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Juan de dios vial correa elio sgreccia libreria editrice vaticana


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[1] MÜLLER JOHANNES.Handbuch der Physiologie des Menschen Ersten Bandes zweit Abtheilung Coblenz Verlag von J Hölseher, 1833, pp. 649-650.

[2] MARITAIN JACQUES.An introduction to the basic problems of moral phiosophy Magi Books Inc. Albany, N.Y. (1988).(Translated from Neuf leçcon sur les notions premières de la philosphie morale, first published in Paris, 1950 by Pierre Taqui) Chapters 2 and 3.

[3] HAECKELERNST.The Riddle of the Universe.Published 1899, translatedfrom Die Welträthsel, 1899 by Joseph McCabe, Prometheus Books, 1992), p. 182.

[4] AGUILERA NELSON, CLAUDIA ESPINOZA. Presencia de indígenas de Fuego. Patagonia en teritorio europeo. In Boletín surdelsurpatogonia.com/erase una vez/pueblos, 66n1.htm.

[5] SINGER PETER.All animal are equal.Originally published in Philosophic Exchange, vol I, n5: 243-257 (1974).Reproduced in Environmental Philosophy.Zimmermann HE, Callicott JB, Sessions G, Waqrren Kj; Clark J. Editors.Prentice Hall, N.J., 26-40 (2002).

[6] Cit. In (5), p.30.

[7] REGAN TOM. Animal rights, human wrongs.Originally appeared in Environmental ethics.Vol 2, n2, 99-120 (1980).Reproduced in Environmental Philosophy.Zimmermann HE, Callicott JB, Sessions G. Warren KJ, Clark J. Editors.Prentice Hall, N. J. 41-55 (2001), p.48.

[8] LEOPOLD ALDO.Originally appeared as The Land Ethic.In “A sand country almanac and asketches here and there”,Oxford University Press, 1949.Reproduced in Environmental Philosophy.Zimmermann HE. Callicott JB, Sessions G. Waqrren KJ, Clark J. Editors, Prentice Hall, N.J., 97-110 (2001), pp 109-110.

[9] NAESS ARNE.The deep ecological movement: some philosophical aspects. Originally appeared in Philosophical Inquiry 8: 1-2 (1986).Reproduced in Environmental Philosophy.Zimmermann HE, callicott JB, Sessions G. Waqrren KJ, Clark J. Editors, Prentice Hall, N.J., 185-203 (2001), pp 189-190.

[10] FISSO MARIA BEATRICE, ELIO SGRECCIA.Etica dell’ambiente.Medicina e Morale 1996/6:1057-1082, pp 1068 and 1074.

[11] H.H.JOHN PAUL II.Encyclical Letter Laborem Exercens n4.

[12] Gen. 1:26-28.

[13] Gen.1.

[14] H.H.JOHN PAUL II.Encyclical Letter Laborem Exercens n4.

[15] Gen. 2:15.

[16] PONTIFICAL ACADEMY FOR LIFE.Prospects for Xenotransplantation.Librería Editrice Vaticana (2991), nn.7, 8,15.

ADRIANA LORETI-BEGHE’
Normativa internazionale e ricerca biomedica

Conquiste attuali e prospettive future

Sommario:

1. Introduzione 

2. Libertà di ricerca scientifica e tutela dei diritti umani 

3. La Convenzione di Oviedo e il Protocollo addizionale sulla ricerca biomedica 

4. Manipolazioni genetiche e clonazione 

5. Il diritto all’integrità psico-fisica nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea 

6. Conclusioni.

 

1. Se e vero che la “rivoluzione” scientifica e tecnologica che ha caratterizzato l’ultimo decennio del secolo trascorso (e senz’altro segnerà gli anni a venire) passa anche attraverso l’elaborazione di idonee norme giuridiche che disciplinino le applicazioni delle moderne tecnologie (non solo di diritto interno, ma anche e soprattutto di diritto internazionale e comunitario), i giuristi possono legittimamente fregiarsi del (o almeno condividere il) titolo di “architetti del futuro”.



Personalmente, faccio mia questa osservazione per una riflessione più profonda. Sono infatti convinta che le dimensioni assunte dalla ricerca biomedica evidenzino l’esigenza di assicurare efficaci forme di garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo, ma al contempo sono anche convinta che la disciplina giuridica e la tutela giurisdizionale non esauriscono la gamma delle garanzie possibili. Al riguardo, vorrei ricordare che la norma giuridica raccoglie bisogni, spinte e valutazioni che nascono prima e fuori dal mondo del diritto, sulla base di un processo preliminare di formazione del consenso sociale. Se il consenso costituisce la base per qualsiasi disciplina giuridica, ne consegue che anche il riconoscimento esplicito dei diritti fondamentali e la possibilità di esperire rimedi giurisdizionali a loro tutela devono essere preceduti (o integrati) da specifiche misure volte a garantire ed attuare tali diritti anche mediante l’abolizione di ostacoli di natura anzitutto “culturale”, come dimostra, ad esempio, l’esperienza acquisita nel campo delle discriminazioni fondate sul sesso.

