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Gli insegnamenti degli operai di Melfi


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Gli insegnamenti degli operai di Melfi







di Vittorio Rieser
La lotta dei lavoratori e delle lavoratrici di Melfi ha ridestato l'interesse attorno a questa fabbrica, e più in generale attorno alla classe operaia e al conflitto sociale. Il Prc, così com'è stato fortemente impegnato nella conduzione della lotta (attraverso i suoi militanti di fabbrica) e nel suo sostegno all'esterno, lo è stato anche in seguito, sul terreno dell'analisi e dell'inchiesta. Oltre al libro di Paolo Ferrero e di Angela Lombardi, di cui parlerò tra pochissimo, il Prc ha promosso un'inchiesta tramite questionario tra i lavoratori di Melfi (e, parallelamente, tra quelli di Fiumicino), di cui han già parlato, su queste colonne, Vittorio Mantelli ed Eliana Como, e i cui risultati saranno più ampiamente illustrati sul nostro Bollettino di Inchiesta e su Quaderni di Rassegna Sindacale. Ma il lavoro di analisi e riflessione sull'esperienza di Melfi non è circoscritto al Prc, e neanche al dibattito interno alle strutture sindacali (a partire ovviamente dalla Fiom, protagonista centrale di quell'esperienza). Lo testimoniano i già citati Quaderni di Rassegna Sindacale, che dedicano ampio spazio a Melfi nel loro prossimo numero, ed altri contributi - più direttamente legati alla realtà locale - come i primi numeri della rivista Decanter (con i contributi di Piero Di Siena e Davide Bubbico) e il lavoro di Anna Maria Riviello La rincorsa: Melfi, inchiesta sulle operaie delle fabbriche dell'auto.

Ma veniamo al nostro libro: La primavera di Melfi, stampato a cura delle edizioni Punto Rosso, e che può essere acquistato insieme a Liberazione (ancora per pochi giorni: affrettatevi!). Esso è diviso sostanzialmente in tre parti: una di testimonianze dirette di operai e operaie Sata (in gran parte, ma non solo, delegati Fiom); una di riflessione da parte di esponenti politici e sindacali; infine un'ampia documentazione, che va dalla cronologia della lotta a una ricca parte fotografica alla riproduzione di alcuni documenti sindacali.

La parte di testimonianze è di grande interesse, perché non si limita alla rievocazione dell'esperienza esaltante dei "21 giorni", ma offre una serie di informazioni ed elementi di analisi, attraverso i quali si può "leggere" il percorso che va dalle radici del conflitto nella condizione di fabbrica, agli elementi preparatori della lotta, al suo svolgimento e - infine - alle "tracce" che essa ha lasciato. Proverò a dare qualche "flash" di questi vari elementi offerti dalle testimonianze.

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segue dalla prima pagina
La condizione prima dell'entrata in Fiat ha un ruolo ambivalente: da un lato vedere l'ingresso in Fiat come speranza di stabilità e (per le donne) come nuova condizione di autonomia; dall'altro, per chi ha avuto esperienze lavorative o le ha sentite dai suoi genitori, offre termini di confronto con cui poi misurare la realtà Fiat (dice il figlio di ex-emigrati in Germania: «nei loro racconti la vita, la fabbrica non dico che era piacevole, ma era vivibile»). I contenuti dei corsi Isvor, che illustravano il "modello" della Fabbrica Integrata, alimentando ulteriormente le speranze, finiranno per rendere più traumatico l'impatto con la realtà di fabbrica.

Questa si presenta anzitutto in termini di ritmi di lavoro insostenibili e di fatica («…sono abituato al lavoro duro ma quel ritmo di lavoro non riuscivo a reggerlo. Prima mi stancavo ma gestivo la stanchezza, il ritmo di fabbrica non mi ha dato questa possibilità»). Questa situazione è aggravata dal fatto che il periodo di "affiancamento" per imparare la mansione, che teoricamente dovrebbe durare parecchi giorni, è ridotto al minimo, a volte a soli 5 minuti. In questo quadro, il ruolo della "partecipazione" dei lavoratori (esaltato nei corsi di formazione preparatori) scompare, e al suo posto compare il sistema (tradizionale in Fiat) di repressione, minacce, ricatti, di cui i capi intermedi sono il tramite principale. I provvedimenti disciplinari si moltiplicano in una progressione parossistica: e non solo contro gli attivisti Fiom o contro chi in forme varie cerca di far valere i propri diritti, ma contro chi ha subito (proprio ad opera del sistema di fabbrica) danni alla salute o infortuni, e quindi non è più "idoneo" a fornire il rendimento richiesto; impressionante, ad es., la testimonianza di un operaio colpito da sindrome del tunnel carpale, e che alla fine, proprio per questo, viene licenziato.

