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E. M. S. Anno II n. 3 Settembre-Dicembre 2010 Ricerche/Articles


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Oltre Al-Tahtawi, Mohammad Alì si circondò di diversi altri traduttori e “mediatori culturali”. Nelle mie indagini preliminari, condotte sulle opere tradotte e sui nomi dei traduttori, ho trovato un ordine esplicito di Mohammad Alì di tradurre il Principe, o almeno di avviarne la traduzione. Negli anni 1824-1825 (1239-1240 secondo il calendario musulmano), Mohammad Alì affidò a Don Raphaël88 il compito di tradurre in lingua araba il testo di Machiavelli. Si trattava senza dubbio della prima traduzione in assoluto del Principe nei paesi islamici e tuttavia si presentava qui un altro problema perché non tutte le fonti concordano sulla lingua d’arrivo: alcune lasciano intendere che la traduzione fosse in turco, altre in lingua araba. Giuseppe Acerbi, in una lettera da Vienna datata 20 dicembre 1830, scrive per esempio:


[…] troverà alquanto strano che ne’ frequenti colloqui che il mio soggiorno in Alessandria e nel Cairo mi ha procurati col Bascià Mehemet Aly vicere d’Egitto, siasi parlato anche di libri e di letteratura; ma strabilierà forse per meraviglia all’intendere che il Bascià d’Egitto si è fatto fare a bella posta per sé una traduzione in turco del Principe del Machiavelli, bramoso di conoscere di che mai trattasi in un libro del quale aveva inteso parlare da qualche europeo con straordinaria ammirazione (Acerbi 1831:289-290).
Scrive invece Brocchi in data 13 luglio 1823:
Ho altrove parlato dalla stamperia stabilita nel Cairo dall’attuale Bascià, e dei libri che sono ivi pubblicati da D. Raffaele professore di lingua Araba nel collegio di Bulac si fa ora una traduzione in Arabo del Principe di Machiavello per ordine del Bascià; cui fu detto questo un libro che contiene esimie massime di politica, e che insegna ai Sovrani despotici l’arte di governare. Il titolo italiano del libro fu volto in Arabo el Emir. (Acerbi, 1831: 289-290).
Guy Fargette parla di «un prêtre grec catholique, Don Raphaël [qui] traduit le Prince de Machiavel en arabe à la demande du Vice-Roi» (Fargette 1996: 206). Dan Diner (2004) menziona un manoscritto in lingua araba del Principe di Machiavelli di cui era a conoscenza Rifaa Al-Tahatawi. Michael Leeden (2004: 87) riporta un aneddoto in cui un ambasciatore francese cantava le lodi del Principe a Mohammad Alì e questi, incuriosito, fece tradurre in arabo l'autore italiano, ma era talmente impaziente di leggerlo che si faceva portare la traduzione pagina per pagina; giunto però alla quindicesima,89 avrebbe dato ordine di interrompe la traduzione dichiarando: «Questo libro è assolutamente inutile: sono tutte cose che già conosco».

Il nome per esteso del traduttore, un prete siriano di rito greco-cattolico melkita, è Antoun-Zakhur-Rahib Raphaël de Monachis o, probabilmente, Rahib Antoun Zakhur Raphaël,90 dato che Rahib è un titolo che sta per “Don”. Agli inizi del XVIII secolo la famiglia di Antoun si trasferì da Aleppo in Egitto ed egli nacque il 7 marzo 1759 al Cairo, dove adempì i suoi primi studi religiosi ed apprese l’arabo. All’età di quindici anni partì per Roma dove completò gli studi. Dopo aver trascorso cinque anni alla scuola di Sant’Atanasio, studiò per altri due anni le lingue e in particolare l’italiano all’università, quindi nel 1781, compiuto il ventiduesimo anno di età, lasciò Roma per tornare a Saida, in Libano, centro dell’ordine religioso Bazilita. Entrò nel convento di Al-Mukhallis (Il Salvatore), dove lavorò alla traduzione di libri religiosi e documenti poi conservati nella biblioteca del convento. Ebbe vari incarichi ed ottenne diverse promozioni: nel 1781 divenne uno Shammas (diacono), quindi, nel 1785, un Khissis (sacerdote). Tornò poi ancora a Roma per un’ambasceria religiosa durante la quale tradusse molti documenti dall’arabo in italiano e dall’italiano in arabo. Compiuta questa missione, tornò in Egitto dov’era ancora quando vi giunse la spedizione francese, che gli diede l’occasione di soddisfare la sua ambizione e realizzare le sue aspirazioni.

