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E. M. S. Anno II n. 3 Settembre-Dicembre 2010 Ricerche/Articles


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In totale, nei tre libri espressamente dedicati a questo personaggio (IX-X-XI) e riferiti approssimativamente ad un periodo di circa un quinquennio (1180-1185), ricorrono trentun metafore che lo riguardano, di cui diciannove dedotte dal mondo animale, quattro da quello naturale in generale, quattro di argomento mitico, due relative a personaggi storici, due, infine, riconducibili alla quotidianità. Ad eccezione del paragone con l'poco sopra menzionato e di altre tre occasioni in cui la caratterizzazione si mantiene neutra, nei rimanenti casi il quadro della persona e dell'operato politico di Andronico delineato da Niceta assume una connotazione marcatamente negativa.

Per questa ragione pare opportuno muovere dall'analisi dell'ultima metafora, dal momento che essa compare nella sezione della Narrazione Cronologica in cui, dopo averne descritto la caduta e la morte, lo storico bizantino traccia un profilo dell'imperatore scomparso, presentandone un bilancio – tutto sommato modera-tamente equilibrato – tanto della vita, quanto dell'operato (Chr. Dieg., XI, 8, 11 - 9, 2). In questa sintesi compaiono al contempo feroci critiche per la crudeltà e l'indole violenta, ma anche un certo grado di ammirazione per le acute e coraggiose intuizioni in materia di provvedimenti politici:40
Per dire tutto in breve: se Andronico avesse allentato la tensione della sua crudeltà, se non avesse fatto subito ricorso al ferro cauterizzante e all'incisione, intrecciando e tingendo sempre con gocce di sangue la sua veste a causa dell'inflessibilità nel punire – cosa che egli, il più vagabondo tra gli uomini, aveva assimilato dai popoli stranieri ai quali si era mescolato –, non sarebbe stato l'ultimo tra quanti dei Comneni regnarono, per non dire che sarebbe stato nella giusta norma e del tutto pari ad essi, poiché anche in lui si ritrovavano alcune delle più grandi qualità umane; non era del tutto un bruto, ma come le figure di duplice natura plasmate dalla fantasia [], pur avendo parte bestiale, era dotato anche di una natura umana (Chr. Dieg., XI, 9, 1).
Curioso è il riferimento alle : nella sua cronistoria relativa agli eventi della vita di Andronico, Niceta raramente gli riconosce un lato umano, mentre ricorrenti e continui sono i richiami alla sua indole ferina e selvaggia. Non c'è nella Narrazione Cronologica un riferimento – cui queste parole paiono richiamarsi – ai centauri o ad altre figure simili caratterizzate da detta duplicità; l'unica creatura menzionata che potrebbe sotto certi aspetti essere assimilata a questa descrizione è il Ciclope, che compare, paragonato all'imperatore, in due occasioni. In nessuna di queste, tuttavia, è possibile individuare un'accezione che in qualche modo si discosti dalla visione classica proposta dall'Odissea (IX, 105-107)41 e che consenta perciò di evidenziare l'effettiva compresenza di una natura umana accanto a quella bestiale (Gaul 2003:650).

Nel primo caso Niceta riferisce di un patto tra gli ottimati volto ad opporsi all'ascesa al trono di Andronico che, complice indiscutibili capacità demagogiche e forte, per questo, di un vasto appoggio popolare (Chr. Dieg., IX, 12, 2), si appresta a scagliarsi contro di loro:


Costoro, che ritenevano intollerabili queste sue azioni e avevano dinanzi agli occhi proprio il feroce banchetto del Ciclope, si dettero garanzie reciproche (Chr. Dieg., IX, 12, 4).42
Nel secondo racconta delle paure di Isacco Angelo nel corso della notte precedente il giorno del rovesciamento di Andronico (12 settembre 1185) e della sua conseguente incoronazione quale nuovo imperatore:
quella notte Isacco la passò interamente così, senza far conto del regno, ma pregando di non finire ucciso; sapeva che il carnivoro Andronico lo avrebbe immolato come un bue o piuttosto, al modo del Ciclope, avrebbe gustato le sue carni anche crude (Chr. Dieg., XI, 7, 6).43
In entrambe le occasioni inequivocabile è la caratterizzazione ferina del personaggio, la cui natura sanguinaria viene ancor più rimarcata attraverso il richiamo, meramente metaforico, ma non per questo meno incisivo, all'antropofagia.

