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Erano dei grandi docenti: Domenico Meles, Gaetano Ficuciello, Paolo Pifano


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A distanza di tre o quattro anni da quel I e II liceo in Seminario, a Salerno, un bel pomeriggio, mentre camminavo sul marciapiede, lato opposto ma al cospetto dell’Università degli Studi di Napoli, ebbi la fortuna di incontrarlo.

Lo riconobbi subito e d’istinto :

“Professore! che ci fate da queste parti ?...che piacere rivedervi !….e quasi gli saltavo addosso per la gioia.”

Lui fu quasi sorpreso di essere riconosciuto fuori del suo contesto salernitano e fu lieto di essere salutato con l’affetto e la cordialità che gli esternavo.

Mi accorsi che aveva fretta, ma non potetti fare a meno di chiedergli come mai si trovasse a Napoli.

Mi rispose sorridente, che era venuto per sostenere un esame e che frequentava anche lui l’Università, per laurearsi.

A questa notizia mi venne spontaneo dirgli:

“Professore, come? a Salerno mi eravate Professore, ora a Napoli siamo diventati colleghi!”.

Ne sorrise e a me che lo invitavo per un caffè, declinando l’invito e salutandomi nello stesso tempo, mi rispose che non poteva accettare perché doveva correre alla stazione per non “perdere il treno” che lo riportava a Salerno.

Fortuito, fugace, e per me molto piacevole fu questo incontro col mio indimenticabile ex professore ché mi ricordava l’importante biennio di studi che ebbi la fortuna di frequentare con Lui nel Seminario Pontificio di Salerno.

Quando l’eventuale lettore, leggendo quanto testé scritto, viene a sapere, come io allora, che il Ficuciello insegnasse sebbene sfornito di laurea, non si scandalizzi, perché Lui la laurea l’aveva avuto “ad honorem”; le autorità religiose, infatti, non soggette alle leggi dello Stato Italiano, consapevoli della sua straordinaria preparazione culturale e del suo eccelso profilo di uomo e sacerdote, Gli avevano conferito ”ad honorem” l’incarico di Docente di Materie Letterarie nel Liceo del Seminario.

Nella sua indipendenza dallo Stato Italiano, la Chiesa Cattolica, infatti, gestendo autonomamente i suoi privati istituti religiosi, affidava il delicato compito di insegnanti dei seminaristi a quei sacerdoti ritenuti all’altezza di tale compito.

Non motivo di demerito , bensì il contrario, perché questi Professori erano grandi docenti, in quanto con i fatti e non col titolo accademico, dimostravano di essere all’altezza del compito cui erano chiamatie che, poi, svolgevano con vero spirito missionario, perché “gratis et amore Dei”.

Averlo avuto professore per me è stata una fortuna immensa, un piacere eccezionale, una occasione d’oro, perché quando dalle profondità insondabili della memoria, a tempo e a luogo, a seconda delle necessità e delle situazioni, emergono dei versi che a scuola ho imparato a memoria, provo che è indicibilmente bello ed ineffabilmente gratificante poterli citare.

L’occasione unica, infatti, per imparare certe cose è quella che si presenta nelle aule scolastiche; certe cose se non si imparano, allora, a memoria, non si impareranno mai più, anche perché nel periodo degli studi la mente è meglio predisposta a memorizzare.

Non ci sarà più tempo per rimediare, perché la vita successivamente ci chiama ad altri compiti.

Quel treno passa una volta e poi non passa più.

Direbbe Sant’Agostino: ”Timeo Dominum transeuntem et non plus revertentem

Per rimanere nella metafora, Ficuciello quel treno non ce lo fece perdere.

Gli alunni si ricordano allora anche di quegli insegnanti che, a costo di essere impopolari, ce li fecero imparare a memoria.

Chi questa fortuna non l’ha avuta, invece, non può che rammaricarsi contro chi questa opportunità non ha loro offerto.

Potrà solo dire col Leopardi, ma per un motivo diverso, “Ahi pentirommi, e spesso / ma sconsolato, volgerommi indietro” (dal Passero solitario).