Il 3 Fruttidoro (il 20 di agosto) 1798, ossia, per il calendario Islamico, il 2° Rabi’ Al Awwal 1213) giunse l’ordine di costituire l’Al Majma’ Al Masri (L’Institut d’Egypte), in cui era prevista la presenza di un traduttore arabo con uno speciale stipendio, che sarebbe potuto diventare membro dell’istituto. Fu scelto Antoun Zakhur Raphaël Rahib, nominato poi membro della Commissione della Letteratura e Belle Arti, unico membro orientale a fianco degli altri membri, tutti scienziati della spedizione francese.

Dopo la partenza di Napoleone, il comando della spedizione d’Egitto fu affidato al generale Kléber, che diede ordine di formare una lajna li jam’ ma’lumat ‘an Masr (Commissione per la Raccolta di Informazioni sull’Egitto). Zakhur prese parte all’impresa come interprete di arabo al seguito di Joseph Fourier, continuando la sua attività di traduttore di lettere e faramani (decreti). Tuttavia quest’attività non gli impedì di occuparsi anche di traduzioni scientifiche. Nel 1800 (1214 Hijri), Don Raphaël, che era anche medico,91 tradusse uno scritto di René-Nicolas Desgenettes, primo medico della spedizione, sul Marad al Jadari, il vaiolo.92 Questo fu il primo lavoro tradotto dal francese e pubblicato nella tipografia della spedizione.

Nel 1801 la spedizione francese lasciò l’Egitto. A differenza di altri siriani che accompagnarono la spedizione in Francia, Don Raphaël rimase in Egitto per altri due anni come segretario del responsabile del suo ordine religioso, Don Basilios Atallah, ma dopo essere stato un uomo di stato e di scienza, non restò soddisfatto del suo nuovo incarico: la situazione in Egitto dopo il ritorno al potere degli Ottomani non lasciava spazio alle attività politica e scientifica. Così Don Raphaël rivolse di nuovo la sua attenzione alla Francia: prima scrisse due lettere al vecchio amico Napoleone, ma sembra senza ottenere risposta, quindi decise di partire per incontrarlo di persona.

Nel 1803 Zakhur era in Francia dove incontrò Napoleone e per ordine di questo ottenne, sedici giorni dopo, l’insegnamento di arabo colloquiale (e forse anche di copto) all’Ecole Spéciale des Langues Orientales a Parigi Madrasat al lughat al Sharqiyah. Ebbe anche il compito di tradurre i manoscritti arabi presenti nella biblioteca, riguardanti la letteratura e storia egiziana, e redasse vari libri in lingua araba.

Dopo la caduta di Napoleone Zakhur perse il sostegno del suo amico e protettore, anzi subì l’ira e l’ingiustizia del nuovo governo che decise di ridurre il suo compenso. A questa umiliazione reagì presentando le sue dimissioni. Nell’aprile 1816 decise di tornare in Egitto e nello stesso anno si mise in contatto con Mohammad Alì che stava preparando il terreno per trasporre i saperi dell’Occidente in lingua araba ed aveva appena mandato in Italia un gruppo di studiosi anche perché acquisissero le necessarie conoscenze nell’arte della stampa.

Zakhur divenne uno dei tre insegnanti cristiani della scuola di Bulaq. Il 5 dicembre 1820 il viaggiatore italiano Brocchi visitò la scuola e raccontò di aver conosciuto tre insegnanti: Don Carlo Biloti calabrese, Don Scalioti piemontese e Don Raphaël. L’11 dicembre visitò la tipografia di Bulaq e nominò i primi libri che erano in corso di stampa: Il dizionario italiano-arabo Khamus itali-arabi o italiano-egiziano di Don Raphaël, che fu stampato nel 1822, e il suo secondo libro, una traduzione in arabo (Kitab Fi Sibaghat Al Harir) del trattato francese di Pierre-Joseph Macquer: L’art de la teinture en soie (1763).

