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ALCUNI CONTRIBUTI ORIGINALI DELL’ETICA CRISTIANA ALL’ERBM

 

Non si tratta di un argomento semplice. Per di più, una buona percentuale di pubblicazioni non è facilmente reperibile e, come già notato, molte di esse non trattano di erbm.

Nonostante queste difficoltà, il periodo pre-Norimberga appare un’età interessante e pacifica, in cui i problemi erano relativamente semplici e l’etica medica era coltivata soprattutto dalle persone che avevano profonde convinzioni religiose. Molti di essi erano cattolici. Per i teologi morali, come pure per i medici, le questioni di maggior interesse erano in gran parte quelle legate alla medicina pastorale, e in specifico quelle relative ai sacramenti della Chiesa, ai comandamenti o la sessualità umana. D’altra parte, i medici, i teologi e i moralisti, in quanto uomini del loro tempo, erano imbevuti di incertezza riguardo ai confini di separazione fra pratica e ricerca medica.

Mostrerò ora due interessanti scoperte, finora sconosciute alla letteratura bioetica. Una riguarda il rispetto per la persona dei soggetti di ricerca, nel contesto specifico della ricerca psicologica (non terapeutica), quale luogo di energico richiamo alla pratica del consenso informato. L’altra scoperta, che concerne la relazione fra scienza, società e individuo, è all’origine di un significativo argomento attualmente presente in molti documenti sull’erbm.

 
Un primo richiamo al consenso libero e informato

 

Nella tradizione cattolica, i medici e i pazienti, i ricercatori e i soggetti devono essere guidati da uno spirito di rettitudine morale, di amore fraterno, di sincerità e di libertà. Tutti sono ugualmente esseri umani ad immagine di Dio, dotati del medesimo valore, resi capaci dalla grazia divina di intessere una relazione con Dio diretta, personale e filiale.



Pertanto, si può dedurre che, nelle circostanze specifiche della sperimentazione biomedica, esistono alcune particolari relazioni del ricercatore e dei soggetti con Dio, relazioni plasmate sul rispetto per la dignità e la libertà delle persone che sono contemporaneamente fratelli e creature appartenenti a Dio. Privare l’essere umano della libertà e della responsabilità di decidere della propria salute e del proprio corpo, oppure accogliere o negare il suo consenso alla ricerca non rappresentano solo ripugnanti abusi, ma peccati, perché schiavizzano il prossimo e lo privano del merito morale di aiutare consapevolmente la scienza e l’umanità.

Il consenso libero e informato costituisce una parte integrante della relazione ricercatore-soggetto all’interno della tradizione cattolica[22]. Ciò emerge come requisito radicale e obbligato, chiaramente delineato da autori appartenenti alla scuola francese, praticamente ignorati, dalla Morale médicale del XIX secolo[23], ne è un esempio Georges Surbled.

Quando Surbled discute la sperimentazione psicologica, protesta energicamente contro l’insensibilità di certi colleghi che non riconoscono i limiti imposti alla ricerca dai principi morali. Per Surbled, “l’amore caritatevole rappresenta la prima e l’ultima parola della scienza”. Egli rimpiange il fatto che molti scienziati, che non credono in Dio e sono perciò incapaci di amare in Dio il loro prossimo, dimentichino il dovere di giustizia richiesto a tutti. Surbled è convinto che ci sia un modo per ripudiare le sperimentazioni abusive o immorali: affermare senza possibilità di errore i “diritti dell’uomo e, perciò, dei diritti del paziente. […] Ogni uomo ha il diritto di essere rispettato nel corpo […], ha il diritto assoluto di non essere offeso o torturato. Così, al dottore non è permesso sperimentare sull’uomo senza il suo consenso formale. E non si è mai saputo di pazienti che hanno autorizzato la pratica degli esperimenti dannosi e rischiosi registrati poi dalla storia e condannati dalla coscienza retta. Tali esperimenti sono stati eseguiti surrettiziamente, su soggetti iganri, con il pretesto perverso di praticare trattamenti medici. Il paziente non può mai essere usato come oggetto di sperimentazione a buon mercato”[24].