Come si vede, anche adesso, si sono utilizzati dei versi, che anche perché famosi, riescono a comunicare il messaggio che si intende lanciare, in una maniera che risulta più efficace della meno espressiva locuzione in prosa.
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Alla luce di questi esempi luminosi di grandi maestri, mi piace augurarmi che sulle cattedre salgano sempre professori del calibro di Domenico Meles, della levatura di Gaetano Ficuciello, del profilo di Paolo Pifano di cui di seguito dirò, sommi maestri di dottrina e di vita, con l’auspicio che queste figure di docenti non siano un genere in via di estinzione .
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Dalla biografia del Sac. Prof. Gaetano Ficuciello
Il Prof. Ficuciello, nasce a Nocera Inferiore il 4 aprile del 1933 nello storico rione Piedimonte.

Compie gli studi medi e ginnasiali nel seminario diocesano di Nocera Inferiore.

Nel 1950 entra nel Pontificio Seminario Regionale di Salerno e durante gli studi liceali ha come Professore di lettere, latinista e grecista di chiara fama, don Domenico Meles, che ebbe a dire di avere avuto in Gaetano Ficuciello “Un alunno che supera il Maestro”.

L’8 luglio 1956 nel Vescovado di Nocera, viene ordinato sacerdote con dispensa perché solamente ventitreenne.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, dal 1958 fino al 1972, il Rettore del Seminario Regionale di Salerno Mons Antonio Verrastro lo chiamò a insegnare lettere nel suddetto seminario.

Su esortazione dello stesso Rettore si iscrive alla Facoltà di teologia “San Luigi” di Posillipo conseguendo il 10 luglio del 1967 la licenza in Sacra Teologia. Tale licenza sulla base dei rapporti tra Stato e Chiesa gli consentì di iscriversi all’Università statale Federico II di Napoli per conseguire la laurea in Lettere Classiche.

Il 1° settembre del 1972 viene nominato parroco nella chiesa di Santa Maria al Presepe in Nocera Inferiore.

Nel 1975 subisce un delicato intervento chirurgico che segna l’inizio di una sua lunga via Crucis che si conclude con la morte che avvenne al I Policlinico di Napoli il 27 Dicembre del 1992.

Leggendo la citata biografia di cui sono venuto in possesso in data 17.3.2011, oltre quanto sopra riportato, ho potuto apprendere anche che nella ricorrenza del 25° di sacerdozio del nostro Don Gaetano, la famiglia ne volle festeggiare la ricorrenza e all’oscuro dell’Interessato organizzò i festeggiamenti, invitando dalla lontana Sant’Antimo, come ospite d’onore, il latinista e grecista Mons Meles, prima suo professore e successivamente suo collega d’insegnamento nel seminario di Salerno.

Questi, nell’omelia, delineando il profilo di Don Gaetano Ficuciello che gli era stato prima alunno e poi collega d’insegnamento, ne tesse elogi pieni di orgoglio e di ammirazione, per aver avuto in Lui“Un alunno che supera il maestro”

Detto da Mons Domenico Meles, non ci poteva essere elogio più alto e più bello.

Leggendo ancora la biografia curata da Don Carmine Citarella, apprendo pure che il Ficuciello era tanto grande culturalmente quanto spiritualmente.

Era schivo e non amava essere celebrato, perché aveva fatto sua la massima ascetica dell’Imitazione di Cristo “AMA NESCIRI”- Ama di non essere conosciuto-. ( lib.I cap. 2.v.15).

Per questa massima ascetica cui aveva improntato tutta la sua vita, Don Gaetano Ficuciello non amava il palcoscenico, non amava essere festeggiato; quando, infatti, nel 25° del suo sacerdozio, i suoi familiari, lui nolente, gli organizzarono di nascosto la festa, Don Gaetano farà “scontare” la confusione provata durante i festeggiamenti, portando il broncio ai suoi familiari per diversi giorni! (Vedi Don Carmine Citarella nella citata agenda).

Chi, come il sottoscritto, ha conosciuto Don Gaetano Ficuciello, può affermare che non ci può essere un broncio più bello da sopportare di quello che Don Gaetano fece subire ai suoi familiari.

Lapide con epigrafe commemorativa

di Mons Gaetano Ficuciello

nella Parrocchia di S.Maria del Presepe.




Nel cimitero di Nocera Inferiore, venendo dall’ingresso, quasi in fondo al Portico,

in un loculo dei piani bassi, riconoscibile da una sua accogliente fotografia,

in compagnia di migliaia di defunti che in vita furono oggetto delle sue cure di Sacerdote,

giace il corpo di Mons Gaetano Ficuciello.



