, soprattutto quella bio-agiografica, ha rappresentato e tuttora continua a segnare un unicum nella produzione televisiva italiana degli anni Novanta e Duemila31. Il grande successo riscosso inizialmente dalle storie appartenenti al Progetto Bibbia targato Lux Vide e Rai (1993-2002) e a seguire i ritratti dei principali papi del XX secolo, dei santi e beati diffusamente presenti nell’immaginario popolare, oltre che le figure di preti esemplari, sono sì un singolare caso nel periodo indicato, ma anche l’esito, l’evoluzione di un percorso di riflessione sul religioso riscontrabile già nella televisione italiana degli esordi, negli sceneggiati televisivi. «La cosiddetta fiction religiosa ha origini molto più antiche (e nobili) di quanto comunemente si pensa da parte del pubblico e di una certa critica, colpita dai successi di alcuni prodotti»32. Questa nutrita produzione di fiction attinge, inoltre (soprattutto), al patrimonio della settima arte, alle numerose ri-figurazioni biblico-cristologiche o ri-significazioni della figura del prete che il cinema ha proposto in oltre un secolo di storia33.



Le origini della fiction religiosa

Le prime produzioni di fiction religiose hanno luogo già nella Rai del monopolio (1954-1976)34, nella grande stagione degli sceneggiati televisivi anni Sessanta e Settanta35. Anzitutto Francesco d’Assisi, il primo film prodotto dalla Rai nel 1966 nel formato delle due puntate. La regista, Liliana Cavani, affronta il progetto su san Francesco desiderando proporre un inedito sguardo sul santo, cercando di far leva sugli elementi rivoluzionari di Francesco e meno agiografici, la figura di un «contestatore ante litteram», un contestatore non solo politico-sociale, ma inteso «nel senso più totale e assoluto, più estremo»36. La Cavani, che ribadisce il suo non essere cattolica, è intenzionata a offrire una visione del santo meno distante dall’umanità, meno idealistico e più terreno. Un uomo coraggioso, umano nel corpo come tutti, ma animato da una spiritualità e da una integrità morale distante da quella diffusa nella società. «[…] il Francesco del film è la verginità, la purezza cosciente in un mondo di incoscienza, brutale o razionale che sia. Francesco ci appartiene solo per il fatto di avere un corpo come il nostro, ma egli ha dentro qualcosa che nessuno di noi possiede: rende vita la sua forza interna e non si lascia imprigionare in nessuna delle cose dalle quali noi siamo presi ogni giorno. Francesco è sì “uno di noi”, ma quel che ciascuno di noi dovrebbe forse essere»37.

Altro contributo importante è quello di Roberto Rossellini, protagonista della rinascita cinematografica italiana al termine del Secondo conflitto mondiale e tra i primi registi cinematografici a interessarsi con convinzione al piccolo schermo, alle possibilità educative e culturali che la televisione è in grado di offrire. Tra le sue opere televisive possiamo menzionare certamente Atti degli Apostoli (1968), Blaise Pascal (1971) e Agostino d’Ippona (1972). Scelte, non di natura religiosa, ma motivate dalla necessità di raccontare la storia e i suoi principali protagonisti, una necessità culturale e pedagogica. Tale riflessione culmina poi con il progetto cinematografico de Il Messia (1976), l’ultimo film di Rossellini, che risente notevolmente del percorso televisivo38.

Presenza significativa in questa stagione televisiva è poi la figura del sacerdote, con le due popolari serie I ragazzi di padre Tobia (1968) di Italo Alfaro e I racconti di padre Brown (1970) di Vittorio Cottafavi.



I ragazzi di padre Tobia, serie ideata per la tv dei ragazzi (gli autori sono Casacci-Ciambricco, reduci dal fortunato Tenente Sheridan), ha appunto come protagonista un giovane prete dall’atteggiamento non convenzionale, data la sua passione per il judo e i fumetti, coinvolto in continue avventure insieme a un gruppo di ragazzi che frequentano la parrocchia. «Insieme smascherano truffatori recuperano bottini di rapine, catturano ladri, ma risolvono anche i problemi personali con la “medicina” dell’amicizia. Padre Tobia incarna la figura del genitore ideale, autorevole, ma sempre pronto a difendere i suoi ragazzi quando la situazione lo richiede»39.

Pochi anni dopo, viene realizzata la fortunata serie I racconti di padre Brown, adattamento del romanzo L’innocenza di Padre Brown (1911) di Gilbert K. Chesterton, già portata sul grande schermo sia nel 1934, Father Brown, Detective, diretto da Edward Sedgwick sia nel 1954, Uno strano detective, Padre Brown (The Detective. Father Brown), diretto da Robert Hamer40. Vittorio Cottafavi dirige, dunque, le avventure televisive di padre Brown, prete detective interpretato da Renato Rascel (mentre Arnoldo Foà veste i panni di Flambeau, suo aiutante nelle indagini) che si discosta dai soliti investigatori televisivi: «candido e saggio, risolve i casi con sagacia e arguzia»41.

Tra gli sceneggiati a carattere religioso possiamo ricordare, inoltre, Ambrogio di Milano (1976) di Gianfranco Bettetini, che ripercorre la vita di sant’Ambrogio, vissuto nel IV secolo d.C., divenuto santo patrono di Milano42. A chiudere, poi, questa stagione di grandi produzioni televisive sono due kolossal di chiara ambizione cinematografica: Mosè (1974) di Gianfranco De Bosio e Gesù di Nazareth (1977) di Franco Zeffirelli43.