Mi sembra quindi necessario introdurre o perfezionare, accanto ai divieti di selezioni eugenetiche e di utilizzo a fini discriminatori delle tecniche di ingegneria genetica, solo per citare alcuni esempi, i processi di educazione ed informazione atti a garantire una piena trasparenza nella comunicazione degli obiettivi della ricerca e della sperimentazione biomedica e ad assicurare, in modo durevole, la fiducia e la partecipazione pubblica ai programmi di indagine genetica. Occorre, in altri termini, stimolare e sondare adeguatamente il consenso sull’orientamento complessivo della ricerca scientifica e tecnologica, perché la gestione della conoscenza e del sapere tecnico-scientifico nella società contemporanea richiede una sempre maggiore possibilità di partecipazione e di “condivisione” democratica.

Nel contesto descritto è particolarmente avvertita l’esigenza di assicurare forme di garanzia dell'eticità e della legittimità della ricerca e della sperimentazione biomedica ulteriori e diverse da quelle tradizionali, anche mediante la “associazione” dell’opinione pubblica e dei mass-media nella fase di elaborazione delle decisioni politiche o legislative concernenti gli sviluppi e le applicazioni delle tecniche di ingegneria genetica. Il rischio insito nello sviluppo senza controllo della biomedicina e delle biotecnologie è sempre più avvertito dagli individui e, conseguentemente, il diritto di conoscere (“right to know”) dei cittadini rappresenta sempre più un’esigenza imperativa. In questa prospettiva, vanno individuate modalità e procedure adeguate delle scelte tecnico-scientifiche che sono alla base delle trasformazioni più avvertite dalla società, allo scopo di rendere effettivo il diritto all’informazione ed alla partecipazione ai processi decisionali relativi ai temi della scienza e della ricerca applicata[1].

Un esempio importante in tal senso è costituito dalla istituzione di specifici gruppi di lavoro nel quadro delle iniziative collegate alla attuazione del Libro bianco sulla governance europea, presentato dalla Commissione europea nel 2000. Nel contesto di tali iniziative, volte a colmare il lamentato deficit democratico del metodo di governo comunitario, sono stati infatti previsti due gruppi di esperti, uno incaricato di formulare proposte nel campo della democratizzazione del sapere scientifico, particolarmente nei settori della salute e della sicurezza, l’altro responsabile per le iniziative connesse alla partecipazione della società civile[2].

Ai fini indicati, grande rilievo assume anche la diffusione a livello internazionale, europeo, nazionale e locale di organismi di vigilanza e di forum consultivi, imparziali e indipendenti (quali i Comitati etici, su cui tornerò più avanti), che possano farsi espressione della “sostenibilità” complessiva delle sperimentazioni in linea con i principi di sussidiarietà (nel senso lato di avvicinare il più possibile i cittadini ai gangli decisionali) e di precauzione. In particolare, il principio di precauzione, rapidamente assurto al rango di principio generale di diritto (in specie di diritto comunitario), implica l’adozione di una strategia strutturata di adozione delle decisioni che vede nella valutazione preventiva, nella gestione e nella comunicazione dei rischi configurabili, nonché nel coinvolgimento di tutte le parti interessate, i suoi elementi essenziali. Tale principio, come è stato rilevato, può considerarsi un esempio applicativo di un modo per interpretare il sapere scientifico e si applica quando lo stato delle conoscenze scientifiche in un determinato settore non permette di apprezzare compiutamente i rischi collegati o conseguenti alle applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche e le probabilità che essi hanno di verificarsi, anche sotto il profilo temporale[3].

Un preciso obbligo giuridico deriva, in tal senso, agli Stati parti della Convenzione di Oviedo dall’art. 28 dell’Accordo, che pone a carico dei Paesi contraenti l’obbligo di vigilare affinché i problemi fondamentali posti dallo sviluppo e dalle applicazioni della biologia e della medicina formino oggetto di consultazione e dibattito pubblico appropriati, in particolare alla luce delle implicazioni mediche, sociali, economiche, etiche e giuridiche pertinenti. La sensibilizzazione e l’educazione del pubblico sono dunque obblighi positivi assunti dagli Stati che hanno ratificato lo strumento internazionale. D’altra parte, appare realmente necessario introdurre nuove forme di mediazione tra scienza e società, soprattutto in società multiculturali e multietniche come quella contemporanea, poiché è diffusamente avvertito il progressivo “scollamento” tra scienza e società e l’assenza di comuni fondamenti di eticità e di legittimità della ricerca scientifica. Ciò rischia, evidentemente, di minare alle basi i diritti fondamentali dell’uomo, con riferimento sia al loro riconoscimento, che alle forme ed agli strumenti di tutela, primi tra tutti l’azionabilità diretta da parte dell’interessato.