Il Prof. Don Paolo Pifano
Per ultimo ma non secondo a nessuno era anche il Prof. Paolo Pifano, di Vibonati (SA).

“Absit iniuria verbis” nei confronti di Meles e Ficuciello, ma con Pifano direi quasi “dulcis in fundo”, se non altro per quella sua dolcezza infinita, per quello straordinario garbo che caratterizzava il suo modo di insegnare e per quella infinita grazia con cui si relazionava a noi alunni, manifestazione indubbia anche di tanta grazia interiore e spirituale.

Per l’alto profilo culturale anche Lui va annoverato tra le figure leggendarie di professori che sono stati autentici protagonisti della vita culturale di quel tempo, nonché maestri generosi di numerose generazioni di sacerdoti-alunni che alla loro scuola si sono formati e al loro magistero hanno potuto attingere a piene mai.

Ancora una volta sento la necessità di ripetere di non essere all’altezza di parlare dell’elevato profilo sacerdotale e culturale di questi Sacerdoti-professori, né è questo il compito che mi prefiggo, quando ho deciso di scrivere questi miei ricordi, che non a caso ho denominato semplicemente, ma volutamente, “Testimonianze”.

Oltre a ripetere che parlar di loro:

è cosa dura.... ma per trattare del bene ch’io vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’io v’ho scorte(Inferno Canto I. verso 8 e 9.), io devo aggiungere che:

“………..I’ mi son un che, quando

Amor mi ispira, noto, e a quel modo

ch’ e’ mi ditta dentro, vo significando

(Purgatorio, Canto XXIV vv 52/53/54)

“Io sono uno che quando l’amore mi ispira, annoto, e nel modo che mi detta dentro, io vado scrivendo”.

Non critico letterario, dunque, ma piuttosto un testimone oculare, di ispirazione stilnovista.

Proprio così sento di essere, non uno che scrive per vocazione, ma uno che scrive per amore, per amore e per gratitudine verso quei maestri che nelle aule scolastiche hanno saputo plasmare nei loro alunni una personalità equilibrata, che hanno saputo conferire ad essa i tratti tipici delle persone colte e civili, tratti che simanifestano naturalmente e continuamente lungo tutto l’arco della vita e che li caratterizzano davanti alla comunità degli uomini.

Non “parlare e lagrimar vedraimi insieme” posso dire come il Conte Ugolino (nel XXXIII canto dell’Inferno v.9), ma scrivere e celebrare quei docenti che hanno saputo insegnare ai loro allievi come “l’uom s’etterna” (Dante, Inferno - canto XV, v.85).

Non essendo, quindi, all’altezza di parlare della loro opera di formazione umana, culturale , civile, scientifica, filosofica, religiosa, mi limiterò, anche col Prof. Pifano, a parlare solo di aspetti più leggeri, ricordando qualche episodio riguardante la mia relazione di alunno con Lui .

Un primo ricordo

Mi ricordo della sua dolcezza e della sua signorilità senza limiti, come senza confini era pure la sua preparazione che spaziava in ogni ambito dello scibile umano.

Di lui ricordo un piccolo episodio capitato in classe che fece breccia nel cuore e che rimane scolpito nella mia mente.

Erano i primi giorni di vita della mia classe nel Seminario regionale ed erano da qualche giorno appena iniziate le lezioni. Non conoscevo bene ancora tutti gli ambienti del mastodontico seminario e solamente gradualmente cominciavo a conoscere superiori e i professori.

Fra noi alunni seminaristi provenienti da circa 25 diocesi della Campania e della Basilicata ancora non era avvenuta una vera fusione di classe e permanevano ancora le nostre distinzioni per diocesi, quando il Prof. Pifano cominciava a entrare nella nostra classe di I liceo-filosofico per le prime volte.

L’aula era molto ampia e a gradinata,a lla maniera dei teatri greci.

Noi alunni occupavamo solo le prime due file dei banchi di questa grande aula scolastica, e ciascuna fila di banchi contava una decina di posti a sedere.

Il piano-banco era anche leggermente inclinato verso chi ne occupava il posto a sedere. Il mio posto, dal lato delle finestre, era lievemente alla destra della cattedra dei Professori.

