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Juan de dios vial correa elio sgreccia libreria editrice vaticana


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appendice, ove tuttavia si constata che molti Paesi non hanno inviato i dati.

Una tendenza che si registra nei Paesi sviluppati riguarda la crescita dell’intervento del settore privato rispetto all’intervento pubblico per quanto riguarda sempre la ricerca in ambito biotecnologico, compreso quello medico. Lo stesso rapporto CENSIS segnala che dal 1983 al 1985 la quota dei finanziamenti industriali si raddoppia (dal 2.9 al 5.7) mentre la quota pubblica scende dal 94% al 85.6%. Attualmente negli USA l’industria privata fornisce il 60% della partecipazione nella ricerca biomedica [19].

Un intervento rilevante del finanziamento pubblico, come è stato accennato, è prevedibilmente garanzia di maggiore equità nella distribuzione dei finanziamenti, specialmente in quei settori di ricerca per i quali l’industria privata non manifesta interessi economici, settori che comunque sono bisognosi di sostegno sociale (malattie rare e farmaci orfani) [20]. Spetta allo Stato il compito di stabilire le priorità nella ricerca in base alle esigenze sociali.

L’intervento pubblico ha anche grande peso nella organizzazione delle strutture di ricerca, nel finanziamento della Università e dei Centri di Ricerca nonché nella preparazione dei ricercatori. Nei Paesi in cui non vi è una organizzazione di ricerca valida si determina la c.d. “fuga di cervelli”, il che segna un depauperamento di quei Paesi rispetto al fattore umano più rilevante.

Sarebbe importante, anche per le considerazioni di tipo etico, avere dati significativi sulla ricerca nei Paesi in via di sviluppo, per cui è programmata un’apposita Conferenza a Bruxelles. Poco ho potuto raccogliere anche dai contatti diretti con alcuni nostri membri dell’Accademia. Un esempio: il finanziamento statale in Costa d’Avorio per la ricerca è rivolto prevalentemente all’agricoltura, per circa venti laboratori il budget per la ricerca è saltuario, iregolare e quando è esistito si è aggirato intorno ai 7 milioni (moneta locale) per anno. Tutta la ricefca, di vario tipo, ottiene dallo 0,1 allo 0.3 sul badget generale. Nel quadro dell’ONU, riportato in appendice, alcuni Paesi africani figurano con un altyo indice di investimento, ma non ne conosciamo la provenienza (pubblica o privata, estera o nazionale).

Gli aspetti eticamente rilevanti per quanto concerne la promozione della ricerca sono molteplici. L’autorità pubblica, oltre al dovere di promuovere la ricerca, ha anche quello di organizzare il raccordo fra i vari attori dell’impresa investigativa: i ricercatori, le Università e i Centri qualificati di ricerca e i soggetti su cui si può svolgere la ricerca.

Non tutti questi soggetti operano conpari possibilità di conoscenze e d’intervento ed è compito dello Stato assicurare la difesa del soggetto debole che è il cittadino, il quale è soggetto cooperante con la ricerca, per garantirlo dal rischio e per assicurargli la partecipazione cosciente mediante il consenso informato [21]

Di solito si ritiene che gli interessi dei ricercatori coincidano con quelli della comunità e dello Stato: in realtà questo non avviene sempre ed è compito della stessa autorità pubblica vigilare, non soltanto per reprimere il dolo o gli abusi nella ricerca [22], ma anche per impedire l’instaurarsi di conflitti d’interessi privati al di fuori della difesa del giusto salario e del riconoscimento del merito intellettuale. Sono state evidenziate le situazioni di conflitto d’interesse ad es. là dove i ricercatori possono avere quote azionarie nelle industrie che commissionano la ricerca stessa [23]. C’è chi segnala questo conflitto chiedendone la repressione con urgenza per evitare che i pochi fondi destinati alle ricerche vengano indirizzati più al profitto dei ricercatori che al bene delle popolazioni [24].

Esiste poi l’immenso problema etico, di cui parleremo nell’ultima parte della relazione, della grande differenza di possibilità della ricerca - quanto ai mezzi, alle strutture e alle persone – tra i Paesi sviluppati e quelli invia di sviluppo: è uno dei più gravi problemi politici ed etici.

Il compito di assicurare la correttezza dei ricercatori e quello di armonizzazione dei vari attori nell’intento di conseguire il bene comune sono compiti di alto significato sociale ed etico, ma non rendono il potere pubblico a sua volta immune da comportamenti etici non corretti. Tali sono le autorizzazioni date dalla autorità degli Stati per finanziare ricerche sperimentali che mettono in questione la vita dell’essere umano ad es. nei programmi concernenti la procreazione artificiale, le sperimentazioni sugli embrioni, quelle relative alla clonazionene e alla “pillola del giorno dopo”, come è avvenuto nel Regno Unito da parte dell’Authority preposta a questi compiti e come sta avvenendo in altri Stati.