Mentre l'aspetto umano è a tal punto relegato in secondo piano da non affiorare se non in misura marginale, quello bestiale torna a più riprese tanto da ergersi a vero e proprio modello della gestione del potere politico da parte di Andronico.

Nel riferire un'interpretazione di un segno celeste apparso poco prima che questi salisse al trono, dando così l'avvio a quella lunga stagione di terrore che si concluderà soltanto con la sua morte, Niceta osserva:
In quei giorni apparve in cielo una cometa, che lasciava intendere il peggio a venire e nel suo disegno faceva davvero presagire Andronico. Infatti, la face comparsa alla vista, che raffigurava la forma di un serpente [] attorcigliato, ora si distendeva ora si avvolgeva in spire, altre volte spalancando la bocca incuteva paura a chi stava a guardare, come volesse ingoiare la terra dall'alto, bramosa di sangue umano (Chr. Dieg., IX, 7, 1).
Analogo richiamo al serpente – –, che, per ovvia analogia con il serpente biblico (Chr. Dieg., IV, 5, 3)44, rappresenta il crogiolo di tutti i mali, compare poco prima (Chr. Dieg., IX, 4, 1) non in correlazione con la figura di Andronico, ma con quella del protosebasto Alessio (cfr. nota 25) che, elevato a tale carica dall'imperatrice alla morte del marito Manuele, spadroneggia a corte nel tentativo – rivelatosi poi vano – di prendere il potere. Mentre racconta di uno scontro verbale tra lo stesso protosebasto e il patriarca di Costantinopoli Teodosio impegnato a contenerne la sfrenata bramosia, Niceta lo definisce «sinuoso (ma anche ambiguo, sleale) serpente» ().

Accomunando attraverso il ricorso alla medesima metafora negativa due personaggi così diversi entrambi coinvolti, ciascuno secondo il proprio disegno, nella lotta per il trono, lo storico sembra voler sottolineare il proprio disappunto nei confronti di due progetti politici che, pur per ragioni diverse, non sono improntanti a quell'esaltata nel Proemio, ma meramente rispondenti ad ambizioni ed interessi personali.

Anche in un'altra occasione viene proposto l'accostamento tra il futuro imperatore e il protosebasto attraverso una metafora animale, benché se ne presentino due chiavi di lettura differenti:
Infatti quell'uomo [Alessio], insediatosi una volta per tutte nella dimora reale come un polipo [] sugli scogli, protesi i suoi tentacoli all'intorno, non voleva affatto andarsene da lì (Chr. Dieg., IX, 3, 4).
[Andronico] Era un seguace di Epicuro e di Crisippo; avendo per disgrazia la lascivia del polipo []. (Chr. Dieg., XI, 2, 1)45
Se nel primo caso il significato politico è chiaro – il Alessio che insinua i propri tentacoli in tutti i gangli della corte per potervisi stabilmente insediare – nel secondo il parallelo è più da ricondursi alla sfera della condotta privata di Andronico e, dunque, da ascriversi nel novero degli elementi che, nella Narrazione Cronologica, concorrono a caratterizzarne negativamente il ritratto e a rimarcarne il comportamento quasi mai conforme ai canoni dell'.