Parlando del consenso negli avvenimenti clinici ordinari, Surbled non si mostra molto energico, ma ha idee estremamente importanti sul punto, in quanto adotta un atteggiamento che si discosta per alcuni versi dall’approccio beneficialista e paternalista dei suoi contemporanei. Certamente segue prima di tutto “l’antica e suprema regola infusa nella coscienza del medico e regolatrice di tutta la sua attività: primum non nocere”, una regola attiva nella sperimentazione così come nella terapia clinica. Tuttavia, in entrambi i casi, Surbled sostiene che il paziente ha il diritto di rifiutare qualunque sperimentazione o terapia, “poiché gli basta barricarsi dietro il suo volere, senza alcun obbligo di fornire spiegazioni per la sua decisione […]. Egli è l’unico padrone del corpo, che può usare liberamente. Soltanto, deve sottomettersi alla volontà di Dio”. Surbled non ha dubbi nel definire criminale e mostruoso il comportamento di quei ricercatori che ingannano i soggetti, sani o malati, iniettando nelle loro ignare vittime microrganismi patogeni.

Il concetto che Surbled ha del consenso informato, con la sua profondità etica, non si piega alla nozione di consenso che vediamo gelosamente custodita da molti documenti odierni. Il suo concetto include quei requisiti di rispetto per l’autonomia dei soggetti che Faden e Beuchamp considerano indispensabili per un consenso informato eticamente impeccabile: l’assenso a partecipare alla ricerca basato sulla piena comprensione delle informazioni rilevanti; l’autorizzazione deliberata e consapevole accordata all’intervento di ricerca; l’assenza di coercizione o di incentivi esterni che possano viziare o predeterminare la scelta del soggetto[25]. C’è tuttavia una differenza significativa fra i due concetti, una differenza che rivela la grande distanza che intercorre fra la visione cristiana e quella laicista dell’uomo. Infatti, al posto dell’assoluta autonomia del soggetto propria dell’etica laica/secolarizzata, che conduce il soggetto ad una decisione isolata, immanente e individualistica, l’autonomia del soggetto cristiano, cioè di un uomo che vive alla presenza di Dio e fruisce dell’aiuto della grazia, capisce lucidamente che l’uomo non è il padrone assoluto di se stesso, ma piuttosto un amministratore prudente e responsabile della propria vita e del proprio corpo, che sono doni elargiti (“in prestito”) e che devono essere trattati con saggezza e responsabilità. Si può dire esattamente lo stesso dei doni ricevuti, e dei doveri subiti, dal ricercatore, il quale conserva una relazione viva e attiva con Dio e con i soggetti[26].

La padronanza dell’uomo su se stesso equivale ad un dominio d’uso, e non ad una proprietà, equivale ad un ruolo direttivo subordinato a Dio, che ognuno deve esercitare in libertà e nel servizio agli altri[27]. L’umanesimo cristiano crede fermamente nel valore e nella libertà dell’uomo, nei diritti umani, e nel compito, assegnato da Dio all’uomo nel giardino dell’Eden, di governare e migliorare il mondo[28].

L’idea di consenso libero e informato coniata da Surbled appare, in scritti successivi che fanno capo alla scuola francese della Morale médicale, sotto differenti aspetti, spesso curiosamente inclusi nel principio dominante del non fare male[29]. Altre volte viene enunciata chiaramente: Bon[30], ad esempio, inserisce fra i requisiti per una ricerca legittima il fatto che “Il soggetto, dopo essere stato pienamente informato dei rischi in cui incorrerà, si presti al ricercatore in modo assolutamente libero e di sua volontà”.

 

Scienza, società e individuo: la relazione etica

 

La Dichiarazione di Helsinki, non nelle parole originali del 1962 ma nelle versioni successive dal 1975 in poi, contiene una proposizione di profondo significato morale: afferma la superiorità etica degli interessi dell’individuo sugli interessi della scienza e della società. Nei venticinque anni fra il 1975 e il 2000, questo nobile concetto è stato ripetuto. “La preoccupazione per gli interessi dei soggetti deve sempre avere la prevalenza sugli interessi della scienza e della società”, recita la clausola I, 5, riecheggiata dalla clausola III, 4. Nella versione attuale, aggiornata ad Edimburgo nel 2000, la clausola 5 dell’introduzione insiste dicendo: “Nella ricerca medica sui soggetti umani, le considerazioni relative al benessere dei soggetti umani deve avere la precedenza sugli interessi della scienza e della società”.