Si deve denunciare in questa ottica la complicità anche di molti Stati nel finanziamento dei programmi di Agenzie internazionali (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, OMS etc.) che hanno sviluppato e sviluppano tuttora programmi di ricerca che comportano la pianificazione famigliare artificiale, la sterilizzazione, l’aborto chimico. Sappiamo come la ricerca mondiale a partire dal ’68 ha dato appoggio, finanziamento e sudditanza ad una vera e propria “congiura” internazionale contro la vita, mettendo a punto sostanze farmacologiche e tecniche appropriate per tale fine politico. I lavori del Prof. Schooyans hanno potuto documentare queste complicità. L’eco scaturita dalle Conferenze promosse dalle Nazioni Unite al Cairo (1994)ne è sufficiente riprova [25].

Anche la prassi dell’autorità politica in alcuni Stati consistente nel negare il finanziamento pubblico per certe ricerche ritenute illecite, ma nel lasciare libere le istituzioni private di partecipare a tali sperimentazioni, è da ritenere un’ambiguità che non si può giustificare con il principio della libertà di ricerca.

Questo problema è vivo attualmente negli USA a proposito dell’impiego delle cellule staminali di origine embrionale [26] e si sta ponendo anche in ordine al finanziamento dei programmi della ricerca all’interno dei programmi dell’Unione Europea.

 

 LA POLITICA DELLA RICERCA INTESA COME REGOLAMENTAZIONE: CODICI ETICI E PERCORSI ORIENTATIVI



 

Come abbiamo ricordato all’inizio d questa relazione dando la definizione di “Politica della ricerca”, rientra in questo ambito e sotto questa denominazione anche il compito proprio delle istituzioni di delineare la regolamentazione dal punto di vista etico della ricerca biomedica.

La politica regolativa della ricerca sull’uomo – e anche sull’animale – ha attinto a diverse sorgenti e da fonti convergenti: quella degli USA si concretizzò nelBelmont Report, quella europeaprese il via dal Codice di Norimberga e quella internazionale si espresse nel Codice di Helsinki emanato dall’Associazione Medica Mondiale e in seguito si è espressa nelle Convenzioni ispirate ai Diritti dell’uomo come la Convenzione Europea sui Diritti dell’uomo e la Biomedicina del 1996 e con la Dichiarazione dell’UNESCO sul Genoma umano e i Diritti dell’Uomo (1997).

Altre relazioni toccheranno il tema delle normative, ma mi sembra utile accennare alle principali tappe di questa politica regolamentativa anche per rilevarne i principii etici ispiratori ed anche quelle che si sembrano, tuttora, le insuficienze e le contraddizioni dei codici e delle legislazioni vigenti.

A imporre la regolamentazione della ricerca in diverse parti del mondo primariamente sono state le notizie relative alle ricerche condotte durante la 2ª guerra mondiale dai Nazisti nei campi di concentramento su Ebrei, Russi, prigionieri politici, omosessuali etc., per una vasta gamma di indagini abusive: tecniche di sterilizzazione, metodi di sterminio di massa, esperimenti di ipotermia condotte a Dacau (il 25% di soggeti morirono) [27]. Ma non sono state soltanto le pratiche sperimentali naziste a sollecitare la necessità delle norme etiche. Il più noto esperimento illecito, condotto negli USA, è stato il The Tuokegee syphilis experiment su un progetto preparato dal Public Health Service: furono sottoposti a sperimentazione cittadini USA di colore, e di essi il 20% morirono a seguito di trattamenti invasivi continuati; anche quando la penicillina era ormai disponibile la sperimentazione continuò [28].

Un ufficio apposito, l’Office for Research Integrity (ORI) in un rapporto del 1993 in Canada rilevò che un chirurgo, in una ricerca sul cancro della mammella, falsificò i dati di 99 donne sulle 1511 sottoposte a sperimentazione; tale falsificazione rimase nascosta e il ricercatore, il dott. Roger Poisson, aveva utilizzato un milione di dollari [29]. Si potrebbero aggiungere altri esempi di sperimentazioni condotte negli Stati Uniti su anziani e su bambini senza consenso e con conseguenze di danni infettivi.

Nel 1947 è stato pubblicato il Codice di Norimberga con i suoi 10 principi tra i quali il divieto di condurre esperimenti senza il consenso del soggetto. Lo stesso principio del consenso sugli interventi ed i trattamenti fisici sull’individuo è compreso anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il più famoso ed ancor attuale Codice deontologico è la Dichiarazione di Helsinki del 1964 rivisto più volte in relazione alle questioni nuove che si ponevano: in questo Codice, oltre alla richiesta del consenso, emerge il principio di evitare il danno al paziente. Il documento è emanatodall’Associazione Medica Mondiale e tuttora viene preso come base per i trials clinici. Altro importante documento internazionale che riguarda la sperimentazione è l’International Ethical Guidelines for Biomedical Research involving Human Subjects pubblicato dal Consiglio delle Organizzazioni Internazionali delle Scienze Mediche (CIOMS) del 1993. La stessa organizzazione aveva pubblicato sulle sperimentazioni in ambito epidemiologico il documento intitolato International Guidelinesfor Ethical Rewiev of Epidemiological Studies (1999).