Proprio nel medesimo passo in cui figura questa metafora (Chr. Dieg., XI, 2, 1) se ne ritrova un'altra che, come la precedente, viene sì impiegata per descrivere l'insaziabile brama di piaceri dell'imperatore, ma che, nelle restanti occasioni in cui compare, è funzionale a metterne in risalto tanto la sfrenata ricerca del potere, quanto l'inaudita ferocia:


Spesso si allontanava dalla città con una compagnia di meretrici e concubine: sceglieva i luoghi più solitari e quelli dove c'era molta aria buona; si cacciava in valloni tra i monti e in verdi boschi, come fanno le bestie [], e aveva al seguito le sue innamorate come un gallo [] le sue galline da cortile, un capro [] che guida il gregge le sue capre, o come Dioniso figlio di Semele, le Tiadi, le Sobadi, le Menadi, le Baccanti: gli mancava solo di indossare la pelle di cerbiatto e di portare la sopravveste color zafferano. (Chr. Dieg., XI, 2, 1)46
La figura di Andronico associata al termine – animale, fiera, mostro – ricorre, nei tre libri in questione, in altri sei casi tutti direttamente riconducibili alla sua vita pubblica.47
Nel corso di un incontro tra il patriarca Teodosio e lo stesso Andronico intento a tessere quella complessa trama di relazioni che, alla fine, gli consentirà di salire al trono, il primo, sospettoso nei confronti dell'atteggiamento dell'interlocutore, si nasconde dietro frasi ambigue per evitare lo scontro aperto.48 Riferisce Niceta:
Il patriarca, non volendo rendere furiosa la belva [], che di per sé gli ululava [] contro, o che il cammello [] aprisse la bocca per vomitare le solite cose, avanzò una spiegazione delle sue parole non conforme al vero significato e all'intenzione con cui erano state dette (Chr. Dieg., IX, 8, 2).49
Il richiamo alla natura ferina del futuro imperatore emerge con forza grazie all'impiego congiunto del sostantivo e del verbo – ululo, latro, abbaio – e di essa anche un uomo potente come il patriarca dà dimostrazione di aver grande timore.

In effetti la Narrazione Cronologica è ricca di dettagli relativi agli atti di inaudita violenza compiuti da Andronico sia nella fase di conquista, sia in quella di gestione del potere; il problema della precarietà della vita e della pressoché totale mancanza di sicurezza per i sudditi di ogni ordine e grado a causa dell'esercizio arbitrario del potere è uno dei temi ricorrenti nell'opera del Coniata. I libri IX-X-XI sono a tal punto costellati di episodi in cui si riferisce di sommarie uccisioni, condanne alla privazione della vista o al carcere, che, quando riferisce degli ultimi giorni di vita dell'imperatore ormai in fuga verso Chele e spogliato di tutta la sua oggettiva pericolosità, Niceta non può esimersi dall'osservare come gli abitanti della città


non osarono arrestarlo né lo maltrattarono in alcun modo (la belva [], infatti, benché inerme [], non la temevano meno ed erano atterriti solo a guardarlo), ma gli prepararono una nave e Andronico vi salì con i suoi (Chr. Dieg., XI, 8, 4).
Evidentemente ancora troppo vicini erano gli avvenimenti in cui Andronico aveva dato prova della propria ferocia e, in luogo dell'immagine della belva inerme, permaneva il ricordo di un'altra belva, così ritratta nel X libro della Narrazione Cronologica:

Ma come la fiera sovrana [] piombando con una gran fame su greggi senza stalla né pastore, a un animale spezza il collo, a un altro divora le viscere, un altro lo riduce male in altro modo, e i restanti li caccia via disperdendoli in dirupi, monti e baratri, così allora Andronico, poiché non c'erano precedenti accordi con gli abitanti di Prusa né questi lo avevano accolto di propria volontà, ma la città era stata presa in seguito a una guerra, ne uccise una quantità infinita e fece svanire la sua ira smisurata ripartendola in varie e molteplici forme di torture. (Chr. Dieg. X, 3, 15)50

La metafora si riferisce alla vicenda del vittorioso assedio posto alla ribelle città di Prusa rea, tra l'altro, di aver dato ospitalità a Teodoro Angelo (Chr. Dieg., IX, 13, 1) – forse il fratello dei futuri imperatori Isacco II e Alessio III, benché la questione sia tutt'ora controversa (cfr. Pontani, Van Dieten 1999:611) – e la cui sorte ben si può dedurre da quanto riportato da Niceta.51

