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Juan de dios vial correa elio sgreccia libreria editrice vaticana


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Anche nell'analisi dei rischi-benefici, nelle misure per limitare o evitare i rischi, nei criteri per la sospensione o l'interruzione della partecipazione dei soggetti, in tutti quegli aspetti in cui è assolutamente necessaria una competenza tecnica specialistica sarà il parere dei membri "tecnici" ad assumere un rilievo fondamentale, mentre i membri con competenze non medico-scientifiche saranno chiamati a porre particolare attenzione agli aspetti etici, legali, ma anche psicologici, per l'impatto che la sperimentazione può avere sulle persone partecipanti (ad esempio, valutando se la partecipazione alla sperimentazione condizionerà eccessivamente situazioni già difficili o precarie dovute alla patologia) ma anche sulla comunità locale.

Ampio spazio deve essere dato nelle procedure alle modalità di revisione della informazione e della dichiarazione di consenso dei soggetti. Per questo elemento del protocollo, spesso carente, il CER potrebbe redigere una guida per lo sperimentatore affinché le schede di informazione e consenso presentate per l'approvazione contengano almeno gli elementi di eticità previsti dalla normativa e dalle linee guida internazionali. L'ampiezza e completezza dell'informazione non è condizione sufficiente, da sola, di eticità: occorre tenere conto delle diversità culturali e soggettive, quindi porre attenzione alla chiarezza e scorrevolezza del testo[38], alla comprensibilità dei termini, alla caratterizzazione del linguaggio (né terroristico, né persuasivo).

Oltre a quelli propri del protocollo, altri aspetti da prevedere nelle procedure di valutazione della sperimentazione sono: l'idoneità del ricercatore, in relazione alla sua qualificazione ed esperienza, e della sede, gli oneri economici che non devono gravare sulla struttura, l'adeguatezza della supervisione medica e del follow-up dei soggetti e la polizza assicurativa.

Tutti questi elementi devono essere vagliati prima della formulazione del parere, che dovrebbe seguire un metodo ben definito ed uniforme. È certamente auspicabile che il CER emetta un parere che esprima il più ampio consenso o dissenso dei membri, anche se, qualora l'accordo sarà improbabile, dovrà essere previsto il voto e la decisione a maggioranza (due terzi dell'assemblea) e la possibilità per i dissenzienti di aggiungere la loro opinione. Il parere, se sub conditione, deve specificare i requisiti da acquisire, e se negativo deve essere supportato da chiare motivazioni.

Nelle procedure di comunicazione del parere deve essere sottolineata la necessità di esprimersi in modo chiaro e inequivocabile sull'esito della valutazione. A questo proposito vi sono precise indicazioni nelle ICH-GCP, che devono essere riprese nelle procedure del CER. Anche per questa procedura il CER può predisporre un modulo standard per il parere scritto con tutti i punti che devono essere presenti: titolo e data della sperimentazione, i documenti esaminati, il nome e le qualifiche dei componenti, l'esplicitazione della decisione raggiunta, eventuali prescrizioni vincolanti per il parere positivo, eventuali raccomandazioni aggiuntive, le motivazioni del parere negativo o di sospensione. È importante - anche per dare un contributo al miglioramento della qualità della ricerca clinica - fornire tutti elementi di critica che hanno condotto a un parere negativo, e che potrebbero essere successivamente considerati e corretti in vista di una nuova presentazione.

L'emanazione del parere, dopo l'approvazione della sperimentazione, non conclude i compiti di revisione del CER: perciò, dovranno essere previste dal CER anche delle procedure che permettano di eseguire delle verifiche periodiche sull’andamento della sperimentazione fino alla sua chiusura formale. Tali verifiche, che richiederanno una segreteria efficiente per l’aggiornamento della documentazione nel corso dello studio e per lo scadenzario, riguardano essenzialmente, oltre al follow-up dello studio, gli emendamenti, la valutazione degli eventi avversi seri, la chiusura dello studio. Le verifiche dovrebbero essere ancora più accurate soprattutto per quegli aspetti che possono avere conseguenze sulla sicurezza dei soggetti. Perciò il CER ha il compito di valutare con rigore anche tutte le notifiche che possono pervenire da altri CER o da altri centri di sperimentazione, e rinnovare o ritirare l’approvazione già espressa sul protocollo.

Oltre alle procedure per un’idonea registrazione e archiviazione della documentazione, dei pareri sulle sperimentazioni e dei verbali e della corrispondenza del CER, che potranno essere sottoposti alle verifiche delle autorità regolatorie o di altri che potranno accedere, secondo le modalità precedentemente stabilite, un’ultima considerazione va fatta sulle procedure di revisione dell’attività ed efficienza del CER stesso (la verifica annuale della periodicità delle riunioni, il numero di protocolli esaminati, il tempo di attesa per il parere, la necessità di sostituire qualche componente o di inserire delle nuove competenze, ecc.). Il CER dovrebbe, infatti, avere in se, grazie alla presenza al suo interno di figure qualificate professionalmente e moralmente, all’adeguata presenza di membri esterni alla struttura, alle competenze multidisciplinari e nel perseguimento di un continuo miglioramento della qualità del proprio lavoro, un forte stimolo all’auto-critica e un impegno per la revisione delle proprie procedure operative e delle attività svolte.