In ambito regionale europeo bisogna ricordare le Good Clinical Practices [30] che sono state recepite dagli Stati membri dell’Unione Europea. Norme che riguardano la sperimentazione sono contenute, come abbiamo accennato, nellaConvenzione Europea dei diritti dell’uomo e la biomedicina[31], e per quanto riguarda la sperimentazione in ambito genetico si deve tener presente la Dichiarazione Universale sul Genoma Umano dell’UNESCO [32].

Sul piano nazionale si può dire che molte autorità ministeriali, Ordini dei Medici e Associazioni specialistiche hanno prodotto i loro documenti normativi (Codici Deontologici Nazionali). Rimane storicamente rilevante il Belmont Reportnegli USA pubblicato nel 1974 ad opera della National Commission costituita proprio in reazione alla rivelazione delle sperimentazioni selvagge: in questo documento vengono sottolineati i principi del rispetto per le persone, il principio della beneficienza-non maleficenza e di giustizia. Negli USA nel 1980 fu anche costituita la President’s Commission for the Study of Ethical Problems in Biomedical and Behavioral Research che pubblicò un insieme di documenti orientativi nei campi più avanzati della ricerca biomedica: ingegneria genetica, procreazione artificiale, trapianti di organi. Tale commissione può essere considerata come il primo Comitato Etico Nazionale; seguirà l’iniziativa del Presidente Mitterand in Francia nel 1984 con la costituzione del Comité National Consultatif d’Ethique.

Questi esempi saranno poi seguiti in tutti i Paesi (in Italia nel 1990). I Comitati Etici Nazionali emettono pareri non soltanto sul terreno assistenziale ma prima di tutto nei campi della innovazione e della ricerca. I comitati nazionali trovano ora una proposta di coordinamento da parte dell’UNESCO.

La istituzione dei comitati etici, nazionali, internazionali (Consiglio d’Europa, Unesco), istituzionali e locali rappresenta in efffetti l’altro presidio per la tutela dei soggetti e dell’etica della ricerca. La Chiesa dal canto suo ha promosso attivamente con il suo Magistero istanze etiche che spesso sono entrate a far parte dell’etica medica e degli stessi codici deontologici [33].

La presenza dei centri di etica applicata è accompagnata dallo sviluppo della Bioetica come disciplina d’insegnamento e di giustificazione delle norme e dei principi etici. Istituti, Centri di Bioetica, pubblicazioni e dibattiti continuano a sottolineare nuovi principi e a indicare nuove dimensioni dei problemi etici. Negli USA anche dopo la pubblicazione del Belmont Report, si continuò ad evidenziare altri principi a garanzia della politica della ricerca: fra questi ovviamente l’esigenza che è intrinseca alla ricerca sperimentale, e cioè la validità scientifica che viene identificata come un “prerequisito” e fa appello soprattutto alla metodologia. Insieme alla validità si sottolinea il valore che la ricerca deve rappresentare in ordine alla scienza, la medicina e la società [34]: ci può essere una ricerca metodologicamente corretta ma di scarso valore; chi fa parte anche oggi dei comitati etici per la sperimentazione dei farmaci sa che molti trials hanno scarso peso innovativo e spesso si poggiano su piccole varianti di farmaci già in commercio con il solo risultato di assorbire le risorse messe a disposizione dallo Stato.



Valore e validità sono rilevanti anche per giustificare la proporzionalità del rischio che si può chiedere al soggetto sano.

Nella letteratura etica si insiste anche sull’accuratezza ed onestà nel rispettare i risultati, le procedure e i metodi usati nel momento della pubblicazione della ricerca stessa.[35]

Un ulteriore elemento che è stato portato ultimamente all’attenzione è costituito dal c.d. respect of communities che consiste nel prendere in considerazione i valori, le credenze e le strutture politiche delle comunità isolate e primitive, quando vi si volesse condurre una sperimentazione[36]. In questi casi si richiede di acquisire previamente un’accurata informazione sugli usi e costumi e tradizioni della comunità; di conseguenza si propone che, prima di avvicinare i singoli individui di queste popolazioni per ricevere il consenso alla sperimentazione, sia chiesto il consenso della autorità legittima della comunità (il cui assenso non deve tuttavia sostituire quello del soggetto singolo); in terzo luogo si dovrebbe garantire che il progetto abbia a rispondere dalle necessità del luogo, o comunque,comporti appropriati vantaggi alla comunità, rimanendo ovviamente prescritto, come per tutti i soggetti, l’obbligo di evitare danni e rischi; infine si suggerisce che la popolazione locale, mediante suoi rappresentanti possa partecipare alla discussione del disegno, alla conduzione della sperimentazione e all’analisi e pubblicazione dei risultati.