A questo punto, ormai assodato che, tra i vari traduttori che circondavano Mohammed Alì, fu Don Raphaël Antoun Zakhur a tradurre il Principe, divenne per me improcrastinabile visionare il manoscritto di questa traduzione. Questo, secondo alcuni, doveva portare il titolo: Al-Amir fi ‘Ilm al-Tarickh wa al-Siyasah wa al-Tadbir (ossia: Il Principe: scienza di storia, politica e governo) e doveva essere conservato nella tipografia di Bulaq (fondata, come accennato sopra, per ordine di Mohammad Alì). Provai una grande delusione quando appresi dalla lettura di due articoli93 che la tipografia di Bulaq, dove speravo di trovare il manoscritto o almeno qualche traccia di esso, è attualmente in stato di completo abbandono, sul punto di «[…] se transformer en un refuge pour les rats et les insects» (Salmawy 2007). Ma poi trovai un’indicazione concreta sull’esistenza e la reale collocazione del manoscritto in The Origins of Modern Arabic Fiction, di Matti Moosa (1997: 96): «He [Zakhur] entered the service of Muhammad Ali as a translator. At Muhammad Ali’s order, he made an Arabic translation of Niccolo Machiavelli’s Prince now preserved as MS 435 in the Egyptian National Archives at Dar al-Kutub». Nel suo articolo (2007: 62-82), Dalya Hamzah fa referimento a Jamal Al-Din Al-Shayyal (1951) dove si parla del traduttore principale del Pascia, Zakhur, e della sua traduzione del Principe, e si specifica che essa era conservata nello stesso luogo e sotto lo stesso numero menzionati sopra.

Il manoscritto giunse alla Biblioteca Nazionale del Cairo soltanto nel 1876, dopo essere stato conservato nella Moschea di Al-Hussein, e considerato come Waqf (dono a Dio), come risulta dalla nota di un bibliotecario sulla seconda pagina: Muhdar min Sayyidna Al-Hussein fi Mars 1876. Fu prelevato dalla Moschea di Al-Hussein nel marzo 1876 e allegato nel mese di maggio al numero 223. Effettivamente trovai il manoscritto sotto il numero indicato, ma il titolo esatto è: ‘Eil Al-Siyasah Wa Husn Al-Tadbir Fi Al- Ahkam che in italiano corrisponde grosso modo a La Scienza della Politica e il Buon Governo nei Regni. Si tratta di un fascicolo di 82 fogli di cm. 21.5 per 16 che danno 162 pagine, ognuna delle quali contiene 20 righe.

La lingua di arrivo è l’arabo letterario. Per la Nallino (1931:609) si tratta di una traduzione spesso troppo letterale, perché il traduttore farebbe ricorso a forme sintattiche non proprio tipiche della lingua araba, come ad esempio il passivo. A una attenta lettura mi sono più volte imbattuta in parole scritte in base alla pronuncia del dialetto egiziano, in effetti Zakhur era esperto di egiziano più che di arabo letterario. Sono tuttavia in disaccordo con la Nallino quando dichiara che il testo risulta incomprensibile se non è accompagnato dal testo originale e quando presume che la traduzione dovette apparire ai correttori della tipografia di Bulaq troppo barbara dal punto di vista linguistico e parecchio oscura riguardo al contenuto; sono in disaccordo, purché superate le prime difficoltà dovute alla peculiare grafia di Zakhur, come la fuorviante somiglianza tra le tre lettere f, q, t e la sovrapposizione di lettere dettata da ragioni di spazio, il testo risulta leggibile e comprensibile nonostante la debolezza linguistica.

Un altro problema consiste nella numerazione delle pagine. Mi sono imbattuta in tre diverse numerazioni, ma dopo un attento esame ho appurato che quella originale, di mano del traduttore, si trova sul lato destro della prima pagina e sul lato sinistro della seconda. Ciò deve avere indotto in errore alcuni studiosi, che hanno considerato ogni due pagine come una sola o come un unico foglio. È invece evidente che Don Raphaël scrisse e numerò per singole pagine e non per foglio, come dimostra il fatto che due pagine completamente separate possono trovarsi sullo stesso foglio. Un esempio: la pagina 143 e la pagina 148 si trovano una di fronte all’altra su uno stesso foglio, così come si trovano sul medesimo foglio le pagine 155 e 14. A conclusione di questa sommaria descrizione, dunque, diremo che il manoscritto è composto da 162 pagine di cui 141 (escludendo prima cinque e poi altre nove pagine mancanti) comprendono ciò che della traduzione in lingua araba del Principe è giunto fino a noi, suddiviso in 25 Raas / Fasl cioè capitoli, mentre il testo aggiunto al Principe è diviso in Kism cioè parti, quasi una pagina per ogni Kism.