Formati e tipologie della fiction religiosa anni Novanta e Duemila

La fiction religiosa ha ricoperto e continua a ricoprire un ruolo centrale nella stagione anni Novanta e Duemila, un’occasione di grande successo, spesso davvero singolare. «Tutti coloro che si occupano di televisione sanno che le fiction a contenuto religioso sono prodotti che di solito ottengono un grande successo. L’accoglienza riservata a queste fiction è uno dei veri “fenomeni” della televisione italiana degli ultimi quindici anni e, fra l’altro, è un fatto abbastanza specifico del nostro paese, che non ha equivalenti di questo rilievo in altre nazioni europee. La miniserie su Papa Giovanni, prodotta da Lux Vide, diretta Giorgio Capitani […] è tuttora la fiction di maggior successo degli ultimi dieci anni […] Ma accanto a questa potremmo citare numerosissime miniserie che sono state il prodotto più visto dell’anno o almeno fra i primi tre o cinque massimi successi televisivi della propria stagione nel genere fiction […]»44.

A riprova di ciò, possiamo ricorrere al menzionato elenco delle 100 fiction più viste nel decennio 1996-2006. Stando, infatti, all’elenco stilato dall’Osservatorio della fiction italiana45, è possibile cogliere la numerosa presenza di fiction a contenuto religioso, in particolare soffermandosi solamente sulle prime 15 posizioni, quelle con i più alti ascolti, ben 10 su 15 sono fiction religiose.


  1. Papa Giovanni, Rai Uno, 2002, miniserie, 13.180 mila spettatori.

  2. Padre Pio tra cielo e terra, Rai Uno, 2000, miniserie, 13.123 mila spettatori.

  3. Karol. Un uomo diventato Papa, Canale 5, 2005, miniserie, 12.832 mila spettatori.

  4. Perlasca, Rai Uno, 2002, miniserie, 12.205 mila spettatori.

  5. Padre Pio, Canale 5, 2000, miniserie, 11.660 mila spettatori.

  6. Giovanni Paolo II, Rai Uno, 2005, miniserie, 11.329 mila spettatori.

  7. Il maresciallo Rocca 2, Rai Uno, 1998, Serie, 11.261 mila spettatori.

  8. Paolo Borsellino, Canale 5, 2004, miniserie, 10.834 mila spettatori.

  9. Jesus, Rai Uno, 1999, miniserie, 10.806 mila spettatori.

  10. Madre Teresa, Rai Uno, 2003, miniserie, 10.600 mila spettatori.

  11. Commesse, Rai Uno, 1999, serie, 10.085 mila spettatori.

  12. Un posto tranquillo, Rai Uno, 2003, miniserie, 10.054 mila spettatori.

  13. Il Papa buono, Canale 5, 2003, miniserie, 9.982 mila spettatori.

  14. Una storia qualunque, Rai Uno, 2000, miniserie, 9.897 mila spettatori.

  15. Maria Goretti, Rai Uno, 2003, film TV, 9.896 mila spettatori.

In questo elenco non compaiono poi le fiction dal 2006 al 2010, tra le quali ricordiamo sicuramente Papa Luciani. Il sorriso di Dio (2006) con una media delle due puntate di 9.600.000 spettatori46, Chiara e Francesco (2007) con una media delle due puntate di 7.268.000 spettatori, oppure i risultati della serie Don Matteo 7 (2009) e Don Matteo 8 (2011), con una media di 6.634.000 (Don Matteo 8), Sant’Agostino (2010) con una media di 6.968.000 spettatori o Preferisco il Paradiso (2010) su san Filippo Neri, che ha ottenuto un ascolto di 6.755.000 spettatori, nonché la serie Che Dio ci aiuti (2011-2012) con una media di 6.335.000 spettatori e la miniserie Maria di Nazareth (2012) con una media di 7.766.000 spettatori.

Un dato indubbiamente interessante, che sottolinea in maniera evidente la portata del fenomeno religioso nella fiction. «Chi credeva che l’ondata di sceneggiati religiosi fosse finita con la versione Mediaset di Papa Giovanni farà bene a rassegnarsi: siamo appena all’inizio. Sul Messaggero […] Micaela Urbano ha provato a contare tutte le fiction su santi, beati e pontefici che sono già andate in onda, o stanno per andarci, o sono in preparazione. Ne veniva fuori un elenco più lungo del Rosario. Due film tv su Padre Pio, due su Papa Giovanni, uno su Sant’Antonio e uno su San Francesco, più quello su Santa Maria Goretti […]. E l’elenco finisce qui – senza contare i tv-movie con frati, monaci, preti e suore – […]. Neanche negli anni dei monocolori democristiani, neanche ai tempi dei kolossal sulla Bibbia, l’Italia aveva avuto una programmazione televisiva così affollata di eroi della Chiesa»47.

Un tratto significativo questo, che consente di comprendere anche come molti produttori, che non hanno una definita identità cattolica di partenza, a differenza della casa di produzione Lux Vide fondata da Ettore Bernabei insieme ai figli Matilde e Luca, che ha realizzato per la Rai il ciclo televisivo della Bibbia e la maggior parte delle miniserie e serie italiane religiose, siano entrati nella produzione di fiction a contenuto religioso. «L’idea che le fiction religiose siano facilmente apprezzate dal pubblico ha fatto sì che si lanciassero su questo genere negli ultimi anni anche produttori e in generale professionisti che hanno un’ispirazione religiosa che a essere generosi potremmo definire “generica” o “tiepida”»48.