 

 CONCLUSIONI: DARE FIDUCIA MA VERIFICARE



 

Sebbene il sistema di revisione dei CER sia radicato sulla fiducia nei ricercatori, collaborando con loro e presupponendo le loro migliori intenzioni, vin sono però importanti responsabilità da parte del CER di verificare che le intenzioni di proteggere i soggetti di ricerca siano in pratica messe in atto. Riportando i risultati di alcuni anni di ispezione agli IRB, un ispettore dell’FDA, George Grob, ha fornito una serie di interessanti osservazioni che possono servire per capire in quale direzione dovrebbero muoversi tali organismi di revisione della ricerca e quale trasformazione dovrebbero, dunque, avere.[39]

Grob rileva che vi sono almeno sei elementi principali che contraddistinguono l’attuale situazione degli CER:

1) In passato la ricerca era condotta per lo più in singole istituzioni universitarie e ospedaliere, da parte di un singolo ricercatore, con un piccolo numero di soggetti, per cui i CER avevano un minor carico di lavoro e più tempo per esaminare attentamente i protocolli e valutarne i rischi. Oggi, la ricerca è condotta spesso da sponsor commerciali, che premono per avere subito l’approvazione da parte dei CER, trattandosi di studi multicentrici, e vedono di cattivo occhio le loro richieste di modifiche di tali protocolli. A ciò si aggiunga che la ricerca riguarda spesso dati genetici e che vi è una forte pressione da parte degli stessi potenziali soggetti di ricerca ad entrare in uno studio, per cui i CER devono accertarsi che vi sia un’adeguata informazione che assicuri la comprensione dei soggetti della differenza tra ricerca e trattamento.

2) Sebbene il monitoraggio della ricerca dopo l’approvazione costituisca un mezzo importante per proteggere i soggetti partecipanti, l’enorme mole di lavoro impedisce ai CER di esercitare tale ruolo, dedicando in genere solo pochi minuti nel corso della riunione.

3) La stessa numerosità dei protocolli da rivedere, e dunque la necessità di fare presto per esaminarli tutti, rappresenta un motivo di poca attenzione e di superficialità nella valutazione, rinunciando spesso a convocare un esperto nel settore specifico di ricerca.

4) Né i CER né gli organismi governativi pongono molta attenzione alla necessità di valutare l’efficacia del lavoro dei CER: migliora effettivamente la modalità di informazione ai fini del consenso? I soggetti di ricerca hanno effettivamente ricevuto il meglio nella loro condizione? I CER hanno controllato se le modifiche da loro richieste sono state effettivamente attuate?

5) Spesso, molti dei membri del CER hanno interessi di diversa natura relativamente al protocollo che essi sono chiamati a valutare e spesso ci sono pochi membri esterni alla istituzione a garantire l’imparzialità del parere.

6) I CER e le istituzioni di appartenenza forniscono troppo poco aggiornamento e formazione ai ricercatori e ai componenti stessi del CER.

In conseguenza di questi rilievi viene perciò raccomandato che i CER rivedano le loro procedure operative e tutto il loro lavoro al fine di ovviare alle carenze riportate e migliorare sempre di più la protezione per i soggetti di ricerca, nonché il valore e la validità scientifica della ricerca stessa. Si inserisce a questo punto il recente dibattito che si è sviluppato riguardo al significato che hanno le sempre più numerose linee guida emanate nell’ambito della sperimentazione sull’uomo in generale. Richiamando i termini della questione, Jonathan Moreno[40] ha evidenziato come all’inizio del XX secolo le linee guida sulla sperimentazione, compresa la Dichiarazione di Helsinki, si basassero sostanzialmente sulla discrezione del ricercatore. Con il tempo, però, si è andati sempre più verso un’imposizione dall’esterno degli elementi etici che devono essere salvaguardati nella ricerca. Si sarebbe passati, cioè, attraverso tre diversi gradi di protezione: 1. debole: tutto veniva affidato alle qualità morali (virtù) del ricercatore; 2. moderata: le virtù personali erano importanti ma non erano considerate sufficienti, per cui si cominciò a richiedere il rispetto di alcune linee-guida; 3. forte: la protezione è stabilita per legge ma manca l’incentivazione per il ricercatore ad esercitare le sue virtù.