Può dirsi, pertanto, che la regolazione giuridica delle questioni bioetiche non può precedere la maturazione, nel corpo sociale, di scelte morali e di opzioni etiche sufficientemente condivise e consolidate sulle soluzioni da perseguire, alla cui realizzazione il diritto è chiamato ad offrire il supporto degli strumenti più idonei. Sarà così possibile non solo contemperare le esigenze individuali di controllo sull’uso del materiale genetico (e, segnatamente, delle informazioni in esso contenute) con le più generali esigenze di tutela pubblica delle risorse genetiche, ma anche fornire un contenuto più preciso alle nozioni di “patrimonio comune dell’umanità” e di “responsabilità intergenerazionale”.

 

2. La libertà di ricerca scientifica è un principio ampiamente affermato sia nelle costituzioni dei singoli Stati che negli strumenti internazionali.



E’ vero, però, che non sempre è agevole distinguere tra ricerca pura (che consiste essenzialmente nell’ampliamento delle conoscenze dei fondamenti che sono alla base dei fenomeni osservabili) e ricerca applicata (l’attività di investigazione rivolta sì all’acquisizione di nuove conoscenze, ma finalizzata ad obiettivi precisi), trattandosi di due fasi del medesimo processo cognitivo, che, per i caratteri della scienza moderna, si presenta necessariamente come sperimentale e da cui derivano, in molti casi, non solo conseguenze pratiche ed applicative, ma implicazioni di rilievo per lo sviluppo ulteriore della ricerca scientifica pura.

E’ altrettanto vero che i risultati senza precedenti del progresso scientifico e tecnologico, succedutisi negli ultimi anni ad un ritmo travolgente, sembrano destinati a penetrare i segreti dello spazio, della materia e della vita e ad incidere sempre più, in futuro, sull’ambiente, l’ecosistema e l’habitat dell’uomo. Da questo punto di vista, va appena precisato che la biologia molecolare e le tecniche di ingegneria genetica (le c.d. scienze della vita) costituiscono i settori maggiormente fecondi di novità davvero rivoluzionarie. Le biotecnologie, segnatamente, si differenziano dalle altre moderne tecnologie pure sviluppatesi in anni recenti: basti rilevare, in proposito, il fabbisogno di materie prime particolarissime e diverse rispetto a quelle tradizionali (i geni, considerati “l'oro verde” del XXI secolo), i significativi riflessi sulla salute umana derivanti dalle applicazioni della ricerca biotecnologica o ancora la possibilità che le biotecnologie influenzino i valori posti a fondamento della civile convivenza verso sviluppi non del tutto conformi ai principi dello stato di diritto, come anche l'opinione pubblica sembra ormai percepire chiaramente. In particolare, i progressi conseguiti in questo settore destano la preoccupazione, evidenziata dal Parlamento europeo fin dal 1989, circa il possibile utilizzo discriminatorio dei risultati delle biotecnologie, soprattutto a fini di controllo sociale e demografico[4]. In tal senso possono essere interpretate anche le osservazioni di chi lamenta i rischi derivanti da una «seconda Genesi», concepita artificialmente nei laboratori di biotecnologia dei Paesi industrializzati e intesa a ripopolare la biosfera terrestre secondo criteri di selezione eugenetica[5].

I rischi collegati e conseguenti all’utilizzo improprio dei risultati della ricerca scientifica, evidenziati da fenomeni celebri quanto tragici (da Hiroshima alla crisi della “mucca pazza”), dimostrano non solo la duplice valenza del progresso tecnico-scientifico, ma anche l’esigenza di disciplinare l’esercizio delle attività che sono alla base di tale progresso in modo da indirizzarne gli sviluppi futuri verso il conseguimento di risultati vantaggiosi per l’intera umanità e utili al rafforzamento delle basi della civile convivenza. In questo contesto, la tutela internazionale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è assurta al centro di un’ampia riflessione, in quanto l’avvento delle moderne tecnologie, soprattutto in campo biomedico, suscitano preoccupazioni ed incertezze, comportando nuove minacce alla libertà degli individui, e sviluppano un articolato dibattito sulla esistenza di nuovi diritti e sulla esigenza di garantirne il rispetto: si pensi, ad esempio, alle modificazioni genetiche le cui “ricadute” possono interessare non solo i soggetti direttamente interessati, ma anche le generazioni successive.

Le esigenze richiamate trovano maggiore rispondenza, come è naturale, sul piano del diritto internazionale. Numerosi sono, infatti, i fattori che spingono verso una crescente “mondializzazione” delle attività di ricerca, così come numerose appaiono gli obiettivi da promuovere e realizzare mediante idonee norme internazionali. Salvo tornare nel prosieguo della trattazione sui diversi profili evidenziati, occorre fin d’ora rilevare che gli accordi conclusi in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, allo scopo di disciplinare la collaborazione internazionale in materia di ricerca scientifica, hanno contribuito soprattutto a fornire attuazione, in tale settore, al generale obbligo di cooperazione contenuto nello Statuto dell’ONU, alla luce degli obiettivi fondamentali da esso individuati: il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, da una parte, il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dall’altra.