L’introduzione è sovrastata da un disegno a mano del traduttore: una figura piramidale fatta di virgolette e cerchietti. Ogni Rass o Fasl è annunciato da un disegno, un motivo a destra e a sinistra del numero e del titolo del capitolo, a formare quasi una piccola cornice. Ogni capitolo si conclude con un trattino di quasi un centimetro. Inoltre ogni pagina termina con la riga numero 20 e con una “reclame” o “parola d’ordine”, cioè una singola parola posta sull’estrema sinistra in basso del testo, che anticipa la parola con cui inizia la pagina successiva.

Il traduttore inizia a numerare le pagine con l’inizio della traduzione (non con l’inizio del manoscritto). Quindi vengono prima quattro pagine non numerate. La prima pagina è vuota e porta al centro un timbro con scritto: Al-Kitab khanah Al-Misryyah (La Biblioteca Kidiwiah Egiziana). La seconda pagina porta il timbro al centro con accanto annotazioni dei bibliotecari. La terza e la quarta portano un’introduzione di Zakhur, iniziano con un ringraziamento a Dio poiché tutto accade per Sua volontà, e lodi a Mohammad Alì che ha reso possibile il lavoro di traduzione. Segue la disanima di alcune problematiche relative alla pratica della traduzione ed emerse nell’affrontare un testo dalla sintassi superata e dal contenuto alquanto complesso. Il traduttore però afferma che la sua traduzione è, secondo lui, «Naqlan ala al-taqdir sahihan», quasi fedele. Traduco qui sotto l’introduzione di Zakhur:


Cominciamo con l’aiuto di Dio, unica fonte di forza e di potere.
Grazie a Dio che con la sua volontà viene trasmessa la catena degli eventi e le notizie, e secondo il suo giudizio e contemplazione avvengono i fatti nei tempi e nei secoli. Egli ha rivelato ad alcuni dei figli di Adamo i comportamenti di altri che cosi diventano meno sconosciuti a colui che spende fatica. Cosi essi possono giudicare qual è la cosa migliore e la più precisa di ciò che comprendono delle tradizioni, istruzioni e dei segni. I politici e coloro che possiedono il potere seguono, secondo queste tradizioni, ciò che considerano più adatto a loro. Così eccellono nella scienza del comportamento e nell’organizzazione. Così sfuggono alle cadute e ai malanni, alle catastrofi dei tempi e alle trappole dei cattivi. Lo ringraziamo per ciò che mi ha donato come capacità di ricerca e correttezza di valutazione.

Dice dunque colui che chiede sostegno a Dio l’onnipotente, il misericordioso e il generoso, il suo schiavo, il sacerdote Raffael Anton Zakhur Rahib (monaco): ho ricevuto l’ordine da colui agli ordini del quale ho l’obbligo di ubbidire, Sua eccellenza il benefico hagg Mohammad Alì, cui appartengono orgoglio e vittoria, il ministro onorevole vicario del regno d’Egitto, unico del suo tempo e della sua epoca, unico dei suoi fratelli e parenti, che Dio ne prolunghi la vita e ne conservi a lungo l’onore e la potenza. Mi è dunque stato ordinato di tradurre il libro conosciuto come il “libro del principe” del maestro Machiavelli sulla scienza della politica e dell’amministrazione. Dunque l’ho tradotto dalla lingua italiana alla lingua araba a beneficio di coloro che occupano cariche direttive. Questa traduzione è quasi esatta, per essere, per colui che la consulti, chiara ed esplicita. Ho dovuto accollarmi il massimo sforzo, la massima diligenza e ogni cura e possibile fatica essendo il libro antiquato nelle sue costruzioni sintattiche e complesso nei suoi significati, perché è stato scritto nel milleseicento. Invoco l’aiuto di Dio all’inizio e lo ringrazio nel momento della fine.