Anzitutto, dunque, è Ettore Bernabei, Direttore generale della Rai negli anni dal 1960 al 1974, che nel 1992, «forte della sua idea di televisione di qualità, avvia l’attività della Lux Vide, casa di produzione alla quale dobbiamo le principali realizzazioni di questo genere televisivo offerte dalla Rai negli ultimi anni. Successivamente, a partire dalla consapevolezza diffusa del grande successo che le fiction religiose riscuotono nella platea dei telespettatori, anche il polo commerciale si è orientato verso questo genere di offerta, proponendo fiction in collaborazione con la stessa Lux Vide, o appoggiandosi ad altre case di produzione come Taodue, Rizzoli Audiovisivi e De Angelis. Assistiamo addirittura in alcuni casi a una duplice proposta del medesimo argomento, l’una trasmessa dalla Rai, l’altra da Mediaset, in una gara, ci si perdoni l’ironia, “all’ultimo santo”»49.

Diversi sono, quindi, i produttori, oltre alla Lux Vide, che hanno realizzato fiction religiose, come la Taodue di Piero Valsecchi e Camilla Nesbitt (che produce esclusivamente per Mediaset), con le opere, ad esempio, Francesco (Canale 5, 2002), Karol. Un uomo diventato Papa (Canale 5, 2005) e Karol. Un Papa rimasto uomo (Canale 5, 2006), oppure la De Angelis Group, con Il Papa Buono (Canale 5, 2003) e Don Gnocchi. L’angelo dei bambini (Canale 5, 2004).

Il gruppo commerciale Fininvest-Mediaset inizia, a dire il vero, una prima produzione del genere religioso già alla fine degli anni Ottanta, con Un bambino di nome Gesù diretta da Franco Rossi, come indicato nel precedente capitolo. Va ricordato, poi, l’impegno di Mediaset, in collaborazione con la Lux Vide, su alcune figure bibliche in linea con il Progetto Bibbia della Rai, Giuseppe di Nazareth, Maria Maddalena, Giuda e Tommaso. Si tratta di un ciclo composto da quattro film TV, quattro ritratti di figure bibliche non raccontati dall’imponente progetto Rai-Lux Vide.

Altro aspetto interessante riguarda la “competizione” tra Rai e Mediaset nella messa in onda di fiction religiose sullo stesso argomento, o meglio, sullo stesso santo, papa o prete. Caso eclatante è la realizzazione in contemporanea di due miniserie su padre Pio: per Mediaset Padre Pio (Canale 5, 2000) prodotta da Angelo Rizzoli, diretta da Carlo Carlei e interpretata da Sergio Castellitto, mentre per la Rai Padre Pio tra cielo e terra (Rai Uno, 2000) prodotta dalla Lux Vide, diretta da Giulio Base e interpretata da Michele Placido. In uno studio curato da Stefano Martelli sugli effetti, in termini di audience, del Giubileo del Duemila sui principali media, si riconosce il singolare successo delle due fiction su padre Pio, andate in onda a pochi mesi di distanza: «In particolare, del notissimo frate stigmatizzato e taumaturgo è stata prodotta una versione da “Raiuno”, trasmessa in due puntate il 17 e 19 aprile 2000, seguita da una versione prodotta da “Canale 5” e andata in onda il 12 e 13 novembre dello stesso anno, immediatamente a ridosso della conclusione dell’anno giubilare. In entrambi i casi la media dei telespettatori nelle due puntate della miniserie è stata elevatissima, ovverosia oltre 13 milioni di telespettatori per la versione di “Raiuno” […] e quasi 12 milioni per “Canale 5” […]: l’audience equivalente, per intenderci, a quella della serata finale del Festival della Canzone italiana di Sanremo, ovvero di una finale dei mondiali di calcio con la nazionale, o della puntata finale della Lotteria di Capodanno. Un primato, insomma, che nessun altra fiction è riuscita ad eguagliare in quell’anno. Risultati simili, sia pure leggermente inferiori, hanno raggiunto le fiction Jesus, San Paolo, Lourdes, Don Matteo»50.

Dopo la contesa sul santo di Pietrelcina, seguono le doppie miniserie su papa Giovanni XXIII, Papa Giovanni XXIII (Rai Uno, 2002) produzione Lux Vide, regia Giorgio Capitani e interpretato da Edward Asner, e Il Papa buono (Canale 5, 2003) produzione De Angelis Group, diretto da Ricky Tognazzi e interpretato da Bob Hoskins, così come su Giovanni Paolo II, con Giovanni Paolo II (Rai Uno, 2005) della Lux Vide, fiction diretta da John Kent Harrison e con Jon Voight, e con Karol. Un uomo divenuto Papa e Karol. Un Papa rimasto uomo (Canale 5, 2005-2006), due miniserie prodotte dalla Taodue, dirette da Giacomo Battiato e interpretate da Piotr Adamczyk.

Evidente, inoltre, è la tenuta del genere religioso nel panorama dei generi della fiction, ben oltre il roseo risultato ottenuto nei primi anni Duemila, in concomitanza con il Giubileo: «Al di là dell’accelerazione coincisa con l’anno del Giubileo […] il genere religioso già da alcuni anni è diventato uno dei punti fermi delle politiche produttive, soprattutto di quelle della Rai»51.

La Buonanno, infatti, ribadisce: «Le storie che attingono, in un modo o nell’altro, all’ispirazione religiosa dell’immaginario collettivo nazionale alimentano da anni un filone nutrito della produzione di fiction domestica; almeno fino a oggi e davvero con irrilevanti eccezioni, rappresentano un richiamo di sicura presa su vasti pubblici. In un mercato di beni culturali come quello televisivo, caratterizzato da una strutturale condizione di incertezza e dove, malgrado gli sforzi di previsione, molti programmi restano esposti a esiti aleatori, le fiction religiose hanno assicurato, in Italia, quanto di più prossimo si possa immaginare a una garanzia di successo»52.

