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Interventi sul piano urbanistico di traù durante I primi decenni del dominio veneto (1420-1450)


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Cambiamenti urbanistici e di possessione in città

La parte occidentale della città divenne ufficialmente la Città Nuova ancora prima del 1420. Con la disposizione del 1418, che si riferiva all’edificazione delle fortificazioni e del sistema difensivo contro Venezia, il burgus diventò ufficialmente Città Nuova.83 L’area del Sobborgo fu allora formalmente equiparato all’antico nucleo, il quale fino a quel momento godeva di uno stato privilegiato come centro dell’autorità politica ed ecclesiastica.84 La trasformazione del Sobborgo nella Città Nuova fu il risultato della delimitazione di quest’area mediante l’edificazione delle mura, quando la parte occidentale dell’isolotto raggiunse il livello necessario d’urbanizzazione e di sicurezza, e poteva essere equiparato al nucleo. Il bisogno di un unificato sistema di difesa aveva sicuramente accelerato questa decisione. Però, il processo di collegamento della Città Nuova con il nucleo cominciò solo dopo il 1420, quando fu abbattuto il muro tra queste due aree. Non ebbe luogo una completa integrazione urbanistica e sociale, e quindi le due parti della città rimasero anche ulteriormente delle unità differenti, il che, eccetto che nella composizione della popolazione, nell’aspetto e nelle funzioni dell’area, era evidente anche dalla loro differente denominazione. Nei documenti del ‘400 il termine civitas vetus veniva usato raramente, mentre l’area del nucleo veniva equiparata con il termine civitas, oppure, Tragurio. Le differenze rimasero presenti anche nella definizione della popolazione – quelli della Città Nuova durante il ‘400 venivano nominati come cives o habitatores de Civitate Nova, senza tener conto se possedevano una casa nel nucleo.

Solo dopo l’edificazione del Castello e di questa nuova torre furono abbattute le mura che dividevano la città dal Sobborgo.85 Il Loredano, dopo aver conquistato la città nel 1420, diede la disposizione di abbattere completamente le mura che dividevano il Sobborgo dal nucleo, per la sicurezza della torre trasformata in castello.86 Gli scavi archeologici hanno confermato la direzione delle mura tra l’antico nucleo della città e del Sobborgo (lunghe circa 140 metri).87 L’abbattimento di queste mura fu eseguito solo dopo che la “torre delle catene” fu fortificata con delle mura. Furono create le condizioni per un sistema unico di difesa della città. Si giunse anche all’integrazione funzionale dell’area di due unità separate. Con l’unificazione dell’antica con la nuova parte della città, il decumanus (est-ovvest) che conduceva dalla piazza verso il castello prese il ruolo di via di comunicazione cittadina dominante, a differenza dall’antica via principale, che passava per la piazza in direzione nord-sud (l’antico cardo).88 Nella lettera del doge spedita al conte nel 1421 era spiegato che le mura tra la Città Nuova e il nucleo, allora già abbattute, separavano i nobili dai popolani.89 Venezia ha fondato, almeno parzialmente, il suo dominio nelle città dalmate anche sull’antagonismo dei ceti, gradualmente allargando i diritti dei popolani. In questo modo aveva pure limitato l’autonomia dei comuni, dove proprio i patrizi furono i portatori del potere. Queste mura, secondo il doge, separavano non soltanto due tessuti urbani diversi, ma anche due diversi gruppi sociali e politici. L’idea del bisogno delle divisioni nella città fu accentuata in alcuni trattati d’autori contemporanei che descrivevano la città ideale.90

In un periodo nel quale la città lottava per i finanziamenti per l’accelerazione della costruzione delle fortificazioni, il 22 maggio 1443 scoppio un nuovo incendio nella Città Nuova. Secondo le fonti, furono bruciate 40 case nella Città Nuova e 18 nel nucleo.91 L’incendio si diffuse facilmente nella parte antica, perché già allora le mura che dividevano le due parti della città erano abbattute. Per ricevere i mezzi necessari per riparare i danni causati dall’incendio, il conte Gabriele Barbarigo dispose la vendita dei terreni comunali vicino alle saline, fino a quel tempo usati come pascoli.92 In questa parte della città le saline esistevano anche prima del 1420 (ricordiamo che l’esercito veneto entrò in città dalla via salinarum). I documenti successivi ricordano che le saline si trovavano sulla costa occidentale della Città Nuova, vicino al Castello e ai possedimenti comunali.93 Sempre di più lo spazio della Città Nuova nel ‘400 veniva definito tramite le attività che venivano svolte sul suo territorio.