L’accostamento tra Machiavelli e il Pascià, relativamente alle idee ed azioni politiche, mi colpì in quanto dimostrava come il mondo occidentale e quello orientale si prestassero alle medesime strategie politiche, con l’unica differenza che, mentre in Occidente la politica veniva, e viene tuttora, apertamente “dichiarata” e quindi anche studiata, nel mondo arabo essa veniva, e viene tuttora mascherata, anzi taciuta. Questo interesse per la teoria politica in realtà è valido solo in alcune circostanze, in altre non si dà alcuna importanza alla teoria e non si attua alcuna strategia per celare la brutalità della prassi politica: tutto avviene alla luce del sole e non si sente neanche il bisogno di una presentazione accattivante che faccia sembrare meno illecita un’azione.

La traduzione di Zakhur non fu mai data alle stampe. Pare, ma è ancora da dimostrare, che Mohammed Alì l’abbia addirittura sequestrata, impedendone così la diffusione:


Rifaa Al-Tahtawi dovette essere addolorato nell’apprendere che proprio Mohammad Alì, che lo aveva mandato a Parigi per istruirsi, avesse sequestrato94 il manoscritto e ne avesse vietato la pubblicazione (Diner 2004)
La causa della mancata pubblicazione può essere politica, in quanto credo che il Pascià non vedesse alcun motivo – e soprattutto alcun tornaconto – ad aiutare il suo popolo a comprendere i meccanismi del potere. Di qui la censura. Mi rendo perfettamente conto che attribuirgli quest’atto potrebbe offuscare non poco la sua consolidata fama di “luce dell’Oriente” e farci dubitare della sincerità della modernizzazione che promosse. Faccio notare che Zakhur scelse di completare il Principe di Machiavelli con una aggiunta tratta da un altro libro che si intitola Introduzione ai diritti delle nazioni. Probabilmente quest’aggiunta serviva a controbilanciare la situazione a favore dei sudditi.

La causa della mancata pubblicazione o della censura può però anche essere un’altra: Zakhur era molto limitato nelle sue attività a causa degli Ottomani che erano molto sospettosi verso i cristiani che avevano lavorato in Francia o con i Francesi. È evidente che il Principe contiene vari concetti che sono in disaccordo con la mentalità arabo-musulmana, ma Zakhur lo tradusse fedelmente senza adattarlo alla cultura d’arrivo. Per questo il testo di Machiavelli risultava “inadatto” se non addirittura pericoloso; un altro motivo potrebbe essere che, come sostiene la Nallino,95 e come effettivamente ho avuto modo di constatare personalmente, la traduzione di Zakhur appare (almeno in certi passi) linguisticamente piuttosto debole. Ma potrebbe anche essere per il motivo che Mohammad Alì gli preferì un altro libro che tratterò in altra sede, ma al quale mi limito qui ad accennare:


[…] Sono stato assai più preso da meraviglia alla lettura d’un opera scritta originalmente in arabo, ma pure anch’essa tradotta in turco; e quest’opera è quella della storia di Ebn- Khaldun96. È uno scrittore molto più libero del vostro Machiavelli ed a mio avviso molto più utile. Voi dite che il Machiavelli è proibito in vari stati d’Europa; Ebn-Khaldun lo sarebbe assai di più. (Nallino 1931:605).
Nel Medio Oriente, in un contesto che calpesta il pensiero, scoraggia o addirittura proibisce la riflessione e riduce l’uso dell’intelletto al minimo necessario per la sopravvivenza sotto al segno dell’obbedienza, Zakhur fu uno di pochi che riuscirono a introdurre nuovi pensieri nel mondo arabo islamico. Tra i primi fu Averroé (1126-1198), che nel campo della filosofia combatté contro la superficiale interpretazione del pensiero islamico che induceva all’ignoranza schierandosi contro la razionalità e la scienza: fu accusato di eresia ed esiliato dopo che tutte le sue opere erano state bruciate sulla pubblica piazza. Altri pensatori erano stati bruciati vivi. Nella seconda metà del XIX secolo lo studio e la traduzione di testi occidentali aprì la strada a un risveglio culturale che viene chiamato il risorgimento culturale “al-nahdah”, in cui si annoverano figure importanti come Qasim Amin (1865-1908), un laico che considerava la religione inadeguata a sostenere da sola governo e civiltà; i fratelli Takla nel campo del giornalismo, Ahmad Lutfi Al-Sayyed (1872-1963), nutrito di positivismo europeo perché aveva letto Comte, Mill e Spenser, e che considerava la libertà individuale come un diritto fondamentale e il bene più prezioso; Mohammad Abduh (1849-1905) che credeva in un Islam razionale e lavorò alla riforma del sistema educativo; Al-Tahtawi, di cui si è detto sopra ed era contemporaneo di Zakhur; Shibly Shumayyel (1850-1917), il quale dichiarò che nel mondo arabo tre cose mancavano: scienza, giustizia e libertà; Salama Musa (1887-1958), sostenitore di Darwin; Taha Hussein (1889-1973), che, come Mohammad Abduh, auspicava una profonda riforma del sistema educativo scolastico egiziano e che per questo fu accusato di tradire le tradizioni arabo-islamiche.