In ultimo, aspetto decisamente interessante è il dato di vendita della fiction italiana all’estero, che sembra riguardare soprattutto la fiction (miniserie) religiosa. Le «fiction religiose […], oltre a raccogliere milioni di spettatori in Italia, finiscono per girare il mondo nel vero senso della parola»53. Tra le tante possiamo menzionare: Paolo VI. Il papa nella tempesta, Don Zeno. L’uomo di Nomadelfia, Chiara e Francesco e Bakhita, vendute in Europa dell’Est, nel Centro America, in Brasile e in tutti i Paesi dell’America Latina. Stesso “itinerario” per il Sant’Agostino interpretato da Alessandro Preziosi, venduto tra Europa ed Asia. San Pietro è stato venduto negli Stati Uniti, in America Latina, India, Thailandia, Taiwan, Grecia e Cipro, mentre Giuseppe Moscati. L’amore che guarisce è stato acquistato da Polonia, Russia, Albania, Romania, America Latina e Centro America.


La serie religiosa: Un prete tra noi, Casa famiglia, il detective spirituale Don Matteo e la suora investigatrice in Che Dio ci aiuti
Affrontando l’ambito della serie religiosa, ricordiamo anzitutto le caratteristiche della serie, la presenza di una struttura narrativa che si snoda in più episodi, generalmente dodici o tredici, segmenti narrativi autonomi e chiusi, con gli stessi personaggi e una progressiva evoluzione della trama. «Abbiamo una situazione fissa» – precisa Umberto Eco – «e un certo numero di personaggi principali altrettanto fissi, intorno ai quali ruotano dei personaggi secondari che mutano, proprio per dare l’impressione che la storia seguente sia diversa dalla storia precedente. […] Nella serie l’utente crede di godere della novità della storia mentre di fatto gode per il ricorrere di uno schema narrativo costante ed è soddisfatto dal ritrovare un personaggio noto, con i propri tic, le proprie frasi fatte, le proprie tecniche di soluzione dei problemi… La serie in tal senso risponde al bisogno infantile, ma non per questo morboso, di riudire sempre la stessa storia, di trovarsi consolati dal ritorno dell’identico, superficialmente mascherato. La serie consola l’utente perché premia le sue capacità revisionali: l’utente è felice perché si scopre capace di indovinare ciò che accadrà, e perché gusta il ritorno dell’atteso»54.

La serie, come modello, nella sua origine internazionale, soprattutto americana55, trova spesso una caratterizzazione narrativa nel Paese in cui viene realizzata. In Italia, infatti, si è sviluppata una serialità che si discosta abbastanza dalle regole generali proprie della serie, tanto da essere definita “serie all’italiana”. Quest’ultima è caratterizzata da un numero ridotto di episodi, che varia tra 6 e 8, della durata di 90 minuti, incentrata su un personaggio fisso. «Si tratta di un formato atipico per l’industria televisiva internazionale, costituito da 6-8 appuntamenti per stagione (poco più di una miniserie e meno di una serie americana), ciascuno di durata compresa tra i 90’ e i 100’ […]. Non si può parlare in questo caso di episodi o puntate: la serie all’italiana si mostra ibrida anche nella struttura narrativa, a metà strada tra l’una e l’altra alternativa»56.

All’interno della serie all’italiana, possiamo rilevare chiaramente un ruolo importante costituito dalla “divisa” che veste la serie. La maggior parte, infatti, della serialità italiana ruota attorno a una “divisa” che conferisce l’ambiente e lo scenario della serie, che può essere, ad esempio, quella delle Forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza), così come il camice da medico, la toga dell’avvocato oppure la veste talare del sacerdote. «È avvolto nella leggenda il successo di Don Matteo, il seriale […] che al venerdì, su Raiuno, veleggia già intorno ai 9 milioni, come Una donna por amico, Un medico in famiglia, il mitico Rocca. Una conferma che le divise, dal camice all’uniforme fino alla tonaca (da notare che in tv i preti, contrariamente a quanto accade nella realtà, non portano mai il clergyman, ma sono affezionati al rassicurante o tradizionale abito talare) sono un valore aggiunto spesso determinante per il successo di una fiction»57.

Nel nostro caso, dunque, facciamo riferimento ad alcune serie di successo a carattere religioso, come Un prete fra noi, da cui è nato in seguito la serie Casa famiglia, sempre attorno allo stesso protagonista, il prete don Marco, e soprattutto a Don Matteo. Negli anni Novanta e Duemila, possiamo certamente affermare che tra i preti protagonisti delle serie religiose, a imporsi nell’immaginario collettivo sono proprio il don Marco di Massimo Dapporto e don Matteo interpretato da Terence Hill58.

La prima stagione di Un prete tra noi (Rai Due, 1997) viene diretta da Giorgio Capitani e vede come interpreti principali Massimo Dapporto, Giovanna Ralli, Carlo Croccolo e Julia Brendler. Il personaggio di don Marco è quello di un prete dal volto sociale, impegnato con gli “ultimi” della società, con i detenuti del carcere59. Don Marco è il cappellano del carcere Rebibbia di Roma, nel quale si rapporta con i detenuti, cui inevitabilmente si lega e cerca di sostenere, e nel medesimo tempo compie grazie a loro un percorso di riflessione e conferma della sua vocazione. «Dapprima riottoso ad accettare il nuovo e gravoso incarico, poi sempre più coinvolto nelle vicissitudini dei detenuti. Don Marco s’impegna quotidianamente improntando la sua condotta ad un ideale concreto di umanità e di giustizia, che non di rado lo mette in conflitto con il regolamento carcerario, e volte anche con il codice penale e con l’abito che indossa»60.

