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E. M. S. Anno II n. 3 Settembre-Dicembre 2010 Ricerche/Articles


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Abstract



‘Public Respect’ vs. ‘Factitious Dignity’. Emulation and Reputation in Bentham’s Theory of Bureaucracy


Keywords: Jeremy Bentham, public management, emulation, reputation, JEL classification codes: B10



The paper examines the role of social rewards in Bentham’s analysis of public management. In his early works on reward, Bentham argued that emulation for honour, social status, and in some cases also pecuniary rewards were a potent means to stimulate the productivity and efficiency of civil servants. He admired Catherine the Great, the empress of Russia, for the articulated ‘scale of ranks’ she had contrived to stimulate emulation. However, in later moral and political works Bentham became increasingly sceptical about the use of emulation. In the contest for honour, dignity and status he saw a dangerous mechanism that could generate abuses, mismanagement and corruption. In his theory of representative democracy Bentham suggested to replace competition for ‘factitious dignity’ with the love of reputation (or ‘general respect’) as a motive that could stimulate the efficiency of civil servants and strengthen their ‘moral aptitude’, avoiding corruption and preventing aristocracies. The paper argues that this revision marks a key historical turn from a focus on hierarchical social rewards to another on more horizontal and democratic ones.
Marco E. L. Guidi

University of Pisa

Department of Economics

m
ISSN 2036-3907 EISSN 2037-0520 DOI: 10.4406/storiaepolitica20100301
el.guidi@ec.unipi.it

Andrea Catanzaro

Metafore bizantine del tiranno:

Niceta Coniata e la "bestia" Andronico I Comneno

1. Niceta Coniata e la Narrazione Cronologica
La Narrazione Cronologica – di Niceta Coniata costituisce una delle più ricche, dettagliate ed autorevoli fonti relative all'impero bizantino nel periodo compreso tra la morte dell'imperatore Alessio I Comneno (1118) e la spedizione di Enrico di Costantinopoli contro i Bulgari del 1206 (Simpson 2009:14); Kazhdan, Maisano, Pontani 1994:XIV-XV).13

La redazione di quest'opera, che prende cronologicamente le mosse dall'Alessiade di Anna Comnena – che si ferma appunto al 1118 – e che avrà poi una sua continuazione nell' Historia di Giorgio Acropolite (Kazhdan, Maisano, Pontani 1994:XIV)14, avviene lungo un arco di tempo che abbraccia diversi anni e che ingloba l'epocale e sconvolgente evento della caduta di Bisanzio nel 1204 sotto i colpi della IV Crociata. É ipotizzabile che un avvenimento di tale portata abbia contribuito ad influenzare il lavoro del Coniata; Van Dieten, nel suo studio sui vari manoscritti della Narrazione Cronologica, ritiene che il testo sia stato sottoposto ad una revisione da parte dell'autore proprio successivamente a tale data (Ivi:XVI); tuttavia, come ricorda Alicia J. Simpson nel saggio The Versions of Niketas Choniates' «Historia», non c'è accordo tra gli studiosi su tale questione, tanto che la critica è a tutt'oggi molto divisa e il dibattito al riguardo resta aperto e vivace (Simpson 2006:189-91; 2009:16-17).

Dell'opera, giunta forse per la prima volta in Occidente grazie ai dotti bizantini intervenuti al Concilio di Ferrara-Firenze15 del 1438 (Gallina 1995:327), è attestata la presenza nelle biblioteche degli umanisti già a far data dalla fine del XV secolo (Pertusi 2004:9,13); scarsa tuttavia sarà inizialmente l’attenzione ad essa accordata (cfr. Pertusi 2004:18-19), tanto che l'editio princeps vedrà la luce soltanto nel 1557 a Basilea per mano del discepolo di Melantone Heronymus Wolf, mentre in Italia, e in particolare a Venezia, incominceranno a fiorire le prime traduzioni e i primi volgarizzamenti a partire dal 1562 (Pertusi 2004:49; 58-59; Gallina 1995:328).16