Già nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite, adottata a San Francisco nel 1945, gli Stati avevano riaffermato la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità, nel valore della persona umana. La celeberrima Dichiarazione dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle NU nel 1948, ha avuto il merito di trasferire per la prima volta in uno strumento internazionale la considerazione e la salvaguardia dei valori naturali, universali, indivisibili e irrinunciabili dell’essere umano. Tale strumento, anche se redatto in forma declaratoria e quindi privo di efficacia vincolante, è stato il primo di numerosi atti volti a far assumere dagli Stati impegni pattizi di carattere positivo allo scopo di tutelare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, tra cui significativo rilievo ha assunto il principio dell’autonomia dell’individuo nella gestione della propria corporeità. Vincolanti per gli Stati contraenti sono invece i Patti sui diritti civili e politici e quelli sui diritti economici, sociali e culturali del 1977. Il Patto sui diritti civili fissa l’obbligatorietà di un preventivo libero consenso informato dell’individuo allo svolgimento di esperimenti medici o scientifici (art. 7), mentre il Patto sui diritti economici contiene un preciso riferimento, tra l’altro, al diritto individuale a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni (art. 15). Un cenno a parte, per la loro diversa efficacia, meritano infine le norme deontologiche adottate dall’Assemblea medica mondiale (la Dichiarazione di Helsinki del 1949, modificata da ultimo a Edimburgo nel 2000) e dal Consiglio delle organizzazioni internazionali di scienze mediche (CIOMS), che fissano i principi etici applicabili alla ricerca biomedica sugli esseri umani. Si tratta di norme che hanno orientato e disciplinato le applicazioni delle tecnologie mediche secondo valori e criteri universali e oggettivi di rigore scientifico e correttezza etica, divenuti oggi presupposti imprescindibili per la valutazione e l’approvazione di una ricerca biomedica.

Il legame tra ricerca scientifica e diritti umani è stato ribadito in diverse occasioni dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha adottato numerose risoluzioni e altri atti non vincolanti in materia. Può ricordarsi, in particolare, la risoluzione n. 38/135 del 19 dicembre 1983, sui diritti dell’uomo e il progresso della scienza e della tecnica, con cui l’Assemblea generale ha invitato tutti gli Stati, gli organismi delle Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali, governative e non governative, ad adottare le misure necessarie affinché i risultati del progresso scientifico e tecnologico fossero utilizzati esclusivamente nell’interesse della pace internazionale e a beneficio dell’umanità, promovendo e incoraggiando il rispetto universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[6]. Con particolare riferimento all’ambito della ricerca biomedica, è possibile ricordare, inoltre, le risoluzioni adottate nel marzo e nel dicembre 1993 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, intitolate rispettivamente «Diritti umani e bioetica» e «Diritti umani e progresso della scienza e della tecnica». Con tali risoluzioni, le Nazioni Unite hanno espresso l’auspicio che il progresso scientifico potesse svilupparsi nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, mediante l’elaborazione di una «etica delle scienze della vita» a livello nazionale ed internazionale. A tal fine, le Nazioni Unite hanno invitato i governi, gli istituti specializzati e le altre organizzazioni internazionali, anche a livello regionale e non governativo, ad informare il Segretario generale dell’ONU delle misure adottate per assicurare lo sviluppo delle scienze della vita nel rispetto dei diritti dell’uomo, ivi compresa la costituzione di organismi consultivi nazionali e la promozione degli scambi di esperienza tra istituzioni[7].

 

3. Il principale strumento vincolante di natura internazionale posto a tutela della dignità e dell’integrità dell’essere umano nei confronti della biomedicina è costituito dalla «Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei diritti umani e della dignità dell’essere umano con riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (c.d. Convenzione sulla biomedicina)», adottata il 19 novembre 1996 dal Comitato dei ministri di quell’Organizzazione, firmata a Oviedo il 4 aprile 1997 ed entrata in vigore, sul piano internazionale, il 1º dicembre 1999.



Pur espressamente dedicata alla tutela della dignità e dell’integrità dell’essere umano con riguardo alle «applicazioni» della biomedicina (art. 1), la Convenzione di Oviedo contiene anche norme relative alla tutela dell’essere umano con riguardo alla ricerca scientifica in sé considerata.

Al riguardo, la Convenzione compie anzitutto una chiara scelta di principio sancendo, all’art. 2, il primato de «l’interesse e del bene dell’essere umano … sull’interesse della società o della scienza». Si tratta di una rilevante affermazione di principio, che, trovando collocazione tra le Disposizioni generali dell’Accordo, dovrebbe condizionare l’interpretazione e l’applicazione dello stesso, nel senso di garantire il rispetto dell’essere umano in ogni stadio della sua formazione e del suo sviluppo. Siffatta ispirazione garantista dell’essere umano è ribadita dalla Convenzione nel quadro della disciplina della ricerca medica e biologica (Capo V, artt. 15-18), il cui «libero esercizio» è subordinato all’osservanza delle disposizioni pattizie e delle altre disposizioni giuridiche che assicurano, appunto, la protezione «dell’essere umano» (art. 15).