Lo sfondo dominante del valore della persona, rispetto ad altri valori umani, è un punto costante nell’etica medica cattolica. Surbled afferma senza ambiguità che il migliore interesse del paziente si impone con una tale forza alla coscienza del medico da determinare il suo comportamento. “L’amore per la scienza, per quanto profondo e potente possa essere, non può mai prevalere nel nostro cuore sull’amoreper i fratelli sofferenti che necessitano del nostro aiuto”:

Eppure, molti anni prima di Surbled, Max Simon affermava con determinazione e chiarezza lo stesso principio della superiorità delle persone sui più stimati valori della scienza. Non più tardi del 1845, scriveva: “Né la preoccupazione per la scienza, né la determinazione a risolvere un importante problema teorico, né il desiderio di aggiungere un nuovo agente chimico al corredo farmacologico dei medici possono portare gli sperimentatori a perdere il contatto con l’interesse immediato dell’individuo che costituisce il soggetto dei loro studi. Niente può affrancare i medici dal loro compito umanitario di assicurare al paziente sofferente tutti i benefici della loro arte”[31]. E alcuni anni più tardi, Simon aggiunge: “Infine non è possibile sottolineare maggiormente questo principio, e cioè che il paziente più indigente e privo di valore, il più inutile per la società, non può essere soggetto di esperimenti rischiosi o pericolosi. Muoia piuttosto la scienza che questo principio!”[32].

Simon si batte per la concentrazione della ricerca medica all’interno dei grandi ospedali e sotto la guida di rappresentanti del mondo accademico eminenti e altamente capaci, poiché solo così diventa possibile eseguire numerose serie di osservazioni e, soprattutto, assicurare che i medici non usino mai dei loro privilegi per sacrificare l’interesse dell’individuo agli interessi della società, e ancor meno al successo personale[33].

Sarebbe molto interessante ricercare il percorso che lega Simon ad Helsinki, e scoprire come un libro scritto nella Francia del XIX secolo nell’ambito della Morale médicale si sia fatto strada fino alla Dichiarazione di Helsinki del 1975, che è un prodotto dell’etica medica secolarizzata del dopoguerra. Si possono invero identificare alcuni punti di raccordo. Uno è il ben noto discorso che Pio XII pronunciò il 14 settembre 1952. In esso, il papa analizza l’etica della ricerca biomedica sulla scorta di tre principi: gli interessi della scienza medica, gli interessi dei soggetti individuali e gli interessi della comunità. Sostiene, fra l’altro, che la scienza non è il valore più alto, a cui tutti gli altri valori devono essere subordinati, e che la persona umana non può essere utilizzata dalla comunità come un oggetto; infine, sostiene che il paziente non è il padrone assoluto di sé, e pertanto non può disporre liberamente di sé come più gli pare[34].

Queste idee furono probabilmente portate all’interno della Dichiarazione di Helsinki attraverso il simposio sulle prospettive religiose nei riguardi della sperimentazione medica, organizzato dall’Associazione Medica Mondiale durante la sua protratta incubazione della Dichiarazione di Helsinki, pubblicata poi nel 1960. Il rappresentante delle confessioni protestanti, Jacques de Senarclens, dopo avere affermato che né l’interesse della scienza né l’interesse della società bastano a giustificare gli esperimenti sull’uomo che contrastano con i principi dell’etica medica, che feriscono la dignità degli esseri umani o che infrangono i precetti più elementari della fede cristiana, invoca l’autorità morale del papa proprio attraverso le parole del discorso del 1952: l’uomo “non deve essere subordinato alla comunità nel suo essere personale; al contrario, è la comunità che esiste per l’uomo”[35].