Capitò che mentre il Professore Pifano spiegava la lezione nel più completo silenzio di noi alunni, a motivo del piano inclinato, la matita scivola e cade sul pavimento di legno, provocando un lieve rumore: il rumore di una matita che cade su un pavimento di legno, che rumore poteva provocare?!.... ma nel totale silenzio della scolaresca, il rumorino si avvertì.

Al rumore che non aveva distratto, però, nessuno di noi alunni, il Prof. Pifano, nella sua calma olimpica e con la sua infinita dolcezza, sorprendendo tutti noi per l’inaspettato richiamo, rivolgendosi a me, mi dice:

“ Di Palma ….! stai attento !!!...” .

Tale dolce richiamo, che fu più “distraente” (Meles) della caduta della penna, provocò in tutti i miei compagni un generale divertito sorriso e per me quel richiamo, così dolce, non mi sembrò affatto un rimprovero; anzi mi sorprese piacevolmente, e quasi mi fece sentire “importante”, perché il professore, dopo appena qualche giorno di lezioni, già conosceva il mio nome.

Mentre noi alunni, a causa delle varie provenienze dalle diocesi sia della Campania che della Basilicata, ancora non ci conoscevamo, il professore Pifano, invece, già aveva memorizzato il mio cognome e anche quello dei miei compagni.

Dopo una breve pausa, il Prof. Pifano continuò la sua lezione con la flemma e la tranquilità che lo caratterizzavano, mentre noi, in silenzio e proficuamente, pendevamo dalle sue labbra.

Quel semplice dolce richiamo è rimasto indelebilmente scolpito nella mia mente ed è stato per me sempre motivo di un nostalgico ricordo ! …



Un secondo ricordo:

In I liceo come, già , ho avuto modo di dire, il Pifano ci insegnò la Filosofia e la Storia della filosofia.

Il testo della Storia della filosofia era un testo di Nicola Petruzzellis, e fu proprio dalla bocca del Prof. Pifano che sentìi per la prima volta parlare di questa straordinaria figura di Filosofo, allora cinquantatreenne, che, poi, durante i miei studi universitari, ebbi la fortuna di avere titolare dei due esami di Filosofia Teoretica, e a coronamento dei miei studi universitari, Relatore della mia tesi di laurea.


Un altro ricordo ancora:
La figura del Prof. Pifano è legata anche a un altro caro ricordo.

Nel secondo liceo passò a insegnarci anche la letteratura italiana. Un bel giorno eravamo quasi alla fine dell’ora (scolastica) e aveva già interrogato un mio compagno di classe sui versi che precedono quei pochi relativi alla delicata figura di Pia dei Tolomei (canto 5° del Purgatorio w 130-136)

Io m’aspettavo di essere interrogato, ma essendo alla fine dell’ora ed essendo rimasti da spiegare pochi versi, pensavo che, per quel giorno, fosse tramontato il pericolo dell’interrogazione.

Ma Pifano, dopo aver messo il voto al mio compagno, incurante dell’ora che volgeva al termine, guarda sul registro e chiama per l’interrogazione il sottoscritto.

Sconcertato, e pensando di essere sfortunato, vado alla cattedra dicendo a me stesso : “E adesso, con i pochi versi rimasti, che lezione potrò spiegare?”

Comunque vado alla cattedra e spiego quei nove versi di Pia de’ Tolomei. Alla fine della spiegazione, rimango in silenzio.

Pifano mi guarda e mi chiede di commentare un pò questa delicata figura di donna.

Per fortuna avevo letto il commento a questa figura da un volumetto curato daUmberto Bosco, volumetto che integrava il commento del testo della divina Commedia, curato da Luigi Pietrobono.

Cominciai a riferire gli aspetti poetici di questa figura così come commentata dal critico.

Arrivato alla fine del breve commento, arrivò anche la fine dell’ora.

Il Pifano,contento della mia interrogazione e del mio commento, mi diede un inaspettato bel sette.

La paura di pochi minuti prima si trasformò dopo pochi minuti nella gioia di un bel voto annotato sul registro.