La domanda di Moreno è: siamo sicuri che aumentare la protezione da parte di enti esterni sia il modo migliore per condurre eticamente la ricerca? Con una protezione forte, infatti, sembrerebbe che i soggetti siano più tutelati, ma nella realtà i codici etici, le linee-guida, il consenso informato, i Comitati Eticisono solo punti di partenza, certamente irrinunciabili, ma che non sostituiscono la coscienza etica del ricercatore, che è la migliore garanzia di sicurezza per i soggetti di ricerca. Ed è alla formazione di questa coscienza che deve puntare anche il CER il quale non può rinunciare alla sua funzione pedagogica nei confronti dei ricercatori.

[1] Foster C., Research Ethics Committeesin Chadwich Ruth (ed.) Encyclopedia of Applied Ethics, London: Academic Press 1998, 3: 845-852.

[2] Jonsen A.R.The Birth of Bioethics, New York: OxfordUniv.Press; 1998: 125-165

[3] Spagnolo A.G., voce Bioetica, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia), Urbaniana University Press, Roma 2002 pp. 196-214.

[4] Beecher H.K., Ethics and clinical research, The New England Journal of Medicine 1966, 274(24): 1354-1360.

[5] Pappworth M.H., Human guinea pigs, Beacon Press, Boston 1967.

[6] Evans D., Evans M., A decent proposal. Ethical review of clinical research, J. Wiley & Sons, Chichester 1996, p. 2.

[7] Volmann J., Winau R., The Prussian regulation of 1900: early ethical standards for human experimentation in Germany, IRB, 1996, 18(4): 9-11; Sass H.M., Reichsundschreiben 1931: pre-Nuremberg German Regulation concerning new therapy and human experimentation, J. Med. Philos., 1983, 8(2): 99-111.

[8] Spagnolo A.G., Minacori R., Il consenso informato alle sperimentazioni mediche prima e dopo Norimberga.In: A, Tarantino e R. Rocco (a cura di), Il processo di Norimberga a Cinquant'anni dalla sua celebrazione (Atti del simposio internazionale, Lecce 5-7 dicembre 1997), Giuffrè Editore, Milano 1998, pp. 173-191.

[9] Lipsett M.B., Fletcher J.C., Secundy M., Research Review at NIH, HastingsCenter Report, 1979, 9(1): 18-21.

[10] Foster, Research Ethics Committees, p846.

[11] Curran W., Governmental Regulation of the Use of Human Subjects in Medical Research: The Approach of Two Federal Agencies, in Freund P.A. (ed.), Experimentation with Human Subjects, George Braziller, New York 1970, pp. 402-454.

[12] National Research Act Public Law 93-348, July 12, 1974

[13] U.S. National Commission for the Protection of Human Subjects of Biomedical and Behavioral ResearchInstitutional Review Boards, DHEW Publication No. (OS) 78-0008, Washington 1978.

[14] The National Commission for the Protection of Human Health Subject of Biomedical and Behavioral Research: The Belmon Report: Ethical Principles and Guidelines for the Protection of Human Subject of Research.U.S. Office for Protection from Research Risks (OPRR), National Institutes of Health (NIH), Public Health Service (PHS), Human Health Service (HHS). Washington, D.C., 1979.

[15] Come è noto, tali principi vennero poi estesi da Beauchamp e Childress dall’ambito limitato della sperimentazione sull’uomo a tutti i campi della bioetica (cfr. Spagnolo A.G., I principi della bioetica nord-americana e la critica del “principlismo”, Camillianum 1999, 20: 225-246.)

[16] Supervision of the Ethics of Clinical Investigations in InstitutionsReport of the Committee appointed by the Royal College of Physicians of London, Br. Med. J., 1967, 3, 429-430.

[17] Royal College of Physicians of London,Guidelines of the Practice of ethics Committees in Medical Research, London 1984.

[18] National Commission for The Protection of Human Subjects of Biomedical and Behavioral Research, Report and Recommendations: Institutional Review Boards, Publication n. (OS) 78-0008. Washington D.C: Department of Health, Education and Welfare.

[19] Medical Research Council of Canada, Guidelines on Research Involving Human Subjects, Ottawa 1987.

[20] Viafora C., Comitati etici: la bioetica all'interno delle istituzioni sanitarie, in A Bompiani (a cura di ), Bioetica in medicina, CIC Edizioni internazionali, Roma 1996: 434-450.

[21] Herranz G., Il Comitato centrale di deontologia spagnolo, in Spinsanti S. (a cura di), I comitati di etica in ospedale, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988: 141-148.

[22] Spagnolo A.G., Bignamini A.A., De Franciscis A., I Comitati di Etica fra linee-guida dell'Unione Europea e decreti ministeriali, Medicina e Morale 1997, 6: 1059-1098.

[23] Levine R.J., Ethics and Regulation of Clinical Research, 2d ed., Urban and Schwarzenberg, Baltimore 1986.