Meno garantiste appaiono, invece, le norme della Convenzione concernenti la protezione sostanziale dell’embrione, quali l’art. 18 sulla ricerca scientifica sugli embrioni in vitro, che offre un livello di tutela palesemente insufficiente. Tale disposizione, infatti, rimette alle legislazioni nazionali la scelta di autorizzare o meno la ricerca scientifica sugli embrioniin vitro, limitandosi a stabilire che, ove tale ricerca sia ammessa dalla legge nazionale, quest’ultima debba assicurare «un livello di protezione adeguato». Va aggiunto che la palese insufficienza di questa disposizione appare appena bilanciata dal divieto di creazione di embrioni umani a fini di ricerca, sancito dallo stesso art. 18, che peraltro non esclude la sperimentazione sugli embrioni umani prodotti a scopi di fecondazione assistita ma rimasti inutilizzati e crio-conservati (c.d. embrioni soprannumerari).

Si ricordano, in proposito, gli orientamenti assunti dal Regno Unito, dagli Stati Uniti d’America e dalla Francia, intesi a legittimare l’utilizzo a fini di ricerca (condotta con fondi privati) degli embrioni soprannumerari. In particolare, va qui ricordato il disegno di legge sulla bioetica approvato dall’Assemblea nazionale francese, in prima lettura, il 22 gennaio 2002. L'elemento di maggior portata “rivoluzionaria” del progetto di legge, che dovrebbe assicurare alla Francia il ruolo di leader europeo nel campo della ricerca biomedica e porla su un piano di competitività con l’Inghilterra e gli Stati Uniti, è il discutibile “via libera” accordato alle ricerche sugli embrioni c.d. soprannumerari, e cioè sugli embrioni crio-conservati a scopi di riproduzione assistita. Tale previsione è giustificata, nelle intenzioni dell’Assemblea, dalla necessità di consentire il progresso delle ricerche in campo medico necessario a debellare quelle malattie (come il cancro o il morbo di Parkinson) nei confronti delle quali le attuali conoscenze mediche appaiono insufficienti.

Come è agevole intuire, il rischio collegato alla scelta di sostenere tale forma di sperimentazione (c.d. clonazione terapeutica) è quello di avallare, dal punto di vista morale e nel più lungo periodo, la clonazione tout court di esseri umani (c.d. clonazione riproduttiva), attualmente vietata da fonti normative internazionali ed nazionali. Tale rischio è stato stigmatizzato dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 7 settembre 2000, in cui l’Assemblea di Strasburgo ha denunciato l’utilizzo di «una nuova strategia semantica» intesa ad «indebolire il significato morale della clonazione umana» allo scopo di favorire ulteriori sviluppi della produzione e dell’utilizzo di embrioni a scopo di ricerca. Per il Parlamento europeo, al contrario, «non vi è alcuna differenza tra clonazione a fini terapeutici e clonazione a fini di riproduzione» (è bene tuttavia precisare che la Risoluzione in parola è stata approvata con una strettissima maggioranza: 237 voti a favore contro 230 voti contrari e 43 astensioni)[8].

Le altre norme della Convenzione di Oviedo concernenti la protezione delle persone, anche incapaci, che si prestano ad una ricerca, sono quelle contenute negli artt. 16 e 17. Si tratta essenzialmente di norme volte ad assicurare la protezione della dignità e dell’integrità fisica e psichica dell’essere umano mediante l’applicazione del tradizionale strumento di tutela dell’autonomia individuale in campo medico (il consenso libero ed informato, espresso in forma scritta) ed una serie di principi e criteri ormai consolidati (proporzionalità tra rischi e benefici attesi dalla ricerca; approvazione preventiva dei profili scientifici ed etici della ricerca da parte di «istanze competenti»; inesistenza di un metodo alternativo alla ricerca su esseri umani e di efficacia equivalente).

Non va poi dimenticato che, essendo la Convenzione un vero e proprio accordo-quadro, che stabilisce obiettivi e norme di principio, essa rimanda, per gli aspetti più sensibili della materia, all’adozione di strumenti giuridici ulteriori. Tra questi, si ricorda il Protocollo addizionale sul divieto di clonazione di esseri umani, firmato a Parigi il 12 gennaio 1998, nonché i progetti di Protocolli dedicati ai trapianti d’organo e tessuti umani, alla ricerca biomedica, alla tutela dell’embrione umano, alla genetica umana e, da ultimo, agli xenotrapianti. A ciò si aggiunga che, al fine di tener conto degli sviluppi scientifici, la Convenzione prevede la possibilità di riesaminare le norme introdotte entro cinque anni dalla loro entrata in vigore, e cioè entro la fine del 2004.

Tra i progetti di Protocollo poc’anzi ricordati, particolare rilievo assume quello dedicato alla ricerca biomedica. Anche se il testo del Protocollo (in corso di avanzata elaborazione) non è ancora definitivo, mi sembra opportuno ricordare i punti salienti dello strumento internazionale, che prende le mosse dalla constatazione della transnazionalità e della transdisciplinarietà della ricerca biomedica.