Quando ci assegnava il tema di Italiano
.
Quando svolgevamo il tema di Italiano, se non si trattava di una prova in classe, il più delle volte ce lo assegnava non per casa, perché a casa non eravamo, ma per lo studio, come si soleva dire, invece, in Seminario. Ci consegnava la traccia e ci dava 15 giorni di tempo per la consegna, in modo che avessimo tutto il tempo disponibile per maturare al meglio il nostro svolgimento. Ci autorizzò anche a svolgere i vari temi direttamente su un quaderno, affinché potessimo fare automaticamente una raccolta dei temi da noi svolti.

Le sue correzioni,col relativo voto, avvenivano, pertanto, direttamente su detto quaderno, che per questo motivo conservo gelosamente.

Di tanto in tanto mi capita di prenderlo tra le mani, come adesso, e di poter ancora leggere le tracce di due temi che nell’anno sc.64/65 ci assegnò, di osservare le sue correzioni e i miei errori, e di contemplare il suo voto.

A conclusione della presente testimonianza, lunga ma spero non noiosa, a chi ha avuto la pazienza di arrivare fino alla fine della lettura, offro in visione e in omaggio due tracce di temi assegnati in quel lontano anno scolastico 1964/65:

I Traccia:

“Attraverso uno sguardo retrospettivo agli avvenimenti dello scorso anno, esprimete un vostro giudizio sulla fase storica della nostra società”.

II Traccia:

“Dante, Sordello, Virgilio. Esprimete le impressioni a voi suggerite dall’atteggiamento e dalle parole dei tre personaggi”.



P.S.

Appendice integrativa concernente la testimonianza relativa al Prof. Don Paolo Pifano.
Dopo aver già pubblicato la testimonianza “ Erano dei grandi docenti”, ho continuato la mia ricerca relativamente soprattutto al Prof. Pifano, perché la sezione concernente la sua figura risulta particolarmente carente, priva com’è persino di una sua foto, nonché dei suoi dati anagrafici.

Per una sorta di “par condicio”col Prof. Meles e col Prof. Ficuciello, mi correva l’obbligo di corredare anche la sezione che lo riguardava con una foto.

Allo scopo, mi sono rivolto alla prof.ssa Giovanna D’Antuono, ché nel circondario di Vibonati è solita trascorrere le sue vacanze.

Non potevo individuare un tramite migliore, in quanto per il suo fattivo interessamento sono riuscito ad avere una sua foto che, sicut erat in votis, risale al periodo in cui ne fui alunno. Con essa mi sembra di rivedere l’indimenticabile nostro Professore dei tempi belli del suo insegnamento nelle aule del Pontificio Seminario Interregionale Pio XI di Salerno.

Per questa foto, pertanto, mi corre l’obbligo di ringraziare sia la prof. Giovanna D’Antuono, stratega di una impresa non facile, sia il Dott. Biagio Pifano che gentilmente ha assecondato questo mio desiderio.

Oltre alla foto il Dott. Biagio mi ha fato recapitare anche il numero telefonico del fratello Preside, Prof. Cesare Pifano, terzo e ultimo fratello della famiglia , perché a Lui mi sarei potuto rivolgere per eventuali altre notizie concernenti il loro defunto fratello.

In una cordiale telefonata di ringraziamento, successivamente intercorsa tra me e il Preside, ho potuto constatare quanta cordialità si sprigionasse dalle sue parole e quanto affetto lo legasse al compianto suo fratello.

Mi ripromettevopure di telefonargli nuovamente per avere qualche notizia concernente la vita di Don Paolo, ma non ce n’è stato bisogno, perché per un puro fortunato caso della vita mi sono imbattuto in una suaedificante e preziosa intervista, che sembra fatta apposta per soddisfare tutta la mia sete di conoscenza.Essa è visionabile su Google scrivendosemplicemente “ Ritratto Indiscreto del prof. Cesare Pifano”. Intervista che segnalo volentieria quanti come me sono stati alunni del Prof. Paolo Pifano, perché anche essi ricordano con nostalgia la sua celestiale figura sia di sacerdote che di maestro. Detta intervista consente di andare dietro le quinte della sua vita e ci fa scoprire aspetti meno noti della sua poliedrica personalità; aspetti che ci rendono la sua figura più vicina, più umana e più cara perché presentata nella sfera dei sentimenti con la famiglia e con la mamma, Lui che fu nello stesso tempo un intellettuale di altissimo livello e una figura di sacerdote di celestiale bellezza.