[24] Levine C., Has AIDS Changed the Ethics of Human Subjects Research?, Law, Medicine and Health Care, 1988, 16(3-4): 167-173.

[25] L'accesso all'aborto negli Stati Uniti, dopo la sentenza Roe versus Wade del 1973, è stato riconosciuto come diritto di privacy della donna, e quindi sottratto al controllo dei comitati.

[26] US President's Commission for the Study of Ethical Problems in Medicine and Biomedical and Behavioral Research,Deciding to Forego Life-Sustaining Treatment, US Government Printing Office, WashingtonDC 1983.

[27] International Conference on Harmonisation of Technical Requirements for Regulation of Pharmaceuticals for Human Use, Tripartite guidelines for good clinical practice, International federation of Pharmaceutical manufacturers Association, Geneva 1996.

[28] Cfr. A.G. Spagnolo - D. Sacchini - G. Torlone - A.A. Bignamini, Il laboratorio del Comitato Etico. Istituzione e procedure operative standard, Medicina e Morale, 1999, 2: 221-263.

[29] World Health Organization, Operational Guidelines for Ethics Committees That Review Biomedical Research, Geneva 2000.

[30] Ad esempio, la Carta per gli Operatori Sanitari, emanata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari o le Ethical and Religious Directives for Catholic Health Care Services.

[31] Ministero della Sanità, Decreto Ministeriale 15 luglio 1997, Recepimento delle linee guida dell'Unione europea di buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale, suppl. ord., 18 agosto 1997.

[32] European Forum for Good Clinical Practice, Guidelines and Recommendations for European Ethics Committees, revised edition 1997; pubblicata anche nella traduzione in italiano su Medicina e Morale, 1998, 5:1037-1057.

[33] In Italia, i CER “dovrebbero preferibilmente includere: due clinici, un biostatistico, con documentata esperienza e conoscenze sui trias clinici randomizzati, un farmacologo, e, come componenti ex officio, un farmacista, il direttore sanitario o il direttore scientifico della struttura stessa e un esperto in materia giuridica; gli altri componenti dovrebbero avere qualifiche e competenze in medicina generale, bioetica, settore infermieristico, volontariato (Ministro della Sanità, Decreto 18.3.1998 Linee guida di riferimento per l’istituzione e il funzionamento dei comitati etici, gazzetta ufficiale della repubblica italiana, serie generale, n.122, 28.5.1998).

[34] É quanto raccomanda, ad esempio, per l’Italia il DM del 18.3.1998: “È opportuna una significativa presenza di componenti non dipendenti dalla istituzione che si avvale del Comitato e di componenti estranei alla professionalità medica e alle professionalità tecniche correlate. L’esigenza di rendere manifesta l’assoluta imparzialità dell’organo richiede, inoltre, che la presidenza del Comitato venga preferibilmente affidata a componente non dipendente dalla istituzione”.

[35] Tale evenienza viene esplicitamente enunciata nella situazione italiana, ad esempio, nel DM del 18.3.1998.

[36] La stessa OMS successivamente al documento Operational Guidelines ha emanato un nuovo documento che si propone di fornire delle linee-guida su come valutare le pratiche di revisione etica da parte dei CER (WHO, Surveying and Evaluating Ethical Review Practices. A complemetary guideline to the Operational Guidelines for Ethics Committees that review biomedical research, Geneva, February 2002). E contemporaneamente, l’European Forum for Good Clinical Practice ha fornito le European Guidelines for Auditing Independent Ethics Committees, EFGCP 2002, www.efgcp.org)

[37] World Health Organization, Operational Guidelines for Ethics …, n. 6.3.

[38] Berto D., Peroni M., Milleri S., Spagnolo A.G., Evaluation of the readability of information sheets for healthy volunteers in phase-I trialsEur. J. Clin. Pharmacol 2000, 56: 371-374.

[39] Grob G., Institutional Review Boards:a time for reform, US Department of Health and Human Services, Office of Inspector General, 1998.

[40] Moreno J.D., Goodbye to all that. The end of moderate protectionism in human subjects research. HastingsCenter Report 2001; 31(3): 9

JUAN DE DIOS VIAL CORREA
L’ETICA DELLA SPERIMENTAZIONE SUGLI ANIMALI

Gli animali sono stati spesso maltrattati fino alla crudeltà. Capita spesso che la caccia, le guerre, la nostra necessità di nutrimento e di sperimentazioni, la manipolazione industriale, ecc. siano andate ben oltre ogni limite ed abbiano procurato estreme ed inutili sofferenze agli animali, per non parlare della estinzione di alcune specie animali, del degrado dell’ambiente e dell’impoverimento di tutte le vite, inclusa ovviamente quella umana.