Don Marco è un prete dal volto sociale, che segue le vite dei carcerati, con i loro difficili problemi anche familiari, aggiungendo inoltre una forte riflessione personale, sulla difficoltà di affrontare tali vicissitudini, sulle continue sfide e conferme della fede, nonché i suoi rapporti familiari. «Dapporto prete parte da Pasolini. Si può cominciare dall’inizio (le immagini in bianco e nero di Valle Giulia, lo scontro fra studenti e polizia cantato da Pasolini) ma anche dalla fine del primo episodio (un vescovo paga la pizza ai chierichetti che puliscono una chiesa): i temi sono lì, in bella evidenza, facili da raccogliere: il sociale, la Chiesa che riscopre i bisogni dimenticati, l’emarginazione e l’esclusione sociale. E si capisce subito che la nuova serie tv interpretata da Massimo Dapporto, Un prete tra noi […] avrà grande impatto […] le storie di Don Marco, prete romano che dalle ovattate stanze curiali scopre temi urticanti: il carcere, la prostituzione, la droga. Sceneggiato da Massimo e Simone De Rita e da Giorgio Stegani, è un film fortemente ideologico, espressione di un cattolicesimo sociale, che pone al centro del proprio agire la solidarietà, intesa come atteggiamento morale. È una fiction che testimonia l’insofferenza verso i vuoti lasciati dalle istituzioni in settori decisivi del nostro vivere»61.

Dopo la prima stagione di successo, viene fatta una nuova serie nel 1999, Un prete tra noi 2, diretta da Lodovico Gasparini, cui segue poi una rivisitazione e ridefinizione della serie, divenendo Casa famiglia (Rai Uno, 2001) con la regia di Riccardo Donna. In questa nuova serie, don Marco, lascia il carcere per dedicarsi a problemi legati alla famiglia e all’infanzia: «Casa famiglia rielabora il concept di una precedente serie di successo di Raidue, Un prete tra noi, confermandone il protagonista (e il suo interprete), ma proponendo una nuova ambientazione e una nuova comunità di personaggi. Con il passaggio su Raiuno, la serie abbandona lo scenario del carcere per aprirsi a tematiche più strettamente legate all’infanzia maltrattata e alla crisi familiare. Il protagonista, Don Marco, resta comunque “un prete tra noi”, una figura paterna autorevole, capace di ascoltare e capire. […] Il retroterra familiare e personale del sacerdote, ampiamente rappresentato nelle scorse edizioni, scompare in Casa famiglia, che mette al centro della scena il personaggio nel suo ruolo di educatore e di guida»62.

Qualche limite, però, viene riconosciuto alla figura di don Marco, che rischia di divenire un personaggio poco credibile nel suo ruolo di difensore degli “ultimi”: «Eh, preti così non se ne trovano più. Intendo preti come don Marco (Massimo Dapporto), un vero Rambo dell’apostolato sociale: tutti i problemi che incontra, dallo sfruttamento minorile alla prostituzione, dal razzismo allo strozzinaggio, cadono come birilli»63.

In Casa famiglia, la figura di don Marco sembra perdere, inoltre, originalità, quella singolarità che aveva contribuito al suo successo: «Tra i drammi, le contraddizioni e i conflitti interiori che coinvolgono i personaggi secondari della serie, spicca la figura autorevole, ma eccessivamente monolitica e poco sfaccettata, del protagonista. A volte rigido nelle sue convinzioni e poco propenso a mettersi in discussione, il personaggio incarna il punto di vista della narrazione, ineludibilmente orientata alle ricomposizioni e alla affermazione delle norme valoriali […] Il protagonista ritroverà solo sul finire della serie la personalità contrastata e in qualche modo trasgressiva che nelle passate edizioni ne aveva fatto un personaggio convincente, traducendosi in un dilemma di coscienza, piuttosto repentino e poco tematizzato, che lo spingerà ad annunciare la sua partenza dalla Casa famiglia per concentrarsi su se stesso»64.

Dopo la prima edizione della serie, viene messa in onda su Rai Uno nel 2003 Casa famiglia 2, con dodici nuovi episodi diretti da Riccardo Donna e Tiziana Aristarco. «Casa famiglia 2 tenta di riproporre i temi solidaristici e il tono sospeso fra realismo e melodramma delle serie precedenti. […] Il problema principale è che il concept di Casa famiglia sin dagli esordi è apparso debole. L’ambiente della casa famiglia è assolutamente marginale: non è arena di significativi conflitti ricorrenti né offre validi spunti per casi episodici. La forza della serie era affidata innanzitutto all’incisività del personaggio e alla maschera paterna e volitiva di Dapporto che, in questa seconda edizione, sono apparsi appannati»65.

Le avventure di don Marco si interrompono sulla soglia degli anni Duemila, lasciando la scena definitivamente al prete divenuto il più popolare del piccolo schermo, don Matteo, interpretato dal 2000 da Terence Hill. Un caso sorprendente, quello della serie Don Matteo66, che vanta nel 2011 ben 8 stagioni, con elevatissimi ascolti, anche dinanzi a competitor di palinsesto molto popolari, come Grande Fratello (Canale 5), la fiction RIS (Canale 5) o il quiz Chi vuol esser milionario/miliardario? (Canale 5)67. «Don Matteo ce l’ha fatta» – puntualizza Grasso – «ha messo in galera il Grande Fratello. Non l’ha ancora convertito ma, visti i buoni rapporti che intrattiene con l’Arma, c’è da scommettere che il sacerdote-detective farà di tutto per portare sulla buona strada anche i ragazzacci della Casa circondariale. Volendo metaforizzare lo scontro, si potrebbe dire che il Bene ha infine prevalso sul Male: il personaggio interpretato da Terence Hill, una sorta di Padre Brown all’italiana, ha da tempo intrapreso una lotta contro l’inganno e le blandizie del peccato (che spesso s’annida in tv) ma non contro il colpevole verso il quale manifesta misericordia. Ha vinto dunque sul reality, sul genere che rappresenta la sentina di tutti i vizi televisivi, e non sui singoli protagonisti rinchiusi a Cinecittà in cerca di una gloria effimera»68.