Le notizie di seguitoriportate sono attinte dall’intervista “Ritratto indiscreto del Prof. Cesare Pifano”.

Il Prof. Don Paolo Pifano nasce a Vibonati in provincia di Salerno nel 1933. Fu il primogenito di tre figli: infatti, nel 1935 nasceva il fratello Dott. Biagio e nel 1940 il terzo e ultimo fratello: il Preside Prof. Cesare Pifano.

I suoi genitori erano entrambi in possesso di un livello culturale straordinario per quei tempi; il papà , infatti,aveva studiato nella badia di Cava de’ Tirreni conseguendovi la licenza ginnasiale, mentre la mamma aveva studiatopresso l’esclusivo Collegio delle Suore di Ivrea a Sorrento.Il papà fu titolare di una azienda di pelli in Vibonati, e la mamma, come era costume in quei tempi, curò l’educazione dei figli.

Il casato Pifano era originario di Vibonati, mentre quello materno, il casato “BELLO”, era originario della Puglia. Un casato importante che annoverava tra i suoi membri importanti figure di professionisti, una delle quali fu pure il dott. Vincenzo Bello, zio diretto della mamma. Il Dott. Bello era molto stimato non solo nel circondario di Vibonati ma anche dal più celebre medico di Napoli di allora, daldott.Giuseppe Moscati, diventato di recente San Giuseppe Moscati. Questi, infatti, quando Gli capitava di visitare pazienti che da Vibonati si recavano a Napoli per sottoporsi a una sua visita, era solitochiedere loro perché si sottoponessero a delle inutili trasferte a Napoli, quando poi sul loro stesso territorio avevano un medico di prim’ordine che si chiamava Vincenzo Bello. Una stima che il Dott. Moscati Gli ribadì anche quando venne a Vibonati su sua richiesta per visitarne un paziente, confermandone appieno la diagnosi. La ricetta, stilata allora dal dott. Moscati, passò di mano in mano fino ad arrivare in quelle di Don Paolo che la conservò gelosamente in tutto l’arco della sua vita come una reliquia. Successivamente Don Paolo la donò al fratello Cesare che la conserva anche lui gelosamente, sia perché trattasi di una vera e propria reliquia di San Giuseppe Moscati, sia perché rappresenta il dono più prezioso che il fratello sacerdote pensò di offrirgli.

Apprendo ancora dall’intervista che a 13 anni, Don Paolo Pifano, allora adolescente, volle entrare nel seminario vescovile di Vallo della Lucania per gli studi medi e ginnasiali, e che successivamente passò nel Seminario Pontificio interregionale di Salerno per gli studi liceali, filosofici e teologici. Che, nel 1953, nel Seminario di Salerno conseguì la Maturità Classica, che, però, non avendo valore legale perché conseguita in Seminario, il papà Pifano, che altri progetti di vita nutriva nei confronti del figlio primogenito, volle che sostenesse una seconda volta l’esame di maturità classica, questa volta, però, presso il liceo classico statale Carlo Pisacane di Sapri, allora solamente sezione staccata di Sala Consilina. Su una ottantina di candidati alla maturità, solamente sei ne conseguirono il titolo nella prima sessione e don Paolo fu tra questi. Conseguita la maturità classica statale, al padre che voleva indirizzarlo verso gli studi universitari per il conseguimento di una professione laica, il giovane Don Paolo ricordò che la scelta della sua vita l’aveva già fatta, quando era entrato nel Seminario di Vallo.

Il Papà , “obtorto collo”, ne prese atto, la mamma, invece, ne fu felicissima.

Nel 1958 viene ordinato sacerdote e forse da subito passò dai banchi dei discenti alla cattedra dei docenti, per cui nel 1963 , anno del mio primo liceo, me lo trovai già insigne Professore della Filosofia e della Storia della filosofia. Il Prof. Pifano ché soffriva di calcoli renali ,frequentava Fiuggi per le cure idropiniche e trascorreva i suoi soggiorni nella cittadina termale in compagnia della adorata mamma dalla quale a causa dell’insegnamento solitamente era costretto a vivere lontano.