La biologia sperimentale si è sviluppata prima che fossero conosciuti anche i più rudimentali metodi di anestesia. Per fare solo un esempio particolarmente incisivo, il ruolo fisiologico del dolore localizzato nella zona delle fibre nervose delle radici posteriori, fu stabilito in sperimentazioni su animali non anestetizzati, che fece sottolineare a Müller[1]: “Diese Versuche sind bei hoheren Thieren die grausamsten die man erdenken kann”. Le condizioni di custodia degli animali sono state spesso pessime e nella maggior parte dei casi sembra che il nutrimento ed il mantenimento generale sia stato tenuto allo stretto necessario per assicurare risultati sperimentali attendibili. Comunque, dal XIX secolo in poi, sono stati fatti grandi sforzi in molti paesi per prevenire la crudeltà sugli animali, non solo nella vita di tutti i giorni ma sempre di più negli animali utilizzati per le sperimentazioni. Gli ovvi vantaggi arrecati dall’utilizzazione degli animali (nella sperimentazionea salvaguardia della vita e della salute degli esseri umani; il risparmio in termini di costi e di tempi per la ricerca), sono stati sempre più bilanciati rispetto alle sofferenze inflitte. Come conseguenza sono state applicate regolamentazioni più forti ed è stata fatta maggiore attenzione, nello stesso momento in cui è stato fatto il possibile per spiegare all’opinione pubblica (l’opinione pubblica in generale, i legislatori ed i media) la necessità di ricorrere alla sperimentazione animale.

Comunque lo sviluppo delle biotecnologie pone nuovi interrogativi e un nuovo accento sulla sperimentazione animale. La clonazione a scopo industriale e gli xenotrapianti possono essere citati tra gli aspetti che hanno suscitato notevoli interessi. Anche l’ambito più generale della manipolazione genetica, degli animali transgenici, ecc. merita di essere preso in considerazione.

Anche solo per una maggiore consapevolezza sociale, siamo oggi ad un punto in cui lo statuto etico degli animali da sperimentazione deve essere preso in considerazione in maniera più approfondita rispetto al passato.

L’etica riguarda “il perchè” delle azioni umane, in risposta alla domanda “cosa dobbiamo fare”?

Alla base di ogni giudizio etico[2] risiede una esperienza morale che è paragonabile ad un dato empirico appreso dalla ragion pratica. L’azione può essere giudicata come approvata all’interno della mia tradizione, esperienza, ad una prima considerazione e ad un primo approccio, in breve potrei sentirmi inclinato all’azione. Un passo successivo corrisponde all’intelligenza che raffinerà questo giudizio e cercherà di identificare che cosa è che attira, quali sono i valori positivi, quali gli aspetti della realtà percepita che richiedono la mia approvazione. Questo sforzo porterà anche all’identificazione dei valori negativi, nel senso che attraggono in quanto realtà fallaci. Il giudizio attraverso l’inclinazione viene così trasformato in un giudizio di valore.

Questo approccio è più vicino ad una saggezza pratica che ad un ragionamento discorsivo e richiede un’apertura al bene della realtà, ad es. una disposizione a lasciarsi attrarre o diventare desideroso della pienezza dell’essere. Quando questa disposizione è profondamente radicata, l’azione fluisce dalla nostra esperienza. Questa propensione dell’anima verso le azioni giuste è ciò che intendiamo con il termine “virtù”.

Nel caso dell’atteggiamento da tenersi verso gli animali, noi avvertiamo l'inclinazione a prenderci cura di loro, a rispettarli e anche ad amarli. La crudeltà o la trascuratezza gratuita verso gli animali suscita, d’altra parte, sentimenti di disapprovazione. Se sottoponiamo questa “inclinazione” ad una analisi più sottile, scopriamo motivazioni biologiche, psicologiche e culturali che stanno alla base di tale sentimento e lo rafforzano. Scopriamo “valori” in certi atteggiamenti nei confronti degli animali.

Allargano la prospettiva ad altri ambiti della nostra esperienza, ci accorgiamo di situazioni che hanno a che fare con il nostro rapporto con gli animali. Di questo tipo sono gli atteggiamenti verso gli animali selvatici, o anche gli esseri viventi in generale. Scopriamo un valore nella multiforme realtà che chiamiamo “vita”, e percepiamo che ciascuna delle sue manifestazioni lancia una particolare sfida al comportamento dell’uomo. Questo è strettamente connesso alla scoperta che in qualche modo siamo legati ad ogni vita e che dipendiamo dalla vita per vivere.