Nuove esigenze emergono sempre più evidenti nella ricerca di tipo genetico e sul piano internazionale vengono evidenziate da Documenti che hanno attinenza con i Diritti dell’uomo [37]; riguardano la segretezza dei dati, la eventuale comunicazione ai membri della famiglia che potrebbero avere gli stessi rischi, nonché i divieti di discriminazione che possono emergere da screening sui lavoratori, sulle famiglie e sui cittadini. Vedremo poi anche i limiti che presentano queste norme etiche codificate per questi speciali temi.

Argomenti che vengono portati all’attenzione delle politiche di ricerca riguardano anche la inclusione nelle sperimentazioni di popolazioni o gruppi di individui che non godono dei diritti umani e di sufficienti condizioni di libertà: queste ricerche spesso vengono a ricevere l’approvazione da autorità che non rispettano i diritti umani così che le ricerche potrebbero svolgersi su popolazioni vulnerabili come, ad esempio, i rifugiati privi di protezione. In questi casi, prima di procedere alla sperimentazione, si suggerisce di acquisire una conoscenza esatta sulle condizioni politiche e umanitarie relativamente all’osservanza dei diritti umani, per esaminare a quali codizioni possa essere condotta una eventuale sperimentazione.

Tra le condizioni si suggerisce la istituzione di un Indipendent Istitutional Review Board, si indicano i casi in cui la considerazione delle condizioni politiche possano avere rilevanza nella determinazione del rischio o nella compromissione con attività criminose o quanto alla obiettività della ricerca o alle conseguenze negative per i soggetti intervistati: vengono citati i casi delle ricerche sugli effetti della tortura, sulle conseguenze psicologiche nei bambini inseriti in attività illegali. Queste condizioni sono state rilevate in Nord Corea e in Cina [38].

La discussione è anche divenuta rilevante sulla esclusione delle donne nella ricerca scientifica. La politica dell’NIH e nel resto dei Paesi sviluppati è di includere le donne nei programmi di ricerca: la esclusione non sembrerebbe giustificata da ragioni scientifiche, perché con la esclusione potrebbero venire a mancare dati importanti per la ricerca [39]. Ovviamente rimane l’obbligo della esclusione delle donne nel caso di gravidanza per il rischio sul feto od anche delle donne in età fertile per il fatto che si può verificare la gravidanza durante la sperimentazione. Per questa ultima evenienza i protocolli spesso, allo scopo di poter mantenere la donna nel trial, chiedono che si impieghi il“contraccettivo efficace”. In proposito la posizione cattolica si oppone a questa clausola obbligante e chiede che sia sostituita nei programmi di sperimentazione con una formula che non imponga la contraccezione, ma, fermo restando l’obbligo ad evitare il concepimento, lasci aperta la possibilità di accesso a metodi che prevedono l’astinenza o a metodi naturali [40].

L’uso dell’animale viene generalmente consentito dalle pratiche regolamentative della sperimentazione nonostante l’opposizione sempre più forte dei gruppi animalisti estremi. Non si potrebe sperare in molti casi il progresso della medicina e della chirurgia senza la sperimentazione sull’animale.Basta pensare ai progressi della chirurgia dei trapianti [41]. Il tema coinvolge la posizione dell’uomo nell’universo dei viventi e la inconciliabilità della posizione antropocentrica, anche nella sua versione moderata e cristiana con le teorie biologiste che negano la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e l’animale o difendono i paritari diritti tra animali e uomini [42]. Ovviamente le norme che regolano la sperimentazione sull’animale prevedono che si evitino sofferenze non necessarie (l’anestesia) ed altre regole che si riferiscono alla custodia dell’animale da esperimento.

Accanto alle politiche di regolamentazione espresse nei codici e nei comitati, la letterautra registra anche lo sforzo compiuto per inculcare un ideale del ricercatore e configurare una sorta di “summa” delle sue attitudini e qualità essenziali, quello che A.Bompiani chiama l’ethos del ricercatore[43].

E’ stato soprattutto il Marton a proporre un paradigma ideale del ricercatore [44]. Questo autore elenca alcune qualità proprie del ricercatore o dei ricercatori per garantirne più che altro la validità della loro ricerca: il Comunismo (mettere insieme i risultati), l’Universalismo (nel valutare i risultati raggiunti), il Disinteresse (per quanto riguarda le motivazioni non cognitive), l’Organized Scepticism (scietticismo organizzato come metodo); tali qualità vengono riassunte nell’anagramma CUDOS, che per alcuni doveva comprendere anche l’Originalità – con la sostituzione di organized scepticism con originality– ed altri aggiunsero ancora, l’Umiltà e il Riconoscimento (dei meriti altrui) arrivando all’acronomo arricchito CUDOSUR.