Così se Agostino Pertusi da un lato ricorda la sollecitazione di Lorenzo de' Medici a Jano Lascaris in partenza per la Grecia affinché questi tenti di recuperare, tra gli altri, i manoscritti dei lavori di Giovanni Zonara, Niceta Coniata e Niceforo Gregora (Pertusi 2004:9), dall'altro non può fare a meno di rilevare che «invano si cercherebbero tracce di fonti bizantine in opere che pur avrebbero dovuto contenerne» (Ivi:15), citando nell'ordine i nomi di Benedetto de' Accolti, di Biondo Flavio, di Enea Silvio Piccolomini, di Bartolomeo Sacchi, di Bernardo Giustiniani, di Marcantonio Coccio, di Bernardo Corio e di Pietro Bembo come autori che, per la redazione di alcuni loro scritti, avrebbero potuto o dovuto fare riferimento a suddette fonti (Ivi:15-16).

Lo stesso Pertusi rintraccia nel De gestis, moribus et nobilitate civitatis Venetiarum (conosciuto anche con il titolo di Chronicon de rebus venetis) di Lorenzo de Monacis (1388-1428) il primo caso - rimasto però a lungo isolato - di utilizzo in Occidente degli scritti di Niceta Coniata, Giorgio Acropolite e Giorgio Pachimere (Ivi:18-19).17

É tuttavia il secondo autore che fa ricorso a queste fonti ad essere maggiormente significativo per questa ricerca: nella prefazione del suo De Cesaribus Libri III (1516) Giovanni Battista Cipelli (c. 1473-1553), più noto con lo pseudonimo di Egnatius, si vanta di essere il primo a servirsi dei testi di questi storici bizantini (cfr. Pertusi 2004:22-24); nelle poche righe che dedica alla figura dell'imperatore Andronico I Comneno, egli dà chiara l'impressione di averne recepito pressoché esclusivamente l'immagine di tiranno feroce e sanguinario così come essa viene prevalentemente descritta all'interno della Narrazione Cronologica.18

Analogo percorso troviamo, alcune decine di anni dopo, in Jean Bodin: questi, che nel capitolo X della Methodus inserisce Niceta Coniata accanto a Giovanni Zonara, Anna Comnena e Niceforo Gregora nell'elenco degli Historici Graecorum, ne Les Six Livres de la République si richiama esplicitamente alla Narrazione Cronologica in due occasioni (Isnardi Parente, Quaglioni 1964:357; 1988, II:597-598; nota 34 e nota 56);19 in entrambe si dibatte in merito alla figura del tiranno e uno dei modelli proposti è proprio l’imperatore Andronico I Comneno.

Diversi riferimenti a quest'opera del Coniata compaiono nel De Iure Belli Libri III di Alberico Gentili in cui tra l'altro, a proposito dell'operato di Andronico, si fa menzione del provvedimento da questi adottato per risolvere l'annosa questione del saccheggio delle navi vittime di naufragio (Quaglioni, Nencini, Marchetto et al. 2008:132).20

Appare più moderato rispetto a quanto emerge in Egnatius e Bodin - in particolare per un aspetto che Niceta stesso non manca di sottolineare - il giudizio che compare nel Nouveau Cynée in cui, pur criticando l'imperatore per il comportamento non certo irreprensibile, Eméric Crucé scrive: «aveva tuttavia il merito di punire rigorosamente i crimini, e faceva rispettare a tutti il proprio dovere, specialmente a governanti e ufficiali, che erano costretti a rigar dritto» (Crucé 1979 [1623]:144).

Intento di questo saggio è quello di delineare alcuni aspetti di questo modello di tiranno, attraverso una ricognizione delle metafore che Niceta Coniata impiega nella sua opera per presentare e, quasi sempre denigrare, la vita pubblica e privata di un imperatore che, a suo dire, altro non è stato se non un individuo e, al contempo, un politico violento, selvaggio e totalmente privo di scrupoli.