L'accostamento tra e sovrano compare anche in una occasione per la quale la Narrazione Cronologicanon riferisce di alcuna azione efferata da parte di Andronico, ma nella quale la natura bestiale di questi viene comunque ribadita da un aspro commento dello storico bizantino; si tratta della descrizione del momento dell'agognata incoronazione in cui si legge:


Quando Andronico entrò nella sacra dimora per essere incoronato, allora per la prima volta lo si vide sereno: la belva [] aveva mutato la severità dello sguardo e ai molti che gli facevano richieste prometteva che le cose sarebbero cambiate in meglio. Ma questo era un evidente inganno, una falsa promessa di quell'imbroglione, e la letizia del suo volto, facendo trasparire una parvenza di umanità, era un'illusione contingente che metteva in ombra l'intima ferocia (Chr. Dieg., IX, 13, 4).
In due passi del X libro, il sostantivo viene posto in correlazione con la descrizione di un banchetto con il quale la bestia intende soddisfare il proprio desiderio di carne e sangue umani: nel primo caso si racconta della vana fuga di Andronico Laparda52 a seguito di un tentativo di rivolta contro l'imperatore Andronico (1183) e si fa cenno al fatto che è ormai inutile per lui tentare di sottrarsi al castigo dal momento che «la Provvidenza lo aveva cancellato dal libro dei viventi, lo aveva già ammannito in pasto alla belva []» (Chr. Dieg., X, 2, 3)53.

Al contrario la liberazione da parte dei Niceni di Eufrosina54 – madre di Isacco Angelo – lascia la belva che assediava la città «a lamentarsi come un novello Fineo di non avere una preda da imbandire alla belva [] affamata della sua ira» (Chr. Dieg., X, 3, 3).55

L'insaziabilità e la ferocia di Andronico vengono da Niceta messe in parallelo con quelle di altri animali cui egli riconduce atteggiamenti, comportamenti e abitudini dell'imperatore. Egli racconta che lo stesso, frustrato dal lungo e infruttuoso protrarsi dell'assedio alla città di Nicea
Affamato come un cane [], per dirla con Davide, per non avere nessuno da divorare, girava intorno alla città e, vagando come un'orsa [] privata dei figli, compiangeva le truppe e rimproverava ai capi di essere infingardi in guerra e di evitare il combattimento. (Chr. Dieg., X, 3, 5)56
La rappresentazione dell'imperatore a guisa di cane – – ricorre nuovamente poco oltre;57 in precedenza, invece, – riferendo di un primo tentativo di uccisione della reggente Maria di Antiochia non messo in atto per un rifiuto da parte di chi avrebbe dovuto prendere parte al delitto – Niceta aveva fatto ricorso, per descrivere l'indole di Andronico, a quest'altra metafora:
Allora, frenato il suo impulso come un cavallo focoso che si trattiene a stento [] o come il fumo avvolto intorno alla fiamma, smorzò la sua ira, che pure non svaniva, e rimandò l'uccisione. (Chr. Dieg., IX, 12, 8)58
Il paragone con il cavallo – che compare anche nel IX libro, benché , contrariamente a quanto avviene in questa occasione in cui è definito non venga associato ad alcuna aggettivazione negativa59 - persegue nel solco della delineazione della figura di un governante non pienamente in grado di tenere a freno i propri impulsi violenti tanto da non riuscire a rinunciare ad un'esecuzione ritenuta fuori luogo addirittura dagli uomini di sua fiducia, ma solo a differirla di poco nel tempo.

É tuttavia attraverso una delle due metafore di argomento storico che Niceta raggiunge l'apice della stigmatizzazione del carattere di Andronico:


Quale Cambise furioso [] o crudele [] Tarquinio o Echeto e Falaride selvaggi [] e bestiali [] fecero cose del genere? (Chr. Dieg., X, 7, 7).
L'imperatore viene descritto nell'atto di assistere ad una esecuzione capitale compiuta con modalità insolite ed efferate: tal Mamalo, segretario di Alessio Comneno (Kazhdan 1983:111; 1994:214),60 viene tenuto in serbo dalla belva «come ultimo pasto» (Chr. Dieg., X, 7, 5)61 e, quindi, nonostante i ripetuti e disperati tentativi del malcapitato di saltar via dalla pira in fiamme e le lacrime di coloro che si sono radunati per assistere all'evento, spinto a forza a colpi di pertica su un rogo appositamente approntato nell'ippodromo della città (Chr. Dieg., X, 7, 6).