Anche Antonio Dipollina sottolinea, non privo di ironia, il grande riscontro di pubblico da parte della fiction all’inizio della settima serie nel 2009: «È la serie tv che sublima il concetto di fiction canonica. All’ennesima edizione, mentre si notano grandi movimenti sulla tv trasgressiva, si scopre che Don Matteo può inanellare un altro risultato sbalorditivo alla voce ascolti (sui sette milioni e quasi il 30 per cento per il debutto giovedì su Raiuno). Se sono fenomeni programmi di cui parlano tutti e che fanno un terzo del pubblico, allora al Terence Hill in tonaca bisognerebbe dedicare edizioni speciali dei giornali. Soprattutto quando si coglie, nel prete detective una evoluzione marcata: le storie vanno avanti da sole, il cast pure, non esiste uno stadio più rasoterra dell’intreccio e del linguaggio, ma lui, Terence-Matteo, chiude ogni caso con un sermoncino alla piccola folla che immancabilmente si raduna. La telecamera va in primo piano sugli occhietti cerulei e sì, il punto di riferimento sale altissimo, diventa abbastanza divino»69.

La casa di produzione Lux Vide della famiglia Bernabei conferma il successo della serie, delle sue otto stagioni, sottolineando i risultati maturati nel tempo: «Da sempre Don Matteo ha conquistato il cuore dei telespettatori. Nella prima serie – dal 7 gennaio al 20 febbraio 2000 – Don Matteo ha riscosso in 8 puntate (2 episodi ciascuna) una media di 8.286.000 di spettatori con il 30,84% di share»70. La prima serie ha segnato, dunque, un buon esordio; il pubblico si è mantenuto e rinnovato nel tempo, come testimoniano i dati di ascolto in chiusura dell’ottava serie nel 2011.

Ad essere sorprendente è, inoltre, la risposta di pubblico sempre positiva, anche dinanzi alle repliche della serie, che la Rai utilizza spesso, in maniera poco misurata, come salvagente nelle serate difficili, dalla scarna programmazione (al posto del varietà del sabato sera oppure come traino per il TG1 delle 13.30 nel periodo estivo).

La fiction nasce da un’idea di Enrico Oldoini, autore già di Dio vede e provvede con Angela Finocchiaro, prodotta dalla Lux Vide per Rai Uno. Protagonista è don Matteo Bondini, ex missionario che diventa parroco di Gubbio, il quale si trova a risolvere delitti e misteri nella cittadina umbra, riuscendo continuamente a sorprendere l’arma dei Carabinieri, che giunge allo svelamento dei colpevoli sempre un passo dopo il prete, al detective al servizio di Dio71.

La serie, passata da 8 a 12 puntate dalla quarta stagione, dedica lo spazio centrale di ciascun episodio alle indagini di un delitto o alla soluzione di un mistero, sia da parte dell’arma dei Carabinieri sia dallo stesso don Matteo. Un impianto investigativo, dai toni comunque della commedia, resi possibili sia dai personaggi che animano la canonica della Chiesa (la perpetua Natalina/Natalie Guetta e il sagrestano Pippo/Francesco Scali), oltre che dai Carabinieri della cittadina.

Don Matteo è un prete dinamico e sportivo, con abito talare portato in maniera poco “istituzionale”, sbottonato, come un mantello al vento in sella alla sua bicicletta, indossando un basco nero72. Tutto ciò per delineare tratti della personalità del prete, che non vuole incarnare l’immagine rigida del sacerdote (stereotipo spesso utilizzati nelle narrazioni cinematografiche e televisive), per conferire al personaggio freschezza e vivacità intellettuale. «Niente motocicletta, quindi, come previsto dal copione, per Terence Hill, ma una bici scassata con cui andar in giro per i vicoli di Gubbio. Niente elegante clergyman ma una tonaca qualsiasi da tirar su all’occorrenza. Niente doppiaggio per cancellare la cadenza americana acquistata in trent’anni di vita negli Stati Uniti […] ma il ricorso a un banale espediente narrativo per cui Don Matteo torna in Italia, nel suo paese di origine, dopo una vita spesa a fare il missionario all’estero»73.

Il personaggio di don Matteo risente delle influenze dello sceneggiato I racconti di Padre Brown (1970) di Vittorio Cottafavi e tratti dai racconti di Gilbert Keith Chesterton, ma anche dai modelli seriali investigativi, con aspetti comunque della commedia, come la celebre serie La signora in giallo (Murder, She Wrote), che ha per protagonista la scrittrice di gialli Jessica Fletcher (Angela Lansbury) che risolve i delitti sempre prima della polizia. «Il personaggio del prete investigatore interpretato da Terence Hill [è un’] originale variazione del classico letterario Padre Brown […] Don Matteo è composta da episodi autoconclusivi costruiti secondo un modello-base che costituisce una peculiare declinazione del genere whodunit. C’è un omicidio (o un delitto di altra natura, sovente con implicazioni sociali) e, di solito, un sospettato ufficiale, che però è innocente. Sarà don Matteo a smascherare il vero colpevole, grazie al suo acume, a una fine abilità di “scrutatore di anime”»74.

L’impostazione della serie, incentrata quindi sulla linea investigativa, rischia di marginalizzare la dimensione sociale a corollario, a una delle divise che popolano il mondo della fiction italiana: «Le investigazioni di don Matteo, che nell’esperienza reale di un prete costituiscono al massimo una fortuita occorrenza, nella omonima serie tv divengono l’elemento determinante della sua figura, quello intorno a cui ruota lo stesso dispositivo funzionale: l’eccezionalità fattasi quotidiano fagocita l’originaria realtà quotidiana del presbiterio. Il prete subisce un processo di ibridazione: la veste talare diviene divisa. La dimensione sacerdotale è ridotta a marca nominale-identificativa progressivamente svuotata di senso allorché l’azione di don Matteo assume natura investigativa tout court. Il pastore di anime e l’investigatore condividono il medesimo dilettantismo, ma quello che nel secondo caso è un “pregio”, nel primo è pesante elemento di criticità»75.