Nato a Cone in Asia Minore in un anno imprecisato tra il 1150 e il 1155, inviato sin da giovane a Bisanzio per curare la propria formazione, Niceta, dopo gli studi di giurisprudenza e retorica, entra ben presto a far parte del sistema politico-amministrativo della capitale giungendo, durante il regno di Alessio II (1180-1183), a ricoprire il prestigioso incarico di segretario imperiale (Kazhdan 1994: 213; 1983: 91-128; Kazhdan, Maisano, Pontani 1994: XII-XIII)

Tale posizione privilegiata gli consente di osservare tanto gli eventi riguardanti l'impero, quanto quelli interni alla corte e alla famiglia dei Comneni (cfr. Pertusi 1982:790ss), conservando e tramandando nei diciannove libri della Narrazione Cronologica informazioni essenziali per la conoscenza e la comprensione degli avvenimenti convulsi e confusi a lui contemporanei o di poco precedenti. Ad eccezione della prima sezione dell'opera per la quale egli stesso ammette – non essendone stato testimone diretto – di essersi rifatto ad altri autori,21 già per buona parte del regno di Manuele Comneno (1143-1180)22 è Niceta la fonte principale di se stesso.

La presa del potere da parte di Andronico Comneno (1183)23 segna una forte battuta d'arresto nella sua rapida scalata ai vertici dell'amministrazione dell'impero, dal momento che egli, contrariamente a molti intellettuali del tempo – tra cui il fratello Michele (Kazhdan 1983:92), nominato, nel 1182, metropolita di Atene,24 non riconoscendosi nel nuovo regime, opta per il ritiro dalla vita pubblica (Angold 1992); la sua ascesa alle più alte cariche dell'impero riprenderà a partire dal regno di Isacco II Angelo (1185-1195).

Inevitabilmente le pagine della Narrazione Cronologica che Niceta dedica ad Andronico – nel dettaglio alcuni passi nel IV e V libro e, più diffusamente, i libri dal IX all'XI – finiscono per essere ferocemente critiche e fortemente caratterizzate da un giudizio negativo sia sulla persona, sia sull'operato del nuovo sovrano; non mancano, tuttavia, passi in cui lo storico di Bisanzio, deposto l'astio nei confronti dell'imperatore, ne mostra un ritratto più equilibrato inserendovi anche elementi di cauta ammirazione e misurato apprezzamento (Kazhdan 1983:112-13; Kazhdan, Epstein 1985:226; Pertusi 1982:791).


2. Andronico Comneno: una figura controversa
Tentare di delineare le condizioni in cui versa l'impero all'indomani della morte di Manuele Comneno e quindi tracciare un profilo della situazione socio-economica che costituisce il contorno, se non, addirittura, il terreno di coltura, dell’ascesa di Andronico, non è affatto agevole: due sono infatti gli scenari principali che la critica oggi disegna e opposti i percorsi di analisi che essa segue. Il primo, riconducibile al lavoro di Ostrogorsky, tratteggia la cornice di un quadro a tinte fosche: sotto i Comneni al principio di successione dinastica va progressivamente sovrapponendosi anche l'idea di una gestione familistica del potere;25 incarichi, magistrature e posizioni di prestigio vengono sempre più affidate e delegate a membri facenti parte della ristretta cerchia familiare e questo, oltre ad alimentare un crescente malcontento della restante parte dell'élite dirigente, tende a favorire un generalizzato scadimento dell'efficienza del sistema nel suo complesso (Ducellier 1988:215). Le numerose campagne militari, condotte da Manuele principalmente contro gli stati latini d'Oriente, l'Ungheria e la Serbia, riducono drasticamente le risorse economiche dell'impero, favoriscono l'ascesa dell'aristocrazia militare e accrescono il peso del latifondo nell'economia; il mantenimento di un esercito che continua ad aumentare di dimensioni e ad attrarre a sé buona parte della popolazione attiva che, allettata da prospettive di guadagno, si dimostra pronta ad abbandonare tutto pur di arruolarsi, grava sulle spalle della restante parte del corpus sociale, sempre più oppresso dal carico tributario e fiscale imposto da uno stato in continua ricerca di risorse per il sostentamento dei propri apparati (Ostrogorsky 1968:350-355; Pertusi 1982:789-90). La corruzione degli amministratori inasprisce ancor più la situazione, contribuendo ad alimentare il malcontento nei confronti delle classi dirigenti e della stessa famiglia imperiale (Ostrogorsky 1968:359). Il quadro è ulteriormente complicato dalla presenza, massiccia e poco gradita a buona parte della popolazione, di mercanti latini a Bisanzio e, in generale, nei territori dell'impero, cui fa però da contraltare l'appoggio loro concesso da Maria di Antiochia, cui, a causa della giovane età dell'erede designato, è delegata la reggenza all'indomani della morte del marito Manuele (Ostrogorsky 1968:357);26 ad alimentare il risentimento nei confronti dei Latini contribuiscono infine la forte contrapposizione tra chiesa di Oriente e chiesa di Occidente e le loro rispettive rivendicazioni.