Comunque al livello dell’analisi dei valori, la questione del maltrattamento degli animali è diventata profondamente connessa con alcune delle questioni filosofiche e scientifiche più urgenti e dibattute del nostro tempo, cioè quelle che riguardano la vita in generale e l’ambiente. Il giudizio pratico e la ricerca di valori sono sostituiti da argomentazioni ideologiche. In questa prospettiva si tratta di offrire una spiegazione razionale circa le relazioni fra l’uomo, la vita e l’ambiente.Particolarmente pressante è la richiesta di fondazione per un'etica del comportamento umano rispetto agli esseri viventi (ed in minor misura rispetto ai non-viventi). “L’etica dell’ambiente” ed anche la "filosofia dell’ambiente" stanno diventando argomenti di ampia discussione negli ambienti scientifici soprattutto fra le generazioni più giovani. Anche se non è questo il contesto per una trattazione sistematica dell’argomento, può essere utile parlarne brevemente a causa di un crescente consenso basato suposizioni completamente incompatibili con l’etica Cristiana.

Un giudizio di valore richiede una delucidazione sullo statuto dell’animale e degli esseri viventi più in generale. Questo è reso più urgente dal momento che sia negli ambienti scientifici, sia nell’opinione pubblica ferve una corrente culturale che interpreta l’esistenza dell’uomo come un prodotto dell’evoluzione biologica nell'ambito di una visione totalmente materialistica. In questa concezione ampiamente diffusa, non possono essere a rigore invocate differenze qualitative per distinguere l’uomo dal resto delle cose viventi. Non ci sono dubbi che in questo modo la specifica dignità dell’uomo risulta soppressa, e che il risultato finale non consista tanto nel dare maggiore dignità agli animali, quanto nel ridurre quella dell’uomo.

La storia dell’evoluzionismo materialistico getta una luce sul significato di alcune delle presenti considerazioni sullo statuto degli animali. Durante il XIX secolo l'insorgere del materialismo trovò un potente appoggio nell’idea della selezione naturale come il meccanismo che guida la differenziazione nel mondo degli esseri viventi. Il carattere graduale e non finalistico dell’evoluzione sembrò essere in armonia con la radicalità della interpretazione materialistica della realtà. I Primati non umani, non venivano più visti come qualitativamente differenti dagli uomini, e questo pose le basi per una nuova e probabilmente più alta considerazione della condizione degli animali. Spesso si trascura il fatto che questa pretesa rivalutazione degli animali nella prospettiva dell’evoluzione in realtà è accompagnata da una svalutazione della condizione umana. Questo era comunque perfettamente chiaro ai grandi apologisti dell’evoluzione monistica e materialistica nel XIX secolo. Ernst Haeckel, insigne biologo tedesco, così afferma: "[pensiero e razionalità] si trovano certamente nei vertebrati superiori, soprattutto nei mammiferi placentati, la classe da cui è derivato l’uomo. Il grado di coscienza dei primati, dei cani, degli elefanti ecc., differisce da quella degli uomini soltanto per grado, non qualitativamente, ed il grado di coscienza che separa questi placentati “razionali”, dalla più bassa razza degli uomini ( i Vedda ecc.,), è minore del corrispondente intervallo tra le razze non civilizzate ed i più alti modelli di profonda umanità ( ad es. Spinoza, Goethe, Lamarck, Darwin ecc.)…”[3] ( E’ ben noto che idee come queste hanno ispirato crudeli sperimentazioni etnologiche, come lo erano le esposizioni degli indiani del sud America nei musei e nei giardini zoologici in Europa. Inoltre esse hanno avvalorato l’idea che qualsiasi specifica considerazione dello statuto dell’uomo sia insostenibile).[4]

Una delle tesi più influenti proposte in questa prospettiva è espressa nella massimadi Peter Singer“Tutti gli animali sono uguali”, in cui naturalmente s’intende comprendere gli uomini tra gli animali. [5]

Un approccio utilitaristico verso gli animali richiederebbe quindi l’identificazione di un “interesse comune” che dovrebbe essere ugualmente considerato per tutti e per ciascuno individuo. Singer respinge come sostanzialmente irrilevante l’usuale confronto fra gli animali sulla base del loro potere cognitivo e adotta l’idea di Jeremy Bentham secondo cui la domanda realmente rilevante rispetto agli animali- se ci si sta interrogando circa la bontà del trattamento cui sottoporli -, è “..possono soffrire?” [6] .

Sembra ovvio che gli animali possano soffrire e che reagiranno con forza contro qualche forma di dolore o sofferenza. Ma sembra che non ci siano valide ragioni per equiparareil loro “tipo” di sofferenza con quella degli uomini, inestricabilmente collegata con riverberi di tipo cognitivo e morale. Sembra che le valutazioni di Singer implichino un antropomorfismo infondato.

Singer ha presentato un caso eloquente contro l’uccisione degli animali sia in vista del nostro sostentamento, sia a scopi scientifici, così come in rapporto alle crudeli condizioni di allevamento. Secondo questa prospettiva gli animali considerati individualmente sono assimilati agli esseri umani, senza che risulti un particolare interesse nella difesa delle specie. La valutazione si focalizza solo sui singoli animali e sulle loro sofferenze.