Evidenti gli squilibri della serie a favore soprattutto della linea investigativa, cui si aggiunge anche la componente sentimentale, la storia d’amore, prima, tra il Capitano Anceschi (Flavio Insinna) e il sindaco di Gubbio (Milena Miconi), poi tra il Capitano Tommasi (Simone Montedoro) e Patrizia (Pamela Saino), figlia del Maresciallo Cecchini (Nino Frassica), tutto al fine di rendere la serie accattivante.

Don Matteo riesce a richiamare certamente un pubblico numeroso, sottraendosi da un lato al solito stereotipo del prete “bacchettone”, a favore di una maggiore naturalezza e disinvoltura. Un prete, dunque, vicino alla gente, familiare, ma esposto anche al rischio di smarrire lo specifico del suo ruolo, rimanendo intrappolato tra intuizioni investigative e acrobazie in bicicletta.

Al termine della serie Don Matteo 8, proprio nell’ultimo episodio, si assiste poi al passaggio di consegne tra “detective spirituali”: don Matteo si imbatte accidentalmente in suor Angela (Elena Sofia Ricci), protagonista della nuova serie della Lux Vide per Rai Uno, Che Dio ci aiuti (2011-2012). Suor Angela è chiamata a raccogliere l’eredità mediatica, la vasta platea di Don Matteo, sia a livello di programmazione televisiva (in onda nello stesso giorno, il giovedì, e messa in palinsesto dalla Rai proprio a una settimana di distanza dall’ultimo episodio di Don Matteo 8), sia perché delineata, scritta secondo le stesse modalità.

Al centro di Che Dio ci aiuti, infatti, troviamo la figura di suora Angela, suora energica, trascinante, ritardataria cronica, ma sempre spedita alla guida del suo furgoncino blu, chiamata a gestire un convento a Modena, trasformato in convitto universitario per ragazze. Suor Angela, però, finisce immancabilmente per essere coinvolta in indagini delle forze dell’ordine, in questo caso della Polizia, così come il parroco di Gubbio.

Tra le due serie, Don Matteo e Che Dio ci aiuti, gli elementi simili sono pertanto molti, evidenti, anche se entrambe hanno un proprio specifico narrativo, una propria caratterizzazione. Di certo simili negli ascolti, ascolti assolutamente straordinari. La media, infatti, di Don Matteo 8 (2011) è di 6.634.000 spettatori e del 26,65% di share, mentre di Che Dio ci aiuti (2011-2012) è di 6.335.000 di spettatori e del 23,46% di share. «Evidentemente li ha aiutati per davvero. Chi? Terence Hill nei panni di “Don Matteo” e Elena Sofia Ricci in quelli di suor Angela in “Che Dio ci aiuti”. Appunto. Entrambe le fiction di Rai1 (prodotte da Lux Vide e Rai Fiction) sono un successo. Il primo consolidato da anni, tanto che il prete investigatore è “assunto” addirittura all’ottava stagione, mentre la nuova eroina col velo è riuscita a compiere il miracolo in una stagione avida di ascolti, moltiplicando telespettatori e share. Pur sempre prete, ma di tutt’altro genere, anche Claudio Gioè che fa sorridere Canale 5 con i risultati di “Il tredicesimo apostolo”. Ormai è una tendenza: le fiction con protagonisti in abito talare piacciono, eccome. Al netto dell’infinità di agiografie di santi e beati, soprattutto Terence Hill e Elena Sofia Ricci hanno dato vita a una nuova figura del religioso in tv. Aperti, umani, comprensivi e con la predisposizione per l’investigazione. E c’è il sospetto che se i personaggi fossero gli stessi ma laici avrebbero meno fortuna. Pensiero condiviso da Elena Sofia Ricci che svela di aver pianto il giorno dopo la messa in onda del primo episodio, scoprendo che l’avevano seguita 7.332.000 spettatori: “Non ci si aspetta mai un successo così clamoroso. È stato tutto incredibile”»76.


La veste comica della Chiesa: dalla serie Dio vede e provvede, alle sit-com Don Fumino e Don Luca

Le fiction religiose vengono, inoltre, trattate con i toni della commedia, nel formato sia della serie sia, soprattutto, della sit-com. Il risultato è meno singolare rispetto all’andamento della miniserie religiosa, ma anche rispetto a serie come Un prete tra noi o Don Matteo. Possiamo ricordare la serie comica Dio vede e provvede, interpretata da Angela Finocchiaro, oppure la sit-com di inizio anni Novanta Don Fumino, con Renzo Montagnani, e la recente sit-com Don Luca (Don Luca c’è), interpretata da Luca Laurenti. Esempi meno significativi, ma che certamente testimoniano il tentativo di percorrere le varie opportunità narrative del religioso.