Il progetto di Protocollo si articola in undici Capitoli, dedicati all’oggetto e al campo di applicazione; ai principi generali; ai Comitati etici; all’informazione e consenso; alla protezione delle persone incapaci; alle c.d. situazioni particolari; alle ricerche in situazioni di gravidanza o allattamento; alla sicurezza e sorveglianza della ricerca; alla riservatezza e diritto all’informazione; alle ricerche condotte dagli Stati terzi rispetto al Protocollo, alle disposizioni finali. Numerosi sono gli articoli del progetto volti a tutelare gli esseri umani che si prestano ad una ricerca biomedica, ivi compresi gli embrioni in vivo (ma non in vitro). Particolare attenzione è fornita, inoltre, sul piano delle garanzie offerte ai soggetti partecipanti alle ricerca, alle persone incapaci, sono previste norme specifiche per tutelare le persone in situazioni di dipendenza o vulnerabilità, allo scopo di evitare ingiustificabili pressioni all’atto di espressione del consenso alla ricerca (art. 13).

Competenze dettagliate, ai fini indicati, sono attribuite ai Comitati etici, ai quali è affidato anzitutto il compito di condurre l’esame pluridisciplinare degli obiettivi della ricerca, l’analisi scientifica del Protocollo e la sua accettabilità dal punto di vista etico. A tal fine, i Comitati adottano pareri obbligatori e motivati (ma non vincolanti). Come già previsto dalle c.d. norme di buona pratica clinica, il progetto di Protocollo indica le informazioni che devono essere fornite ai Comitati, con particolare riferimento alla competenza ed all’idoneità dei ricercatori, nonché all’indicazione dei soggetti responsabili sia sul piano clinico che finanziario. Usuali obblighi di informazione sono anche quelli aventi ad oggetto il metodo di ricerca, le procedure d’indagine e l’analisi statistica, che devono essere indicati nei protocolli di ricerca unitamente ad un riassunto del progetto medesimo.

Una novità è invece costituita dall’obbligo del ricercatore di informare gli altri centri di ricerca, il Comitato etico e l’autorità nazionale competente sugli sviluppi della ricerca che possano giustificare un suo riesame sul piano etico (art. 26). I risultati della ricerca, infine, devono formare oggetto di un rapporto finale al Comitato etico o all’autorità nazionale competente (art. 30). Sotto questo profilo, occorre rilevare che il progetto di Protocollo avrebbe potuto rivelarsi più incisivo qualora avesse previsto l’obbligatorietà della pubblicazione e della diffusione dei risultati delle ricerche anche in caso di esito negativo, pur essendo comprensibili le reticenze che i ricercatori potrebbero esprimere al riguardo. Come è agevole osservare, infatti, la storia delle conquiste scientifiche è la storia di ipotesi di ricerca che trovano conferma, o meno, nella sperimentazione: in particolare, la moderna tecnologia appare come un “processo” in continua evoluzione, in cui è difficile “fissare” strumenti metodologici e concettuali definitivi. Monitorare una strada che non conduce a risultati positivi e mettere a disposizione della comunità scientifica i dati di tali ricerche permetterebbe quindi non solo di evitare sperimentazioni ripetitive e superate (oltre che costose), ma anche di rendere più manifesta la natura di “patrimonio comune” della ricerca scientifica, ove la verità (come gli errori) non è mai tale, ma costituisce soltanto il frutto più elevato che è possibile raggiungere con le conoscenze scientifiche di cui si dispone in un particolare momento. Pertanto, sono da salutare con favore iniziative quali la pubblicazione di apposite riviste specializzate: si ricorda, per tutte, il Journal of Negative Observations of Genetic Onocology (NOGO)[9].

Un giudizio positivo può invece esprimersi con riferimento alla previsione di indicare, nei progetti di ricerca, l’utilizzo dei risultati, dai dati e del materiale biologico a scopi commerciali (art. 12).

Si segnala, da ultimo, la novità relativa alle ricerche condotte nei Paesi che non saranno parti del Protocollo, quando questo entrerà in vigore. Ai sensi dell’art. 31, infatti, le norme etiche e le fondamentali garanzie di sicurezza enunciate dal Protocollo saranno applicate anche alle ricerche eseguite sugli esseri umani cittadini di Paesi terzi. Non può tuttavia farsi a meno di rilevare che, per garantire una più efficace protezione giuridica dei cittadini dei Paesi terzi (soprattutto se Paesi in via di sviluppo), sarebbe stato opportuno introdurre la figura del “mediatore culturale”, cittadino dello Stato terzo, anche allo scopo di assicurare la reale e completa informazione e comprensione dei rischi e dei benefici collegati e conseguenti alla ricerca. Diversamente, ben si potrà dubitare che il consenso, fornito anche per iscritto, sia un consenso realmente informato e consapevole dei rischi della sperimentazione, in ossequio al principio di autonomia dell’individuo nella gestione della propria corporeità.