Questa posizione è stata aspramente messa in discussione, tra gli altri, da Regan [7] . Egli sostiene che l’uguaglianza della condizione non è logicamente seguita da nessun dovere di equità di trattamento, ed inoltre che sarebbe normalmente impossibile fare una valutazione attendibile di ciò che è bene e male rispetto ad una qualsiasi azione sugli animali. Se non è garantito nessun diritto assoluto su nessuno, sarebbe giusto che la sofferenza di uno possa essere un mezzo perfettamente accettabile per assicurare il benessere di un numero più grande. Regan afferma che le deficienze dell’etica utilitarista in difesa degli animali possono essere superate solo dal riconoscimento dei diritti del singolo animale.

Entrambe queste posizioni hanno in comune l'assimilazione dello statuto degli animali, considerati individualmente, con quello degli uomini.

Queste posizioni devono essere distinte rispetto ad altre teorie filosofiche che pongono l’uomo come uno dei tanti elementi integrati nel complesso degli esseri viventi ( e non viventi). Di questo tipo è l’etica della terra di Leopold[8] e la “deep ecology” di Naess[9] e altri. Questi approcci olistici non hanno una relazione diretta con il trattamento degli animali, proprio perché la sofferenza è una parte del corso naturale della vita di ogni animale. E’ comunque importante ricordarli in questo momento per due ragioni principali. Prima di tutto essi sono il retroterra culturale dell’etica relativa agli interventi sulla Natura dei nostri giorni; ed in secondo luogo essi condividono con l’etica sopra citata di Singer e Regan la prospettiva che per principio depriva l’uomo di ogni speciale considerazione. Il pensiero di Leopold esige che la considerazione morale sia estesa alle categorie che sono state tradizionalmente escluse, e comincia a tracciare un percorso verso la valorizzazione di un equilibrio dell’ecosistema.Naess (ibid) va oltre, sottolineando le relazioni biologiche piuttosto che quelle individuali che sono viste come subordinate ad una rete d’interazioni.

Nonostante i loro pregiudizi depersonalizzanti, le etiche fondate sulla Natura sono di un certo interesse per il fatto che esse rappresentano un tipo di reazione contro le etiche prevalenti, soprattutto quelle di tendenza utilitaristica. La Natura non è vista come un oggetto da depredare attraverso lo sfruttamento tecnologico. Se l'aspetto positivo di queste etiche della natura è di regolare l’azione dell’uomo, questo significa che si stanno riscoprendo da molti valori oggettivamente buoni, nonostante il fatto che questi valori sembrano essere grossolanamente distorti, ed esasperati.

Autori come Singer e Regan cercano quindi di estendere agli animali- almeno agli animali superiori- la specifica dignità conferita agli uomini, mentre l’approccio ecologico integra l’uomo nell'insieme della natura, le cui leggi comprendono quelle di ogni essere vivente.

Di conseguenza, mentre secondo la prospettiva di Singer la sofferenza dell’animale è un male da minimizzare, in quella di Leopold, questafa parte integrante dellecomplesse dinamiche della vita.

L’approccio di Singer porta con sé il segno delle sue radici individualistiche ed inevitabilmente va contro l’approccio olistico.

Le prospettive utilitaristiche ed olistiche sono deformazioni di sistemi di valore che richiedono di essere integrati in una rinnovata prospettiva antropocentrica, e che spaziano dalla compassione per gli animali e la ripugnanza per lesofferenze inflitte loro inutilmente, alla partecipazione dell’uomo nell’insieme della vita della terra.

Per quanto distanti da una prospettiva Cristiana, tutte queste etiche suggeriscono un rispetto per la vita più profondamente radicato. E’ il valore della vita in se che emerge da questeconfuse "fondazioni filosofiche". Sottoforma del rispetto della vita emerge una nuova consapevolezza del fatto che esistano atteggiamenti ed azioni che sono oggettivamente giuste o sbagliate. Il ruolo della Natura tende a supplire quello dello stesso Dio, ma in questo modo si richiede inevitabilmente un'indagine più approfondita sul significato della vita umana. Questo atteggiamento indica l'affermarsi di una sorta di “religione naturale” che esige l'abbandono del ruolo autocratico ed ateo tanto spesso assunto dall’uomo[10].

La Bibbia presenta una prospettiva ben diversa da quella di qualsiasi “religione naturale”. L’uomo è stato creato ad immagine di Dio, con il mandato, ricevuto dal suo Creatore, di soggiogare e di dominare la terra[11]. All’uomo era stato affidato l’intero Creato sapientemente disposto dall’onnipotenza di Dio[12]. La creazione era stata considerata da Dio come "cosa buona"[13] ed il potere conferito all’uomo non poteva essere interpretato come il diritto di spadroneggiare e depredare, quanto di adempiere ad un mandato che “ riflette l’azione stessa del Creatore dell’universo”[14]. Il volere di Dio è riaffermato nella Genesi quando l’uomo è posto nel Giardino dell’Eden per coltivarlo e custodirlo[15]. L’uomo è responsabile della creazione di Dio nei confronti dello stesso Dio.