Lo storico bizantino evoca in questo passo i nomi di sovrani tristemente noti per la loro crudeltà e, pur caratterizzandoli negativamente attraverso il ricorso ai termini ,,e , non li reputa al livello di Andronico:


Cambise [...] e Tarquinio il Superbo [...] sono citati da Niceta come paradigmi di crudele pazzia anche nell'Or. 7 [...], secondo un uso che conobbe ampia fortuna fin dall'antichità [...] É un topos retorico collaudato l'abbinamento di Echeto, leggendario tiranno Epirota già noto ad Omero (Od. I XVIII 85-7), e Falaride, tiranno di Agrigento nel secolo VI a.C., quali esempi di efferata crudeltà (Pontani, Van Dieten 1999: 650).
4. La volpe e il leone
Ma il potere di Andronico non si configura soltanto come selvaggio e bestiale: egli è anche un individuo e un politico subdolo, capace di muoversi con abilità tra le pieghe di una successione al trono non pienamente consolidata e gradita, capace di allettare e attrarre a sé coloro che possono essergli utili per perseguire i propri fini salvo poi scaricarli, abbandonarli o ucciderli una volta ottenuto lo scopo, capace, da ultimo, di essere «variegato, canuto, cangiante camaleonte» (,,) a seconda dei momenti, della occasioni e, soprattutto, delle opportunità (Chr. Dieg., XI, 9, 2).62

Non mancano, come è intuibile da questo ultimo accostamento, metafore che illustrano anche alcuni di questi aspetti del carattere dell'imperatore; alcune di esse meritano un approfondimento.

Nel IX libro Niceta racconta delle manovre sotterranee messe in opera da Andronico una volta che – morto il cugino Manuele – intravede la concreta possibilità di insediarsi sul trono; poco per volta egli riesce a portare dalla propria parte le figure più autorevoli dell'impero, tanto da essere ricordato così nella Narrazione Cronologica:
Giunto nella tenda che gli era stata preparata lì da qualche parte, ebbe intorno a sé, al modo in cui le chiocce [] raccolgono sotto l'ala i loro pulcini [], tutti i nobili e gli illustri che avevano piantato lì i loro padiglioni (Chr. Dieg., IX, 9, 1).
Pontani e Van Dieten, oltre a sottolineare la derivazione biblica della metafora (cfr. Vangelo secondo Matteo, 23, 37), evidenziano come ne venga impiegata una del tutto analoga anche successivamente (Chr. Dieg., X, 6, 16) in correlazione con l'atteggiamento protettivo dell'Arcivescovo di Tessalonica Eustazio nei confronti dei propri cittadini alle prese con le angherie dei conquistatori Normanni (Pontani, Van Dieten 1999:595; Angold 1992:390 e 1995:180-82). Sembra tuttavia di poter scorgere una differenza tra i due utilizzi: nel secondo caso si tratta evidentemente della descrizione di un comportamento meritorio dettato dall'intento di alleviare una situazione di disagio; nel primo la valenza appare opposta.

Tutti coloro che via via si danno a servire Andronico, infatti, non godono di buona fama da parte di Niceta cui non fanno difetto i termini dispregiativi e i paragoni negativi per caratterizzarli: gli abitanti di Filadelfia che, dopo la morte di Giovanni Comneno63 decidono di passare dall'altra parte appoggiando così il futuro imperatore, vengono definiti cornacchie gracchianti – – fuchi – – che ronzano, perdigiorno – – ed esseri dotati di , ovvero di lingua biforcuta (Chr. Dieg., IX, 11, 5).