D’altra parte, come nota sempre Bompiani, queste doti di etica “estrinseca” vengono influenzate sempre più da vicino dalle esigenze della ricerca di base e dall’intervento dell’industria privata per cui al CUDOSUR si sostituisce spesso un altro acronimo il PLACE e cioè la ricerca diventa anche Privata (riservata), Locale (circoscritta), Autorevole (sostenuta dall’autorità del ricercatore), Commissionata ed Esperta (affidata a gruppi riconosciuti come tali) [45]. Alle insufficienze evidenti e alle altrettanti evidenti genericità di questi requisiti altri autori hanno aggiunto ulteriori formulazioni come il Cannavò [46] che ha proposto un ulteriore acronimo SHIPS (le navi) ad indicare nuove istanze di ricerca riferite alla necessità che la ricerca sia Strategica, Innovativa, Pubblica, Scettica.

Da quanto abbiamo scorso sotto questo profilo si vede che anche questo tipo di riflessione sulle qualità del ricercatore o dell’impresa investigativa, pur raccogliendo utili connotazioni di tipo descrittivo, non può fondare un’etica della ricerca, mancando alla base una valida epistemologia ed una compiuta antropologia.

 

 LIMITI ETICI DEI CODICI REGOLATIVI IN ORDINE ALL’ETICA



 

Tenedo presenti le istanze poste dalla filosofia della scienza [47] ed anche quelle del Magistero della Chiesa, pur riconoscendo lo sforzo e i positivi risultati raggiunti nella elaborazione dei codici deontologici, nella definizione dei compiti dei comitati etici e nella elaborazione del profilo ideale del ricercatore, si impone tuttavia, a nostro avviso, la esigenza di una riflessione epistemologica più compiuta sui rapporti fra scienza sperimentale ed etica e nello stesso tempo si richiede un riferimento più esplicito ad una antropologia che dia sostanziale significato al frequente richiamo alla “dignità della persona”.

Per quanto riguarda il rapporto fra la ricerca sperimentale in campo biomedico e l’etica, bisogna tenere presente che, il metodo sperimentale è, per la sua struttura stessa, di carattere “riduzionistico”: questo significa che ciò cheè sperimentalmente valutabile è il dato biologico o biochimico o fisico concernente determinati processi iscritti nella corporeità, e ciò ovviamente nell’ordine del quantificabile: l’esperimento non può dire nulla circa la natura ontologica del soggetto e il valore etico di un intervento biomedico. La verità di fonte scientifica sperimentale dovrà essere perciòintegrata in duplice senso: anzitutto con altre verità di ordine fisico, biologico, rimanendo sempre nell’ordine della scienza, in un processo di integrazione circolare, ma, soprattutto, dovrà essere riferita alla verità ontologica globale(quando si tratta dell’uomo dovrà fare appello alla antropologia) perché si possa valutare di conseguenza la dimensione etica degli interventi. E’ il procedimento che si può definire di integrazione triangolare[48] Non è possibile da un punto di vista epistemologico passare direttamente dalla osservazione empirica, o scientifico-sperimentale, alle conclusioni etiche, tenendo in conto in questo senso la nota legge di Hume, secondo la quale dai fatti non si può inferire il discorso sui valori[49]. Lo sottolineano anche gli epistemologi moderni. Mi piace ricordare uno per tutti D.Antiseri che afferma: “La scienza non produce (logicamente) etica. Dalle proposizioni descrittive non è possibile dedurre asserti prescrittivi. La grande divisione fra fatti e valori – la così detta legge di Hume – ci dice che dall’ “è” non deriva il “deve”, dall’essere non si deriva il “dover essere”. Tutto il valore, tutto il sapere sientifico non può produrre valori né può smentirli [50].

Il voler sostenere che dalla scienza si possa avere l’etica comporterebbe tutt’al più la riduzione dell’etica al semplice dovere di “conoscere sempre più” o ad una “funzione di etica intrinseca” che si concretizzerebbe soltanto negli obblighi di scrupolosità, altruismo, comunicazione veritiera, il che non rappresenta tutta l’etica implicata nella ricerca scientifica, perché si può sempre condurre un’indagine scrupolosa, ma non eticamente corretta.