Fin dall'inizio, la Fiom e i suoi delegati lottano tenacemente contro queste condizioni, ma spesso si trovano isolati. Ma a poco a poco le cose cambiano: «i lavoratori hanno cominciato ad avere una certa fiducia, anche se non distacco, nei delegati Fiom e nella Fiom stessa. …si sono messe in campo lotte nelle varie Ute, dove pochi lavoratori aderivano, ma gli altri, quelli che non partecipavano, non si mostravano contrari». Attraverso le testimonianze dei delegati possiamo seguire il progressivo maturare delle condizioni che porteranno alla lotta.

Sullo svolgimento della lotta non mi soffermo, perché è più largamente conosciuto. Le tracce lasciate da questa esperienza sono profonde. «Ritornare in fabbrica è stato bello. I lavoratori si fidano, si avvicinano, ci chiamano in continuazione, è cambiato il clima, non c'è più il clima di paura, questa è la vera vittoria…». O ancora: «parlando con dei lavoratori mi dissero questa frase: da oggi non lavoriamo più a queste condizioni e a deciderlo siamo noi, e si deve fare come diciamo noi».

Ma l'effetto della lotta non si limita all'interno dello stabilimento. E non si tratta solo della solidarietà (importantissima) venuta ai lavoratori in lotta dall'intera popolazione dell'area circostante. Significativa è la testimonianza di un operaio, trasferitosi dal suo paese natale a Palazzo San Gervasio per essere meno lontano dal luogo di lavoro, e che all'inizio, nel nuovo paese, si sentiva isolato e "forestiero": «i cittadini di Palazzo hanno iniziato a considerarmi uno di loro e mi sento più partecipe alla vita quotidiana del paese. I lavoratori con cui non avevo mai scambiato una parola hanno iniziato a salutarmi e a chiedere spiegazioni». Così, i lavoratori di una fabbrica locale gli raccontano la loro condizione, gli chiedono consigli, e su questa base costruiscono una lotta con cui ottengono consistenti miglioramenti.

Del patrimonio di esperienza e di coscienza accumulato nel corso della lotta ci sarà estremo bisogno, perché "siamo solo all'inizio". Gli elementi di fondo della condizione di lavoro, che hanno portato alla lotta, non potevano infatti essere affrontati e risolti nell'accordo: ritmi di lavoro, condizioni ergonomiche e ambientali, modo di gestione della forza-lavoro sono infatti temi che possono essere affrontati, giorno per giorno, solo da un'azione sindacale costante all'interno della fabbrica. Essi richiedono anche una revisione di alcuni aspetti degli "accordi costitutivi", firmati unitariamente nel '93 - basti pensare all'introduzione del Tmc/2: in questo divergo da quanto affermato in uno dei "contributi di riflessione", che vede nel "mancato rispetto" di quell'accordo da parte della Fiat l'origine ultima della pesantissima condizione di lavoro, mentre secondo me proprio quell'accordo apriva la via a tutti gli ulteriori sviluppi del "dispotismo Fiat").

E' questo dunque il difficile compito che attende il sindacato e i lavoratori di Melfi. In questa prospettiva, sono utili molte delle riflessioni contenute nella seconda parte del libro. In parte, esse approfondiscono elementi di analisi della realtà Fiat e della preparazione della lotta, già toccati dalle testimonianze: ad es., si sottolinea lo svuotamento del ruolo delle commissioni paritetiche come sintomo della non realizzazione di quello stesso "modello partecipativo" che la Fiat aveva enunciato. O si analizza in profondità l'uso delle sanzioni disciplinari. Ma, al di là di questo, vi sono - specie nell'intervento di Paolo Ferrero, spunti più generali e di grande attualità politica. Egli sottolinea in particolare tre aspetti. La forma di lotta (sciopero ad oltranza, restando fuori della fabbrica) era l'unica efficace e possibile nelle condizioni organizzative e sindacali della Sata.

La democrazia si è rivelata una "risorsa-chiave", fin dalla formulazione della piattaforma (costruita dal basso e "in corso d'opera"), per arrivare alle decisioni su cambiamenti nelle forme di lotta e, alla fine, alla valutazione dell'accordo. Un terzo elemento è la capacità di costruire una "coalizione", cioè un'ampia rete di alleanze (più ampia sul terreno sociale che su quello politico-istituzionale), che è stata decisiva per la tenuta e il successo della lotta. Vi è poi un'osservazione più generale: "Mentre la prospettiva globale del liberismo non riesce più a costruire consenso… proprio la crisi economica prodotta dal liberismo rischia di produrre passività sociale"; l'egemonia ideologica del liberismo non passa, ma ciò non impedisce che, spesso, si accetti come inevitabile il liberismo "concreto" che si esprime nel dominio di fabbrica. La lotta di Melfi può aprire la via al superamento di questa contraddizione, di quella che Ferrero definisce come una sorta di schizofrenia.



Vittorio Rieser   


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