 

4. Un tema di peculiare rilevanza bioetica, che la Convenzione di Oviedo affronta espressamente, è quello della ricerca sul genoma umano e delle potenziali manipolazioni genetiche. In questo campo, infatti, è da tempo avvertito il timore circa il possibile utilizzo discriminatorio e lesivo della dignità umana dei progressi della biomedicina, timore che alimenta, in particolare, il dibattito sulla necessità di regolamentare le applicazioni delle tecniche di ingegneria genetica e delle biotecnologie. Si avverte, in altri termini, il rischio collegato e conseguente ad un “ritorno” all’applicazione di criteri di selezione eugenetica, dopo i drammatici episodi accaduti nel corso dell’ultimo conflitto mondiale[10].



Tenendo conto di tali preoccupazioni, la Convenzione e il Protocollo addizionale di Parigi vietano gli interventi volti alla modificazione del genoma umano che non siano giustificati da ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche (art. 13)[11], nonché la clonazione degli esseri umani[12]. Quest’ultima tecnica, avente come scopo deliberato la creazione di un essere umano «geneticamente identico» ad un altro essere umano, costituisce un «uso improprio della biologia e della medicina» ed è espressamente qualificata come «contraria alla dignità dell’uomo» (Preambolo del Protocollo, punto V)[13]. E’ significativo osservare che i divieti in parola tengono particolarmente conto della necessità, affermata dal Preambolo e dall’art. 13 della Convenzione, di rispettare l’essere umano sia come individuo che come membro della specie umana e di utilizzare i progressi della biomedicina a beneficio delle generazioni presenti e future. In tal senso, può dirsi che la Convenzione recepisce il principio della responsabilità intergenerazionale, già indicato come cardine del c.d. sviluppo sostenibile dalla Convenzione sulla diversità biologica (c.d. biodiversità), firmata a Rio de Janeiro nel giugno 1992[14].

Precise indicazioni in quest’ottica emergono anche dalle esigenze di solidarietà formalizzate dalla Dichiarazione universale dell’UNESCO sul genoma umano e i diritti dell’uomo, adottata l’11 novembre 1997[15]. La Dichiarazione, infatti, proclama simbolicamente il genoma umano «patrimonio comune dell’umanità», per sottolineare l’unità fondamentale di tutti i membri della famiglia umana e la dignità inerente ciascuno di essi (art. 1)[16]. La Dichiarazione ribadisce, inoltre, le esigenze di tutela della dignità e dei diritti dell’individuo, indipendentemente dalle caratteristiche genetiche dello stesso (art. 2), e precisa che il genoma umano, per sua natura soggetto ad evoluzione, contiene potenzialità in grado di esprimersi differentemente a seconda di fattori mutevoli, quali l’educazione, le condizioni di vita, l’alimentazione, lo stato di salute e, più in generale, il rapporto tra ciascun individuo ed il proprio habitat naturale e sociale (art. 3). Emerge chiaramente, così, l’approccio fatto proprio dalla Dichiarazione universale, volto ad escludere ogni forma di “determinismo genetico” che porti ad identificare l’essere umano con il proprio patrimonio genetico e con le informazioni ivi racchiuse[17].

Occorre tuttavia rilevare che la Convenzione di Oviedo (art. 21) e la Dichiarazione dell’UNESCO (art. 4) vietano la commercializzazione del corpo e del genoma umano «nel suo stato naturale», senza perciò precludere la possibilità di instaurare, ad esempio, un regime normativo di tutela brevettuale delle invenzioni biotecnologiche, come è effettivamente avvenuto a livello comunitario con l’adozione della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 98/44 (che fa leva sostanzialmente sulla nozione di invenzione, cui si ricollegano i tradizionali requisiti della novità, della attività inventiva e dell’applicazione industriale)[18]. Pur non potendo in questa sede esaminare compiutamente l’atto comunitario e la problematica ad esso sottesa, deve tuttavia precisarsi che la solenne proclamazione del genoma umano come patrimonio comune dell’umanità mal si concilia con una realtà in cui l’enorme potenziale economico sotteso alla brevettazione dei risultati della ricerca biomedica orienta quest’ultima, come è agevole intuire, secondo logiche di profitto poco compatibili con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e, in particolare, di una vera e propria “identità biologica”.

In materia si registra da tempo, del resto, una vera e propria corsa all’oro: al giugno 2002 risultavano presentate circa 720.000 richieste di esclusiva su sequenze genetiche umane (si ricorda che può formare oggetto d'invenzione un materiale biologico isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico, anche se preesistente allo stato naturale). Le sollecitazioni di natura economica che costituiscono il presupposto del regime di tutela brevettale possono peraltro indurre a commettere, con riferimento alle biotecnologie, clamorosi “errori”: basti ricordare l’“incidente” costituito dalla decisione dell’Ufficio europei dei brevetti (UEB)[19] di concedere all’Università di Edimburgo, in data 8 dicembre 1999 (n. EP 0695351), un brevetto concernente «method of preparing a transgenic animal», ove, nell’inglese scientifico, il termine «animal» può applicarsi anche agli esseri umani. Questa decisione è apparsa in contrasto con lo stesso Regolamento di esecuzione della Convenzione di Monaco, il quale esclude la possibilità di concedere brevetti «in respect of biotechnological inventions wich … concern … processes of cloning human beings»[20], tanto da indurre lo stesso UEB a rilasciare una dichiarazione in cui affermava di essere incorso in errore (sic!) e che, pur non rientrando nei suoi poteri la rettifica del brevetto ormai accordato[21], l’ambito della protezione accordata non poteva ritenersi esteso alla clonazione umana[22].