Se, per esempio, si vuole indagare circa l’eticità della fecondazione in vitro applicata all’uomo si dovrà anzitutto esporre in che cosa consista, in che differisce da quella naturale, quali siano gli effetti che ne derivano (angolo A del triangolo), ma sarà necessario poi domandarsi quale significato tale tecnologia procreativa comporti per la dignità dell’uomo, cioè per la vita e la dignità dell’embrione, per la dignità dei genitori e dello stesso atto procreativo (angolo B del triangolo, il vertice) e soltanto a questo momento si potranno avere i dati validi per porre il problema etico e si potrà porre il discorso dei valori compromessi o compatibili (angolo C).

Per altro sappiamo che la conoscenza della realtà non può essere intesa come omologa ma come analogica: un conto è la conoscenza propria delle scienze sperimentali; un conto è la conoscenza propria delle scienze c.d. umane, (come la filosofia e la metafisica che riguarda la struttura ontologica dell’essere e può essere raggiunta soltanto dalla riflessione filosifica), un conto è la conoscenza etica che riguarda la rispondenza dei comportamenti con il bene dell’uomo. Se poi, come è proprio delle fede cristiana, vogliamo attingere alla luce della Rivelazione, da questa sorgente si riverbera tutta una nuova dimensione conoscitiva sulla realtà indagata dalla ragione naturale sia essa scientifica sia filosofica sia etica, perché la realtà umana (la sua dignità) viene collegata con la dignità stessa del Creatore e con l’opera della salvezza soprannatuale. La insufficienza della visione scientista e l’esigenza dell’apporto della ragione nonché della visione di fede sono illustrate chiaramente dalla Enciclica “Fides et Ratio”.

Parlando del “pericolo dello scientismo” Giovanni Paolo II afferma nella Enciclica “Fides et Ratio”: “Questa concezione filosofica si rifiuta di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e teologica sia il sapere etico ed estetico” [51] ... E continua a propostito della cosiderazione dei valori etici che è propria dello scientismo: “In questa prospettiva, i valori sono relegati a semplici prodotti dell’emotività e la nozione di essere è accantonata per fare spazio alla pura e semplice fattualità. La scienza quindi si prepara a dominare tutti gli aspetti dell’esistenza umana attraverso il progresso tecnologico. Gli innegabili successi della ricerca scientifica e della tecnologia contemporanea hanno contribuito a diffondere la mentalità scientista, che sembra non aver più confini, visto come è presentata nelle diverse culture e quali cambiamenti radicali vi ha apportato” [52].

Abbiamo seguito con attenzione la costruzione dei codici deontologici ed etici relativi alla ricerca, ma non possiamo negare che in alcuni punti, non secondari per la dignitàe la vita dell’essere umano il pensiero scientista ha sopraffatto ed emarginato la considerazione del valore antropologico ed etico. Si pensi al fatto che il Consiglio d’Europa nella “Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina” nell’articolo 18 proibisce nel pararafo “a” la produzione degli embrioni con il fine unico della sperimentazione, ma nel punto “b” tollera che alcuni Stati che hanno già consentito tale sperimentazione possano mantenerla pur sotto la inefficace e parvente “protezione” dell’embrione da parte della legge stessa. Icodici deontologici non hanno impedito nè bandito la sperimentazione per la preparazione dei contragestativi (come la RU 486) e degli intercettivi (o pillola del giorno dopo) né la messa al bando di tecniche abortive meccaniche o dei dispositivi intrauterini. Sappiamo inoltre che la stessa “Dichiarazione dell’UNESCO sul Genoma Umano e i Diritti dell’uomo” non chiarisce se i divieti di alterazione del genoma o di discriminazione degli individui in base alle caratteristiche genetiche valgano anche per l’embrione o soltanto per il soggetto già nato: manca al fondo una antropologia. Seguendo il prevalente influsso dello scientismo risulta che “accanonata ... la critica proveniente dalla valutazione etica, la mentalità scientista è riuscita a far accettare da molti l’ideasecondo cui ciò che è tecnicamente fattibile diventa per ciò stesso anche moralmente ammissibile”[53].

Non è infrequente riscontrare nelle soluzioni etiche che si adottano in tema di bioetica una visione pragmatica che diventa il principale criterio orientativo. Il pragmatismo, come ancora ricorda la “Fides et Ratio”, è “l’atteggiamento proprio di chi, nel fare le sue scelte, esclude il ricorso a riflessioni teoretiche o a valutazioni fondate su principi etici”

La ricaduta di questo riduzionismo scientista e del pragmatismo è che “è la stessa antropologia ad essere fortemente condizionata, mediante la proposta di una visione unidimensionale dell’essere umano, della quale esulano i grandi dilemmi etici, le analisi esistenziali sul senso della sofferenza e del sacrificio, della vita e della morte”[54]. Anche quando si parla di antropologia medica o di scienze antropologiche si rimane nell’orizzonte descritivo e “una più generale concezione sembra oggi costituire l’orizzonte comune a molte filosofie che hanno preso congedo dal senso dell’essere” e Giovanni Paolo II aggiunge per precisione: “Intendo riferirmi alla lettura nihilista che è insieme rifiuto di ogni fondamento e la negazione di ogni verità oggettiva”[55].