I recenti sviluppi sperimentali, soprattutto quelli riguardanti la manipolazione del genoma hanno nuovamente portato alla luce il bisogno di una particolare attenzione verso gli animali sia per evitare inutili crudeltà nei loro confronti sia per evitare impatti dannosi sull’ambiente e causa di una incontrollata manipolazione del genoma. In particolare bisognerebbe essere attenti alle nuove questioni derivate dagli animali transgenici, animali il cui assetto genetico è alterato dalla introduzione di uno o più geni esogeni.In questo caso non è solo la condizione dell’animale sperimentale ad essere oggetto di particolare interesse, compresa la necessità di risparmiare inutili sofferenze, ma anche la condizione della progenie, l’attenzione ad evitare l’alterazione della biodiversità ed un possibile impatto sull’ambiente.

La Pontificia Accademia Per la Vita ha pubblicato un documento sugli xenotrapianti, che affronta anche i problemi etici della transgenesi e della sperimentazione sugli animali più in generale. Come afferma il documento: “…va riaffermato il diritto ed il dovere dell'uomo, su mandato del suo Creatore e mai contro l'ordine naturale da Lui stabilito, di agire sul creato e nel creato, anche servendosi di altre creature, per raggiungere il fine ultimo di tutta la creazione: la gloria di Dio e la realizzazione piena e definitiva del suo Regno, attraverso la promozione dell'uomo. Risuonano ancora in tutta la loro verità le parole di S. Ireneo di Lione: «L'uomo vivente è la gloria di Dio e vita dell'uomo è la visione di Dio» ” (Adv.Haereses,4,20,7)[16].

"L'uguaglianza tra animali e uomini” postulata da Singer, ed i “diritti degli animali” di Regan sono espressioni adoperate in un senso naturale e giustificabile, ma è solo nella specie umana che si possono trovare individui capaci di rendersi conto di esse e di aderire agli obblighi che potrebbero imporre. Analogamente, è solo l’uomo ad essere consapevole degli obblighi nei confronti della natura e questa consapevolezza lo pone in una posizione unica di fronte all’universo. L’uomo può sentirsi responsabile del sano ed armonioso sviluppo della vita, ma egli richiede a pieno titolo di essere il soggetto di diritti inviolabili. L’uomo trascende l’insieme degli esseri e tutte le analogie tra la sua condizione e quella degli altri esseri hanno un valore molto relativo.

Come afferma il documento sopra citato sugli Xenotrapianti (16) “...un semplice sguardo alla lunga vicenda umana sulla Terra è sufficiente per far emergere con tutta evidenza un dato inconfutabile: è l’uomo che, da sempre, governa le realtà terrene, gestendo gli altri esseri, viventi e non, secondo determinate finalità. In particolare, l’uomo si è sempre servito degli animali per i suoi bisogni primari (alimentazione, lavoro, vestiario, ecc.), in una sorta di «cooperazione» naturale che ha costantemente segnato le varie tappe del progresso e dello sviluppo della civiltà…”.

La coscienza di questa condizione potrebbe indurre erroneamente l’uomo a trasformare questa unicità in una relazione di dominio della Natura. La ragione umana condannerà comunque ogni crudeltà o inutile maltrattamento degli esseri viventi. “…il sacrificio degli animali può essere giustificato solo se richiesto dal raggiungimento di un bene rilevante per l'uomo…Tuttavia (in ogni) caso è eticamente richiesto che, nell'usare gli animali, l'uomo osservi alcune condizioni quali: evitare agli animali stessi sofferenze non necessarie, rispettare i criteri di vera necessità e ragionevolezza, evitare modificazioni genetiche non controllabili che possano alterare in modo significativo la biodiversità e l'equilibrio delle specie nel mondo animale. Dal punto di vista teologico e morale…si lasciano aperte le valutazioni sulla diversità di sensibilità tra animali di specie differenti…” (16).



L’appropriato rispetto nei confronti degli animali e l'attenzione ad evitarne inutili sofferenze sono atteggiamenti che aiutano a riconoscere lo splendore della vita e che, se inadempiuti, risultano degradanti ed autodistruttivi per l’uomo stesso. Allo stesso tempo chi si prende cura degli esseri viventi imita il Creatore al cui posto soltanto, l’uomo può agire per contribuire al progresso universale. Il prendersi cura della vita e degli esseri viventi è un modo di conoscere il debito dell’uomo verso Dio.
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