La mamma, a sua volta, quando poteva godersi la rara compagnia del figlio sacerdote viveva “momenti di grande serenità, perché si godeva il figlio teologo all’Università di Napoli. E forse furono (quelli) i momenti più felici per mia mamma” (Parole testuali di Cesare Pifano). La mamma morì a seguito di una caduta, all’età di 67 anni.

Nel 1975 il Seminario Pontificio di Salerno chiuse definitivamente i battenti e il Pifano passò a insegnare nel Seminario di Posillipo. In questo periodo i suoi studi si manifestano nella pubblicazione di libri di una rara bellezza intellettuale che analizzano il problema di Dio nella Letteratura .

Nel 1997, alla non tarda età di 64 anni, il Prof. Pifano si spegne in Vibonati, nella stessa casa che lo aveva visto nascere; casa natale che ne fu anche la dimora negli ultimi anni della sua vita, prima che la sua anima eletta volasse a Dio che fu non solo l’oggetto dei suoi studi, ma anche il centro della sua vita .

Nel 1998 i due fratelli, Biagio e Cesare, per celebrare la memoria e la figura del loro fratello, organizzarono un convegno che si tenne a Policastro. Vi invitarono e vi intervennero i professori del Seminario di Posillipo, che erano stati suoi colleghi nell’insegnamento. Gli atti di tale convegno sono stati racchiusi in una pubblicazione che mi auguro di poter avere, rivolgendone, sin d’ora, cordiale richiesta al Preside Prof. Cesare, sicuro che, da persona squisita qual è, vorrà assecondare anche questo ulteriore mio desiderio, nel nome del suo grande fratello sacerdote.

Conclusione


Per apprezzare appieno la grandezza di questi tre grandi Maestri non basta la modestia di un cantore come il sottoscritto. Occorre andare direttamente alla fonte dei loro scritti per potere avere una visione più verosimile delle loro personalità. “Te totum in litteris vidi” scrive Quinto al fratello Cicerone. Analogamente, e solo attraverso i loro scritti, si può avere una conoscenza meno approssimativa delle dimensioni titaniche delle figure di Meles e Pifano.

Per Ficuciello, invece, ciò non è possibile, perché, che io sappia, nulla ha lasciato di scritto.

Ciò apparentemente farebbe di Lui una figura secondaria; ma il sottoscritto che ha conosciuto la sua straordinaria personalità, non può non affermare con assoluta convinzione che egli era un grande, alla maniera di Socrate. Ficuciello non ha lasciato nulla di scritto perché, forse, come Socrate, riteneva di non sapere nulla. Ma oltre alla grande umiltà e modestia che fu anche di Socrate, Ficuciello, come sacerdote , conosceva bene e mise radicalmente in pratica l’insegnamento del Vangelo: “et cumoràtis, non èritis sicut hypòcritae, qui amant in synagògis et in àngulis plateàrum stantes oràre, ut videàntur ab homìnibus. Amen, dico vobis, recepèrunt mercèdem suam.. Tu, autem, cum oràveris, intra in cubìculum et, clàuso òstio, ora patrem tuum in abscòndito, et Pater tuus qui videt in abscòndito reddet tibi. (San Matteo VI, 5,6).

“Don Gaetano - scrive il Parroco Citarella nella citata biografia - ha amato così tanto il nascondimento, da farne una costante della sua vita terrena: una caratteristica che lo fa ricordare ancora oggi come persona santa”.

Il Prof. Don Gaetano Ficuciello, perciò, non amava il palcoscenico inteso come simbolo della gloria di questo mondo; lui anelava alla gloria eterna, consapevole che “Non habemus hic manentem civitatem” (San Paolo). Sapeva bene che la gloria di questo mondo svanisce come il fumo, in un attimo!... “sic transit gloria mundi!”.

Per queste ragioni,quanti hanno avuto la ventura di conoscere Don Gaetano Ficuciello, hanno il dovere di celebrarne la figura. Platone testimoniò con i suoi scritti la grandezza laica del suo Maestro, così, analogamente, chi ha beneficiato del suo apostolato e del suo insegnamento, sia testimone della sua santità e del suo magistero.

Per parte mia, non posso non auspicare, con cuore profondamente grato, che Ficuciello, Meles e Pifano, vengano ricordati presso le future generazioni come fulgidi esempi di uomini straordinari, di maestri impareggiabili e di sacerdoti esemplari.

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