Senza ripetere considerazioni presenti in altri interventi, non si può non constatare che tutto il processo che concerne il declassamento dell’embrione umano, per cui si sta legalizzando la sua soppressione e la sperimentazione distruttiva, nonché la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane e la clonazione c.d. “terapeutica”, denunciano la carenza di una antropologia sottostante e in particolare la carenza della ontologia nell’ambito della concezione della persona umana.

Perciò, una vera politica regolativa della ricerca sull’uomo non può essere mantenuta all’interno del rispetto della “dignità umana”, se non si dà un’impostazione valida al discorso epistemologico e alla antropologia filosofica di riferimento. E’ questo il compito della Bioetica quando questa disciplina voglia prendere a cuore l’uomo nella sua verità e voglia compiere un percorso conciliabile – quanto meno – con la teologia e la morale della Chiesa: chiarire fino in fondo il problema dell’incontro fra sapere scientifico sperimentale e sapere filosofico ed etico e restituire la pienezza della dignità all’uomo dal concepimento alla morte.

Giovanni Paolo II nel Discorso tenuto in occasione della Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (13 nov. 2000) ha approfondito quello che egli chiama il “triplice significato” della “dimesione umanistica della scienza”. Egli scrive: “quando si parla della dimensione umanistica della scienza, il pensiero corre per lo più alla responsabilità etica della ricerca scientifica a motivo dei riflessi che ne derivano per lo più per l’uomo. Il problema è reale ed ha suscitato una preoccupazione costante, specie nella 2^ parte del XX sec. Ma è chiaro che sarebbe riduttivo limitare la riflessione sulla dimensione umanistica della scienza ad un semplice richiamo a questa preoccupazione. Ciò potrebbe persino condurre qualcuno a temere che si prospetti una sorta di controllo umanistico sulla scienza quasi che, sul presupposto di una tensione umanistica fra questi due ambiti del sapere fosse compito delle discipline umanistiche dirigere e orientare in modo estrinseco le aspirazioni e i risultati delle scienze naturali, protese verso la progettazione di sempre nuove ricerche e verso l’allargamento di sempre nuovi orizzonti applicativi”[56].

Il Pontefice aggiunge che “da un punto di vista dell’osservatore il discorso della dimensione antropologica della scienza evoca soprattutto una precisa problematica epistemologica: si vuole sottolineare cioè che l’osservatore è sempre parte in causa nell’osservazione dell’oggetto osservato”. Il punto di vista dell’osservatore e “la particolare prospettiva filosofica dello scienziato può influire in modo significativo sulla descrizione del cosmo”[ 57].

Per quanto riguarda questo terzo significato di questa espressione il Pontefice afferma: “Infine si parla di umanesimo della scienza o umanesimo scientifico per sottolineare l’importanza di una cultura integrata e completa, capace di superare la frattura fra le discipline umanistiche e le discipline scientifico-sperimentali. Se tale separazione è importante nel momento analitico e metodologico di una qualsiasi ricerca essa è assai meno giustificata e non priva di pericoli nel momento sintetico, quando lo scienziato si interroga sulle motivazioni più profonde del suo fare scienza e delle ricadute umane delle nuove conoscenze acquisite” [58]

La libertà e l’autonomia dello scienziato non sono minacciate dalla visione antropologica per il fatto che la scelta è illuminata dai valori, perché i valori non sono estranei alla libertà: è tutto l’uomo che si deve far carico del suo simile ed opera scegliendo il meglio che ha a disposizione in vista del bene del suo simile.

In questa ottica si può parlare di autonomia e responsabilità dello scienziato.

Come ho ricordato in una precedente pubblicazione condividendo in buona parte il pensiero di Agazzi e di Pellegrino[59], esistono tre livelli e modalità in cui si può parlare di autonomia della scienza e dello scienziato:

a)Il primo livello consiste nel fatto che ogni scienza ha un suo ambito o campo specifico di riflessione, ha inoltre una sua metodologia di ricerca e infine ha dei propri criteri di validazione. Un criterio valido dal punto di vista economico potrebbe non essere altrettanto valido politicamente o moralmente parlando. Interrompere le terapie ad un paziente di tumore può essere ritenuto economicamente vantaggioso, ma eticamente potrebbe non esserlo.