Zakhur si inserisce tra questi innovatori per la sua fedele traduzione del Principe, anche se questo testo contrastava le sue idee di uomo religioso e contraddiceva i princìpi morali della sua cultura. Essendo di fede cristiana non deve aver patito il dilemma sofferto da Tahtawi, ma occorre tenere presente che la persona per la quale traduceva e la società a cui era destinata l’opera era musulmana. Basti come solo esempio la traduzione di fede: Zakhur usa il termine Al-Amanah (onestà) e lo distingue da Diyanah (religione), mostrando di separare nettamente i due concetti e ammettendo implicitamente che si possa essere onesti senza essere religiosi. Questa idea di separazione tra fede religiosa e onestà era tuttavia in contrasto con la religione e cultura islamiche del tempo, le quali fondavano ogni buona qualità umana sulla religione e sostenevano che non fosse possibile umanità o onestà al di fuori della religione e di quella musulmana in particolare.97



A Don Raphaël va riconosciuto dunque un primato assoluto nel campo della traduzione nella storia dell’Egitto moderno. La mia valutazione dopo un attento esame del manoscritto è che Zakhur padroneggiava il testo e in vari passi diede prova di essere un eccellente traduttore, sempre attento ai dettagli; comprese il significato dell’originale italiano e ne rese perfettamente ogni frase. La sua traduzione meriterebbe quindi di essere pubblicata, se non altro per il fatto che è la prima traduzione in arabo del Principe e che dovranno passare novantadue anni prima che una seconda traduzione venga data alle stampe.

Bibliografia
Acerbi Giuseppe, 1831,“Lettera del Signor Cons. Acerbi, console generale di S.M.I.R.A. in Egitto al Signor Cons. Giromi, Biblioteca della Bibl. Imp. di Brera in Milano, intorno ad alcuni codici arabi portati d’Egitto e trasmessi in dono alla Biblioteca suddetta ed alla Biblioteca Imperiale di Vienna”, Biblioteca Italiana, LXI, Milano, pp. 289-290.

Bachatly Charles,1931, “Un manuscrit autographe de Don Raphael membre de l’Institut d’Egypte (1798)”, Bulletin de l’Institut d’Egypte, XIII, session 1930-1931, Le Caire, pp. 27-35.

Dalya Hamzah, 2007, “Nineteenth-Century Egypt as Dynastic Locus of Universality: The History of Muhammad ‘Ali by Khalil ibn Ahmad al-Rajabi”, Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East, XXVII, 1.

Diner Dan, 2004, “Nazionalismi e Fondamentalismi. Islam: alle soglie della moderntà”, Il Regno, 16, testo tratto dal sito http://www.conflittidimenticati.it/cd/a/17530.html (consultato il 10.02.2009).

Fargette Guy, 1996, Méhémet Ali, le Fondateur de l’Egypte Moderne, Paris: L’Harmattan.

Leeden Michael, 2004, Il Principe dei neocons - un Machiavelli per il XXI secolo, Roma: Nuove Idee.

El Ma’ani Arap, 2010, “The first Arabic translation”, in Roberto De Pol (Ed.), The First Translations of Machiavelli's Prince. From the Sixteenth to the first Half of the Nineteenth Century, Amsterdam: Rodopi 2010, pp. 279-304.
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