Anche se i danni causati dall’incendio erano enormi, l’incidente contribuì ad una più moderna organizzazione della Città Nuova in conformità ai tempi. Prima di tutto, fu pianificato un aspetto più regolare delle strade e la costruzione delle case in pietra, fu determinata pure l’edificazione di 4 pozzi nella Città Nuova. Le officine dei fabbri, che probabilmente furono la causa dell’incendio, dovevano essere trasferite dalla Nuova Città. Le nuove officine dei fabbri furono costruite extra muros, sul territorio comunale vicino alla torre di San Marco. Nell’epoca medioevale le officine dei fabbri venivano sempre situate fuori delle mura, però siccome la città fu allargata, prima del 1443 si sono trovate di nuovo entro le mura e troppo vicine alle abitazioni.94 Questa disposizione conferma l’esistenza del terreno comunale vicino alla torre di San Marco, così pure vicino al Castello. Le ducali del 1443 disponevano che vicino alle mura pubbliche non doveva esser costruito alcun edificio entro un’area non inferiore a 40 braccia, il posto Oprah (al lato ovest) doveva essere sgomberato.95 Le disposizioni che vietavano la costruzione d’edifici vicino alle mura cittadine sono tipiche per l’epoca medievale.

Per impedir le costruzioni non pianificate, e per il maggiore controllo dello spazio intorno al castello, dopo l’incendio fu disposto che tutte le costruzioni nella Città Nuova dovessero essere autorizzate dal conte. Dopo l’incendio furono vietate le costruzioni di case di legno sul tratto che andava dalla chiesa di San Domenico fino alla chiesa Santa Maria (da questo periodo in poi venne chiamata Santa Maria di Carmello), allora sul tratto verso la città antica.96 Questa disposizione contribuì al restauro estetico della facciata orientale della Città Nuova. Qui nel ‘400 fu costruita la chiesa della confraternita di Tutti i Santi.97 L’incendio nella Città Nuova rese possibile un’edificazione più regolare dei quartieri e dei nuovi edifici di pietra. Il piano regolare della Città Nuova accentuava anche la sua specificità urbanistica, nonostante l’abbattimento delle mura verso la città antica. Nel ‘400 qui furono menzionate anche le piazze come centri di raduno di questa parte della città (la piazza di Santa Maria di Carmello, la piazza di San Michele, la piazza davanti a San Domenico). Per esempio, un processo del 18 gennaio 1438 si svolse in civitate nova in plathea versus ecclesiae sancti Michaelis.98 La Città Nuova fu collegata soltanto con alcune vie di comunicazione con il nucleo antico.99



La situazione urbanistica instabile della Città Nuova fu parzialmente provocata anche dallo scambio comunale di terreni privati in funzione della costruzione del Castello e del controllo dell’area che lo attorniava. Il desiderio di Venezia di controllare lo spazio cittadino fu una delle cause dei frequenti mutamenti di proprietà. Il nuovo governo comunale di Traù comprò o scambiò le proprietà immobiliari private situate vicino alle fortificazioni. Una volta diventati di proprietà comunale, gli edifici preesistenti spesso venivano abbattuti o cambiavano funzione.100 Per esempio, nel 1438 il conte ordinò lo scambio forzato del terreno con Petromila, figlia di Nicola Perdusich. Le fu espropriata una parcella sita in civitate nova apud castrum Tragurij, con la spiegazione che era necessaria pro securitate castri. In cambio Petromila aveva ricevuto una parcella d’uguali dimensioni (8 per 6 braccia), anche questa nella Città Nuova.101 Il monastero di San Giovanni Battista fu costretto a consegnare al comune una parcella con la torre situata vicino alla porta della Città Nuova, di fronte alla chiesa di San Domenico nella Città Nuova.102 Questa (8 per 7 braccia) era già circondata da altri possedimenti comunali sui lati meridionale e occidentale, mentre sul suo lato orientale c’erano le semidistrutte mura del nucleo antico.103 Come anche nelle altre città della Dalmazia, nel 1424 anche a Traù furono introdotte le misure venete standardizzate per la misurazione delle parcelle e d’edifici. Erano esposte nella Cancelleria del Comune. Vicino alla base della facciata del battistero, si è conservato fino ad oggi un triangolo isoscele, inciso nella pietra, con le unità di misurazione standardizzate nel ‘400 (quarta, piede, braccio, passo).104 La maggior parte delle città dalmate esponevano in qualche luogo pubblico dei modelli, cosiddetti talloni delle misure di lunghezza.105