Meglio non va alla folla di Bisanzio che, aizzata da Andronico contro il patriarca Teodosio reo di volerne ostacolare i disegni di allontanamento dalla reggia di Maria di Antiochia, viene sprezzantemente paragonata ad un branco di cani di piazza (Ivi, IX, 12, 2); poco oltre, ancora della medesima pronta ad acclamare lo stesso Andronico imperatore al fianco di Alessio, si dice:
Diffusa la notizia di questo bel fatto tra gli stolti cittadini (infatti, bisogna chiamare così il popolo di Costantinopoli), la folla si sollevò come uno sciame di api [] dagli alveari e si radunò (Chr. Dieg., IX, 13, 2).64
In tutte queste occasioni è lampante l'avversione di Niceta per coloro che non riescono ad opporsi all'usurpatore; sembra perciò di poter affermare che anche la metafora della chioccia e dei pulcini sia più facilmente da considerarsi l'ennesima critica ad un gruppo – i nobili e i cittadini più illustri in questo caso – incapace di reagire ad Andronico, anzi pronto a porsi sotto la sua ala protettrice;65 non più quindi un arcivescovo che cerca di perseguire il bene del proprio popolo, ma una serie di meschine figure leste ad andare dietro e ad obbedire a colui che si presenta come probabile futuro reggitore delle sorti dell'impero.

Di riflesso emerge la figura di un personaggio che, in risposta ad una precisa strategia politica, si dimostra abile e accorto nello sfruttare tutte queste debolezze, timori e partigianerie degli individui o dei gruppi che via via incontra lungo il cammino verso il trono.

Natura bestiale e freddo opportunismo, dimostrazioni di forza e di scaltrezza, comportamenti violenti e intrighi, che rappresentano l'essenza dell'Andronico politico, vengono sintetizzati da Niceta in una significativa e – per evidenti ragioni di studio e tradizione – suggestiva metafora:
[Andronico] messo da parte il nobile sentire [[...]
che si addice ai sovrani e la sincerità dell'animo [], quell'essere senza regole [] simula la pietà [] e, non potendo svelare per il momento la pelle leonina [], indossa quella di volpe []. Non solo, dunque, finse di accoglierli di buon grado, ma quasi proruppe in lacrime – questo era il vecchio espediente di Andronico per mettere in ombra la verità [[...]](Chr. Dieg., X, 3, 10).
Al di là del fatto che in questo frangente si faccia riferimento ad una fase dell'assedio di Nicea, emergono egualmente alcuni significativi elementi di analisi: in maniera pressoché identica vengono definiti, nella Narrazione Cronologica, gli Alemanni che, durante il regno di Manuele I Comneno (1143-1180), fanno richiesta di poter attraversare il territorio imperiale, e della cui buona fede, così come – per Niceta – di quella di Andronico, si dubita (Chr. Dieg., II, 7, 1-14):
Ma l'imperatore, per il timore e la preoccupazione che sotto le spoglie di pecore non venissero dei lupicini, o sotto l'aspetto di asini non si nascondessero dei leoni, contrariamente alla favola, o che non unissero la pelle del leone [] a quella della volpe [], raduna le forze dei Romani, riflette con i suoi consiglieri sulla situazione (Chr. Dieg., II, 7, 4).66

Anche nell'Orazione IX egli adotta, questa volta riferendosi alla sola guida degli Alemanni, una terminologia molto simile tanto da definire costui «esperto di molti mali e [...] amante dello spergiuro, abituato a dire alcune cose, ma a nasconderne altre nell'animo, cingendo la pelle di leopardo [] con quella del leone [] insieme ad una maschera di devozione []» (Niceta Coniata, Or. IX, in Van Dieten 1997:89).67

Lo storico bizantino sottolinea inoltre come tale strategia altro non sia che un deprecabile mezzo per mettere in «ombra la verità» ([...]), rimarcando, con l'utilizzo dell'aggettivo – vecchio, antico –, quanto la doppiezza sia un aspetto costante e reiterato della natura del non gradito imperatore.

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