La serie Dio vede e provvede è realizzata dalla Lux Vide per Mediaset77, con Angela Finocchiaro nei panni di una prostituta che è costretta a vestire l’abito da suora, rifugiandosi in un convento nella campagna romana. Ne nascono chiaramente numerose situazioni comiche. La serie, ideata e diretta da Enrico Oldoini, evoca il popolare film americano Sister Act. Una svitata in abiti da suora (Sister Act, 1992) di Emile Ardolino e il sequel Siste Act 2. Più svitata che mai (Sister Act 2: Back in the Habit, 1993) di Billy Duke. «Il titolo certamente aiuta, ma Dio vede e provvede ha tutta l’aria di un piccolo miracolo. Un prodigio contenuto, un fenomeno minimo, beninteso, non certo di quelli che trasformano il corso del tempo. Sufficiente però a dimostrare che le cose possono ancora accadere. Magari anche soltanto per una felice congiuntura. Di che miracolo si tratta? ‘Liquefazione’ della fiction: dopo anni di sceneggiati pietrificati, di trombosi creative, di personaggi ibernati, improvvisamente martedì sera un po’ di sangue narrativo è tornato a scorrere nei canali. Eppure il pretesto della storia trasmessa da Canale 5 non è certamente un’invenzione (la trovata della finta suora dal passato peccaminoso e dal buon cuore che mette a soqquadro il monastero è copiata pari pari da Sister Act) e non lo è nemmeno l’atmosfera fiabesca, che ammicca a modelli ben prestigiosi (come l’angelo custode riciclato dai capolavori di Frank Capra). Per non parlare del regista, Enrico Oldoini: che ci si poteva aspettare dall’autore delle Vacanze di Natale? E invece stavolta va proprio detto: Dio vede e provvede»78.

Il pregio della serie, oltre che per l’interpretazione della Finocchiaro e delle attrici al suo fianco, risiede nell’aver probabilmente affrontato il genere, la trama, che rimanda al successo del film americano, che ha permesso di fidelizzare il pubblico. «Lo sceneggiato italiano è vagamente ispirato al film con Whoopi Goldberg, ma di spunti e citazioni ce ne sono tanti altri: i Blues Brothers “in missione per conto di Dio” perché devono pagare le tasse del convento che li vide bimbi, e che rischia la chiusura; Don Camillo e Peppone, con Don Camillo che parlava alla statua di Gesù, mentre Angela Finocchiaro-Suor Amelia parla con il quadro della Madonna; e poi c'è l’“angelo di seconda classe” come in Frank Capra, soltanto che qui si chiama Carlo Croccolo e si esprime in napoletano»79.

Certamente, esaurita la novità nel contesto italiano, la fiction si è chiusa al termine della seconda stagione. Riscontrabili anche delle debolezze, soprattutto relative alla sceneggiatura: «La serie è una commedia degli equivoci garbata e intelligente, appartiene cioè al genere della screwball commedy. Purtroppo, come sempre nelle serie italiane, l’aspetto più debole è quello della sceneggiatura, quasi mai all’altezza né dell’interpretazione della Finocchiaro, della Monti e degli altri comprimari, né della regia, che cita con riguardo film come La vita è meravigliosa e Forrest Gump […] La seconda serie non è all’altezza della prima: il ritmo è più lento e l’atmosfera meno stralunata. L’impressione che se ne trae è di una commedia degli equivoci troppo prevedibili e scontati»80.

La sit-com Don Fumino diretta da Nanni Fabbri e Romolo Siena risale ai primi anni Novanta, al 1993, e viene interpretata da Renzo Montagnani. L’idea alla base della fiction deriva dal successo della figura del parroco toscano, caratterizzazione comica che Montagnani aveva proposto nel varietà televisivo Ci pensiamo lunedì (1983-1984) di Romolo Siena (regista anche della fiction) e con Alida Chelli. Il protagonista della fiction, don Libero, è soprannominato don Fumino per il suo intercalare, per il suo temperamento brusco e simpaticamente irascibile. «Ambientata in un piccolo paese toscano, la sitcom ruota intorno al personaggio di don Libero (Montagnani). Parroco dai modi rudi e sbrigativi, a causa del temperamento collerico si è meritato l’appellativo di “don Fumino”, ma grazie al senso dell’umorismo da rivista e alla saggezza salomonica di cui è dotato riesce a risolvere le piccole diatribe tra i parrocchiani. La serie in ventisei episodi […] ripropone con toni farseschi, gli stereotipi e i personaggi canonici della commedia all’italiana»81.

All’inizio degli anni Duemila, il presentatore Luca Laurenti interpreta la sit-com televisiva Don Luca (2001; 2002) diretta da Marco Maccaferri, progetto di fiction pomeridiana per Canale 5 ideato da Paolo Basseti della Endemol Italia. La serie viene prodotta per due stagioni per Canale 5, per poi essere ripensata negli anni successivi, visti i buoni ascolti ottenuti nella fascia pomeridiana, la popolarità del conduttore televisivo e il successo del genere religioso, per una produzione in prima serata per Italia 1, Don Luca c’è (2008) per la regia di Duccio Forzano.

La sit-com è divenuta inoltre un format internazionale con il titolo Meet your local priest. «Don Luca si inscrive nella tradizione Mediaset delle sitcom costruite su una celebrità del piccolo schermo. Interprete e protagonista della serie è Luca Laurenti, che mette in scena un giovane prete ingenuo e pasticcione, quasi candido nella sua semplicità e nel suo ottimismo. Don Luca è un parroco sui generis, ama il rock e il calcio, suona l’organo e gira su una vecchia moto, tende sempre a vedere in ogni situazione il lato divertente. Ma a divertire di più è proprio la sua mimica e la sua aria sbadata, soprattutto quando contrapposta alla metodicità e alla compunta serietà del personaggio di Don Lorenzo, prete vecchio stampo interpretato da un simpatico Paolo Ferrari»82. La struttura narrativa, nonostante la rivisitazione della serie da Don Luca a Don Luca c’è, rimane incentrata sul ruolo comico che caratterizza l’attore-presentatore Laurenti, che propone il personaggio di don Luca tra gag e situazioni bizzarre, conferendo un’immagine del sacerdote in maniera assolutamente caricaturale.

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