I possedimenti privati a Traù erano in un certo modo tutelati. Siccome durante il periodo della costruzione del castello le autorità comunali hanno occupato i terreni dei cittadini privati, fu deliberato di rimborsarli con delle proprietà di valore uguale.106 Con la delibera del 20 novembre 1420 il doge vietò ai soldati d’impadronirsi delle case che avevano affittato nella Città Nuova.107 Inoltre, il doge aveva promesso che Venezia si sarebbe dimostrata favorevole alla città di Traù, se i cittadini fossero stati fedeli e leali al nuovo padrone.108 I Veneziani avevano confermato le antiche relazioni di possessione in città: tutti i patrizi e popolani, laici o ecclesiastici, potevano mantenere i loro posti che occupavano prima del 1420 e godere indisturbati le loro proprietà mobili e immobili. Questa delibera però, escludeva gli oppositori del dominio veneto.109 Il governo veneto ha deliberato il 1 agosto 1420 che la gestione dei beni degli ex-oppositori, tra i quali furono banditi il vescovo Simon Dominis e l’ex conte cittadino Michatius Vituri.110 Precedentemente la città fu abbandonato anche dai più accaniti oppositori di Venezia, tra i quali il vescovo e il conte.111 A Micazio furono espropriati 18 terreni nel distretto di Traù e diversi beni immobiliari di un valore totale di 3567 ducati.112 E’ pervenuto fino a noi l’elenco dei beni immobili che testimonia la grandezza delle proprietà possedute dei Vituri prima della confisca dei loro beni.113 Oltre alla casa di famiglia dei Vituri (domus magna), Micazio possedeva diverse case nella città, di cui una si trovava a sud della chiesa di San Lorenzo, un’altra vicino alla chiesa di Santo Stefano (!), la terza (che dava in affitto, situata in un luogo non determinato in città); la quarta a due piani con una cantina vicino alla sua torre (non è chiara la sua posizione). Vicino all’ospedale di Santo Spirito, verso la chiesa di San Pietro, Micazio aveva 8 parcelle edificate.114 Inoltre, di suo possesso fu anche la canipa nella quale abitava il famoso notaio di Traù Giacomo de Viviano (libro dei testamenti) vicino alle mura cittadine, nonchè la canipa vicino alla cattedrale.115 Il conte di Traù Simon Detrico decise il 16 ottobre 1421 che, tutte i beni confiscati (parcelle ed edifici) sarebbero passati al comune il quale, a sua volta avrebbe potuto darli in affitto.116 Ci sono pervenuti gli elenchi delle proprietà degli altri banditi, confiscate da parte delle autorità comunali.117 In un documento del 1428 fu ricordata la confisca dei beni della famiglia Quarco, e la loro vendita nel 1429.118 Anche il vescovo di Traù, Simon de Dominis, uno dei capi della fazione degli oppositori del dominio Veneto nel 1420, fu bandito come traditore, mentre i suoi beni furono espropriati.119 Furono emanate anche delle nuove disposizioni sull’espropriazione dei beni dei traditori, degli omicidi ecc.120

Le torri cittadine man mano passarono in proprietà dello Stato.121 Alcune torri private già alla fine del ‘300 (per esempio quella del vescovo di Lesina Stephano Cega) diventarono di proprietà della città. In qualche modo questo passaggio in proprietà pubblica era il risultato dello sviluppo delle istituzioni comunali, nel quale le torri private perdevano il loro antico ruolo nella protezione interna alla città.122 Dopo il 1420 fu definito il controllo sulle torri cittadine.123 Il 9 luglio 1420 Pietro Loredano emanò un decreto in conformità al quale a tutti i sudditi del doge veniva permesso di mantenere le loro proprietà private, però non erano incluse “alcune torri o case grandi” nella città, le quali dovevano rimanere alla disposizione del governo (il decreto si riferisce alle città di Traù, Spalato e Sebenico).124 Per esempio, il palazzo dei Lucio situata vicino alle mura cittadine, però con la facciata rivolta verso il nord, cioè verso la città, e per ragioni di sicurezza non aveva aperture sulla torre e sulle mura cittadine.125 Il vescovo di Lesina aveva venduto la torre Cega nel 1380 al comune, però, secondo Lucio, ancora prima del 1420 era di nuovo di proprietà privata,126 i membri della famiglia Cega, proprietari di alcuni beni immobili nelle vicinanze, la ripararono e la ristrutturarono dopo i bombardamenti del 1420.127 Avendo ristrutturato la torre, i familiari Cega avevano conseguito il diritto di abitarla, nonostante il fatto che le autorità venete avessero sotto controllo tutte le torri cittadine.128 Più tardi la torre Cega passò di proprietà monastero di San Nicola.129 In questo periodo cessò la costruzione delle torri vicino alle mura cittadine e delle case-torri entro le mura. Indubbiamente questo è l’indice dei cambiamenti politici e sociali nella città. Dopo il consolidamento della situazione politica interna nel ‘400, le famiglie di Traù non funzionavano più come dei clan, e non costruivano torri.



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