È evidente che l’attuale Dichiarazione di Helsinki mantiene il prezioso legame con Simon nella sua integrità, anche se certamente con enfasi ridotta rispetto alle versioni precedenti. L’impegno a dare la precedenza in ogni occasione al benessere dei soggetti umani rispetto agli interessi della scienza e della società merita il posto d’onore che occupa nella Dichiarazione, addirittura nella forma di un’ingiunzione. Il suo significato, non facile da definire con precisione, è aperto ad interpretazioni divergenti[36]. Nella sua vaghezza, può essere inteso come valido strumento per accertare i limiti di rischio accettabile in situazioni di ricerca molto specifiche, o come disapprovazione preventiva degli esperimenti pericolosi. Tuttavia, può anche essere compreso come esortazione parenetica ad affinare la nostra sensibilità etica a favore della difesa dei soggetti di ricerca, o come atteggiamento morale fondamentale che conferisce un’accorata preferenza all’integrità dell’essere umano rispetto a considerazioni consequenzialiste. Questo argomento è stato sviluppato in modo approfondito da Jonas, in uno studio che è divenuto un classico[37].



[1] La bibliografia sull’argomento è consistente. Diamo qui soltanto alcuni riferimenti che offrono una panoramica della storia dell’erbm: Beecher H.K., Research and the individual. Human Studies, Boston: Little, Brown, 1970:5-15. Brieger G.,History of human experimentation, in Reich W.T. (ed.), Encyclopedia of Bioethics, New York: The Free Press, 1978:684-92. Bynum W., Reflections on the history of the use of human subjects in research, in Spicker S.F., Alon I., de Vries A., Engelhardt H.T. Jr, (eds.), The use of human beings in research. Dordrecht: Kluwer; 1988:29-46. Howard-Jones N., Human experimentation in historical and ethical perspectives, in Bankowski Z., Howard-Jones N, (eds.), Human experimentation and medical ethics. Geneva: C.I.O.M.S.; 1982:453-95. Ivy A.C., The history and ethics of the use of human subjects in medical experiments, Science 1948;108:1-5. Jonsen A.R., The Birth of Bioethics. New York: OxfordUniversity Press; 1998:125-165. Katz J., Experimentation with Human Beings, New York: Russell Sage Foundation;1972. LadimerI., Newman R.W. (eds.), Clinical Investigation in Medicine: Legal, Ethical and Moral Aspects. An Anthology and Bibliography, Boston: Law-Medicine Research Institute, BostonUniversity; 1963. Lock S., Research Ethics – a Brief Historical Review to 1965. J Intern Med 1995;238:513-520.Rothman D.J., Strangers at the Bedside. A History of how Law and Bioethics Transformed Medical Decision Making, New York: Basic Books; 1991:15-100. Rothman D.J., Research, Human: Historical Aspects, in Reich W.T. (ed.), Encyclopedia of Bioethics. Revised edition. New York: MacMillan; 1995: 2248-2258. Vaux K., Schade S.G., The Search for Universality in the Ethics of Human Research: Andrew C. Ivy, Henry K. Beecher, and the Legacy of Nuremberg, in Spicker S.F., Alon I., de Vries A., Engelhardt H.T. jr (eds.), The Use of Human Beings in Research, Dordrecht: Kluwer; 1988:3-16.

[2] Con qualche differenza, questa versione standard della storia dell’erbm si ritrova non nei testi di ricerca accademica o nei capitoli di monografie e di libri, ma nei brevi editoriali, nelle enciclopedie e nelle pubblicazioni per il vasto pubblico. Un tipico esempio è Booth C.C., Clinical Research. In: Bynum W.F., Porter R., eds. Companion Encyclopedia of the History of Medicine. Vol. 1. London: Routledge, 1993:205-229. La troviamo anche in molti manuali che hanno esercitano vasta influenza in quanto usati in internet per la prima istruzione dei futuri membri di Comitati Internazionali di Revisione. In questo modo, il messaggio continua a persistere e ad essere diffuso.