In questo senso l’autonomia delle singole scienze è comunque ritenuta legittma: anche il Concilio Ecumenico Vaticano II ammette che le scienze e le arti nell’ambito proprio di ciascuna si servono dei propri principi e di un proprio metodo: in questo ogni scienza gode legittimamente di una propria autonomia, che è relativa, perché chiamata sempre a confrontarsi con altri saperi [60].

b) Esiste un altro significato in cui si parla dell’autonomia della scienza e della ricerca: tale significato è proposto nell’ambito dello scientismo: si vuole intendere che la ricerca e la scienza sono “values free”. Si parla di libertà dai valori, dai controlli e nelle scelte. Alcuni sostengono la necessità dell’autonomia dai valori e dai controlli, ma non nell’azione in cui ammettono la legittimità dell’intervento della società [61] ed altri arrivano ad ammettere anche i controlli, ma soltanto per la salute pubblica.

Di fronte alla ricerca biomedica – in particolare si pensi a quella genetica – questo tipo di autonomia dal giudizio etico, e ancora più dal controllo della legge e nell’esecuzione dei progetti, non è sostenibile; oltre tutto la ricerca nell’ambito biomedico e biotecnologico può avere dimensioni e conseguenze di tipo planetario. In questo campo la lezione di Jonas e il suo richiamo al principio di responsabilità conservano tutto il loro peso [62].

c) C’è un terzo modo di concepire l’autonomia della scienza, intesa soprattutto come autonomia dello scienziato ed è quella in cui appunto il ricercatore si fa liberamente e responsabilmente carico dei fini, dei mezzi e metodi e delle conseguenze di un determinato programma di ricerca. Questo modello è capace di congiungere insieme il sapere scientifico e il sapere morale, e di coniugare insieme libertà e responsabilità. Tale modello suppone che lo scienziato sia consapevole dei valori morali in gioco, si regoli di conseguenza e con coerenza e sappia eventualmente confrontarsi con esperti e comitati di etica. La responsabilità dello scienziato vale, non soltanto nel settore della ricerca applicata ove le conseguenze sono più evidenti, ma anche per la ricerca di base ove fini, metodi e mezzi devono sempre essere valutati ed essere resi noti ai membri della stessa equipe dei collaboratori, i quali possono evidentemente avanzare obiezione di coscienza di fronte a procedure ritenute non lecite.

Collocare un ricercatore o un tecnico a lavorare, ad es., in un laboratorio su cellule staminali comporta l’obbligo di palesarne da parte del direttore, la provenienza e lo scopo, perchè il ricercatore possa assumere liberamente e responsabilmente le proprie responsabilità.

Un fatto che viene posto all’attenzione oggi è che la ricerca applicata viene spesso coordinata a livello multinazionale e in modo complesso. Due fattori sono stati segnalati: Jonas parla di “espropriazione dei risultati” nel senso che i risultati delle ricerche, una volta comunicati ed acquistati dell’industria, possono essere applicati in modi che il ricercatore non immaginava al momento della ricerca e della comunicazione dei risultati [63]. Di qui l’obbligo di una formazione etica dei ricercatori e di una loro accresciuta responsabilità per non finire in una catena di montaggio il cui prodotto finale sia utilizzato in modo contrario alla loro conoscenza e al bene dell’uomo. Jonas dice che siamo come i passeggeri che salgono sul treno: liberi di salire, ma non di arrestare il treno o di cambiarne destinazione.

Altro fattore da tener presente è il rapporto fra ricerca e potere politico, quando appunto il potere politico finanzia i grandi progetti di ricerca nei quali l’nsieme dei risultati diventa come anonimo e componibile: le banche dati e i brevetti diventano come casseforti e forzieri a cui il potere politico può attingere per un suo disegno non inteso dai ricercatori.

Per questo la presenza dei controlli applicativi da parte degli scienziati stessi e della società, sia a livello nazionale che internazionale, sono giustificati e doverosi.

La armonizzazione della libertà con la responsabilità dello scienziato si può dunque realizzare: a) nel rispetto della legittimità di ogni disciplina; b)nella composizione armoniosa e nella ingrazione dei saperi con l’assunzione di una corretta epistemologia e una compiuta antropologia; c) nell’accettazione della piena responsabilità da parte degli scienziati sia di fronte alle applicazioni possibili sia di fronte al potere politico; d) nella necessità di controlli di natura etica che possano essere attuati non soltanto nei confronti dei laboratori e nel momento dell’approvazione dei protocolli di ricerca, ma anche nei confronti dei possibili sviluppi successivi operati dal potere pubblico o da quello economico.

La politica della ricerca ha così dei doveri nei confronti della stessa autorità politica, anche quando questa finanzia i progetti di ricerca. “Verità, libertà e responsabilità sono collegate nella esperienza dello scienziato; egli infatti nell’intreprendere il suo cammino di ricerca, comprende che deve attuarlo non solo con l’imparzialità richiesta dall’oggettività del suo metodo, ma anche con l’onestà intellettuale, la responsabilità e direi con una sorta di riverenza quali si addicono allo spirito umano nel suo accostarsi alla verità” [64]

  

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