 

5. Esaminati brevemente gli strumenti giuridici destinati a rafforzare, sul piano universale, la tutela dei diritti fondamentali alla luce degli sviluppi scientifici e tecnologici (la Convezione di Oviedo e la Dichiarazione dell’UNESCO), è possibile ora ricordare, sul piano del diritto comunitario, che la Comunità europea segue da tempo le problematiche collegate o conseguenti agli sviluppi della biologia molecolare ed all’applicazione delle tecniche di ingegneria genetica, come dimostra l’adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata solennemente, a Nizza, dai presidenti di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione il 7 dicembre 2000 (anche se, per il momento, sprovvista di efficacia giuridica vincolante)[23].



Per quanto concerne gli aspetti di maggior rilievo in questa sede, è anzitutto significativo rilevare che, al punto 2 del Preambolo, l’Unione europea dichiara di porre «la persona al centro della sua azione» e di basarsi sui principi della libertà, della democrazia e dello stato di diritto, già posti a fondamento dell’Unione medesima dai Trattati di Maastricht e di Amsterdam[24]. A tali principi, il Preambolo della Carta aggiunge un riferimento ai valori della dignità umana, dell’uguaglianza e della solidarietà, espressamente qualificati «indivisibili e universali» nella consapevolezza del «patrimonio spirituale e morale» dell’Unione[25]. Altra importante affermazione di principio è quella contenuta nell’art. 1, che sancisce l’inviolabilità della dignità umana.

E’ poi significativo rilevare che l’art. 3 della Carta riconosce il diritto all’integrità fisica e psichica di ciascun individuo nei confronti delle applicazioni della medicina e della biologia[26]. Tale diritto è garantito, oltre che dal tradizionale strumento di tutela dell’autonomia individuale in campo medico (il consenso libero ed informato), da una serie di divieti: di pratiche eugenetiche selettive, di clonazione riproduttiva di esseri umani e di trarre fonte di profitto dal corpo umano e dalle sue parti. Si noti che il divieto di «pratiche eugenetiche … aventi come scopo la selezione delle persone», nonché il divieto di «clonazione riproduttiva di esseri umani», sono stati così formulati per recepire le proposte del Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie contenute nel documento Droits des citoyens et nouvelles technologies: un defi lance a l’Europe, Rapport sur la Charte des droits fondamentaux en relation avec l’innovation technique demandé par le President Prodi le 3 février 2000, Bruxelles, 23 mai 2000.

Grande importanza riveste anche l’art. 21 della Carta, che vieta qualsiasi forma di discriminazione, tra cui quelle fondate sulle caratteristiche genetiche dell’individuo. Tale divieto si ricollega, con tutta evidenza, a quello sancito dall’art. 13 del Trattato di Roma, introdotto ex novo dal Trattato di Amsterdam, che attribuisce al Consiglio dell’Unione la competenza per adottare i provvedimenti volti a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza e l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. E’ agevole intuire, infatti, che la disposizione in parola costituisce la cornice ideale entro cui ricondurre un futuro divieto convenzionale di “discriminazione genetica”, tenendo anche conto, in prospettiva, dell’esigenza di recepire nel corpus dei Trattati i contenuti della Carta dei diritti fondamentali[27].

 

6. Il vertiginoso progresso della tecnica costituisce una realtà alla quale occorre responsabilmente porsi e confrontarsi. La tecnica moderna, a differenza di quanto avveniva in passato, non mira a raggiungere un punto di equilibrio, ma diventa l’occasione per passi ulteriori. Oggi l’innovazione scientifica e lo sviluppo tecnologico si diffondono velocemente nel mondo intero, anche in forza del c.d. processo di globalizzazione e delle interconnessioni individuali, suscitando preoccupazioni e incertezze per quanto concerne sia l’oggi che il futuro delle nuove generazioni.



Particolarmente significativo è quindi il risveglio di una riflessione etica intorno alla vita umana, con la nascita e lo sviluppo della bioetica, che favorisce la riflessione e il dialogo tra credenti, anche di diverse religioni, sui problemi etici fondamentali concernenti la vita dell’uomo. Come ha affermato Giovanni Paolo II nell’Evangelicum Vitae, occorre altresì mobilitare e formare le coscienze di tutti per arrivare ad un comune sforzo etico volto a costruire una nuova cultura della vita. Nuova perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell’uomo, nuova perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani, nuova perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti.

Suscitare, sostenere, addirittura fondare un sentimento per la umanità è dunque un importantissimo compito educativo ed intellettuale per il mondo di domani[28].

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