[3] Sull’origine artificiale di Norimberga e sul suo carattere improvvisato come riferimento giuridico, si vedano: Grodin M. E., Historical Origins of the Nuremberg Code.In Annas G. J., Grodin M. E., The Nazi Doctors and the Nuremberg Code. Human Rights and Human Experimentation. New York: OxfordUniversity Press, 1992:121-144. sull’incoerenza interna del Codice, si veda: Deutsch E., Der Nürnberger Kodex. Das Strafverfahren gegen Mediziner, die zehn Principien von Nürnberg un die bleibende Bedeutung der Nürnberger Kodex, in Tröhler U., Reiter-Theil S., Ethik und Medizin 1947-1997. Was leistet die Kodifizierung von Ethik, Göttingen: Wallstein, 1997:103-114.

[4] Herranz G., The Inclusion of the Ten Principles of Nuremberg in Professional Codes of Ethics: An International Comparison, in Tröhler U., Reiter-Theil S., Ethics Codes in Medicine. Foundations and Achievements of Codification since 1947. Aldershot: Ashgate, 1998: 127-139.

[5] Come esempi della letteratura antica sull’ethos della ricerca biomedica, si vedano: Cannon W. B., The Way of an Investigator, A Scientist’s Experiences in Medical Research.New York: W.W. Norton & Co, 1945: Gregg A. The Furtherance of Medical Research, New Haven: Yale University Press, 1941; Albareda J.M., Consideraciones sobre la Investigación Científica, Madrid: C.S.I.C., 1951; Ramón y Cajal S., Reglas y Consejos sobre Investigación Biológica (Los Tónicos de la Voluntad), 6th ed. Madrid: Imprenta Pueyo, 1923.

[6] Ad esempio, negli Stati Uniti (Cannon W.B., The Right and Wrong of Making Experiments on Human Beings, Journal of the American Medical Association 1916;67:1372;1373) o in Germania (Volmann J., Winau R., The Prussian Regulation of 1900: Early Human Experimentation in Germany. IRB: a Review of Human Subjects Research, 1996;18(4):9;11; Reich Minister of the Interior, Regulation on the New Therapy and Human Experimentation, February 28, 1931. In: Annas G.J., Grodin M.A., The Nazi Doctors and the Nuremberg Code: Human Rights in Human Experimentation. New York: Oxford University Press, 1992:129-132). Il caso più eclatante fu probabilmente la Risoluzione dell’Associazione Medica Mondiale del 1946, che dopo una frettolosa approvazione al fine di fungere da riferimento etico durante il Processo di Norimberga, iniziò a non essere considerata e scivolò nell’oblio (American Medical Association, Requirements for Experiments on Human Beings, Journal of the American Medical Association 1946;132:1090).

[7] Bernard C., Introduction à l’étude de la médecine expérimentale, Paris: Garnier-Flammarion, 1966: 151-152.

[8] Prima dell’inizio degli studi clinici controllati e dell’assunzione della mentalità dell’evidence based medicine(medicina delle prove di efficacia, n.d.t.), il buon senso induceva a sostenere che praticamente ogni intervento medico fosse in un certo senso sperimentale. Ivy, ad esempio, affermava che “anche dopo aver trovato la terapia adatta ad una malattia, le sue applicazioni al paziente restano in parte sperimentali. A causa delle variazioni fisiologiche nella risposta di diversi pazienti allo stesso trattamento, la terapia delle malattie è e sarà sempre un aspetto sperimentale della medicina” (Ivy A. C., The History and Ethics of the Use of Human Subjects in Medical Experiments, Science 1948;108:1-5).E Shimkin, alcuni anni più tardi, osservò che “la sperimentazine medica sui soggetti umani, nel suo significato più ampio e per il bene del singolo paziente, si verifica continuamente in ogni ambulatorio medico” (Shimkin M.B., The Problem of Experimentation on Human Beings, Science 1953;117:205-207).

[9] Una parte consistente dei manuali più utilizzati non include fra le materie trattate l’erbm; si vedano ad esempio: Bonnar A., The Catholic Doctor, 4th ed., London: Burns Oates & Washburne, 1944; Marshall J., The Ethics of Medical Practice, Darton, Longman & Todd, London, 1960; Peyró F.J., Deontología médica, 5a edición, Madrid: Marbán editor, 1954. Pazzini A., Il Medico di Fronte alla Morale, Brescia: Editoriale Morcelliana, 1950.

[10] In quegli anni, era consuetudine invitare i teologi cristiani a partecipare ai dibattiti o ai lavoro collettivi sull’erbm. Nel 1960, l’Associazione medica Mondiale sponsorizzò un simposio dei rappresentanti delle maggiori religioni, come passo necessario verso lo sviluppo della futura Dichiarazione di Helsinki (Human Experimentation. A World Problem from the Standpoint of Spiritual Leaders, World Medical Journal 1960;7:80-83, 86). Nelle monografie e nelle antologie pubblicate successivamente sono regolarmente inclusi articoli scritti da teologi morali, come pure direttive sulle ricerca emanate da istituzioni cattolicahe si assistenza sanitaria, e anche pronunciamenti del magistero, soprattutto di papa Pio XII (Beecher H.K., Research and the Individual. Human Studies, Boston: Little, Brown and Co, 1970; LadimerI., Newman R.W., eds., Clinical Investigation in Medicine: Legal, Ethical, and Moral Aspects. An Anthology and Bibliography, Boston: Law-Medicine Research Institute, 1963; Katz J. Experimentation with Human Beings. The Authority of the Investigator, Subject, Professions, and State in the Human Experimentation Process,New York: Russell Sage Foundation, 1972).

[11] Callahan D., Religion and the Secularization of Bioethics, HastingsCenter Report 1990;20(4 Suppl):2;4.

[12] National Commission for the Protection of Research Subjects of Biomedical and Behavioral Research (Commissione Nazionale per la Difesa dei Soggetti di Ricerca della Sperimentazione Biomedica e Comportamentale, n.d.t.), The Belmont Report: Ethical Principles and Guidelines for the Protection of Human Subjects of Research, Washington, D.C.: Government Printing Office, 1979.

[13] Come afferma Veatch, “l’autonomia sta fra noi e l’abisso morale”. Veatch R. M., From Nuremberg through the 1990s: The Priority of Autonomy. In: Vanderpool H. Y., The Ethics of Research Involving Human Subjects. Facing the 21th Century. Frederick, MD: University Publishing Group, 1996: 44-58.

[14] Faden e Beauchamp, trattando l’evoluzione storica dei requisiti per il consenso nel campo della ricerca biomedica, dichiarò che il loro scopo principale era mostrare come il consenso fosse emerso e maturato negli Stati Uniti. Affermano inoltre che, a differenza di quel che accadde nel fertile campo dell’assistenza clinica ordinaria, nel contesto dell’etica della ricerca prima della seconda guerra mondiale furono pochissimi i fatti che richiesero l’apporto della morale. Una ricerca scientifica e rigorosa sugli esseri umani si verifica negli Stati Uniti solo dopo la guerra, mentre il criticismo morale relativamente alla ricerca biomedica inizia ivi a crescere verso la metà degli anni Sessanta. Si veda Faden R.R., Beauchamp T.L., A History and Theory of Informed Consent. New York: OxfordUniversity Press, 1986:150-151.

[15] Faden R.R., Beauchamp T.L., O. c. : 274-297.

[16] Beauchamp T.L., McCullough L.B. Medical Ethics: The Moral Responsibilities of Physicians. Englewood Cliffs, N.J.: Prentice Hall, 1984.

[17] Caplan A. L.,A History and Theory of Informed Consent, by Ruth R. Faden and Tom L. Beauchamp. Book Review. JAMA 1987;257:386-387.

[18] La riaffermazione da parte di Caplan della cittadinanza esclusivamente americana della comprensione sostanziale, e non meramente formale, delle ragioni per il consenso informato raggiunge un tono di esultanza quando l’autore parla del “totale sconcerto manifestato da europei, asiatici, mediorientali e sudamericani al vedere la nostra apparente ossessione per l’autonomia”, caratteristica, questa, che era passata inosservata ed era stata trascurata da Faden e Beauchamp. Caplan A.L., A History and Theory of Informed Consent, by Ruth R. Faden and Tom L. Beauchamp (Book review). Journal of the American Medical Association 1987;257:386-387.
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