Diametralmente opposta è l'interpretazione offerta da Kazhdan e dalla corrente di studi a questi riconducibile (Kazhdan, Maisano, Pontani 1994:IX-X):27 nel XII secolo Bisanzio e l'impero d'Oriente tutto conoscono un periodo di crescita economica e di prosperità che dà vita ad una sorta di «pre-rinascenza, analoga alla «rivoluzione» culturale dell'Occidente coevo» (Kazhdan, Maisano, Pontani 1994:IX-X). La crisi e la conseguente caduta, si spiegherebbero perciò in un altro modo:


Il tempo delle monarchie universalistiche era ormai passato. In Occidente erano sorti gli stati nazionali: la Francia era uno di essi, e l'Inghilterra ben presto la seguì. Bisanzio, invece, dopo Manuele, mantenne le sue antiche velleità. Peggio ancora, Andronico I Comneno [...] trovò il modo di distruggere quegli elementi sani della società, l'aristocrazia militare e le città provinciali, che erano stati alla base della prosperità di Manuele. Andronico e gli Angeli [...] tornarono alle tradizioni dell'amministrazione precedente all'età comnena, anacronistiche alla fine del dodicesimo secolo (Ivi:X; Kazhdan, Ronchey 1997:151).

In entrambi i casi, comunque, è evidente come l'Impero bizantino si trovi, alla morte di Manuele, in un momento molto critico della propria storia; se si tratti di una crisi di sistema o di una crisi del sistema è una questione ancora aperta; ciò che è certo invece è che l'opera del Coniata sia, proprio in quegli anni, in una fase di piena gestazione.

L'analisi qui proposta si focalizza su un periodo di tempo molto limitato, poco più di cinque anni (1180-1185), e sulla figura di un individuo, Andronico Comneno, che innesta prepotentemente in questa situazione il proprio progetto politico, con l'intento di risollevare le sorti di Bisanzio e dell'impero, ma anche, se non soprattutto, di soddisfare la propria brama di potere e il proprio fermo e a lungo covato proposito di sedersi sul trono.

Il giudizio su questo personaggio e sul suo regno è ancora oggi quanto mai controverso: di lui Kazhdan scrive

Arrivò al potere con un ampio programma «democratico», promettendo un governo onesto, un alleviamento della pressione fiscale e un'economia florida e solida. Instaurò tuttavia la legge del terrore e un regime di arresti, confische ed esecuzioni capitali. Era un uomo di talento e di fascino, ma allo stesso tempo mentitore e ipocrita (Kazhdan, Maisano, Pontani 1994: 13).
Ostrogorsky rileva:
Egli aspirava ad una rigenerazione dell'impero. Prese una ferma posizione contro i mali contro i quali i suoi predecessori non avevano fatto nulla. Voleva eliminare dalle radici il prepotere della nobiltà. Ma non conoscendo altri metodi di governo che non fossero quelli dell'uso senza scrupoli della violenza, il suo governo divenne una catena di terrore, congiure e crudeltà. Non c'è dubbio [...] che nelle province dell'impero le misure da lui prese portarono ad un miglioramento [...] della situazione (Ostrogorsky 1968: 358).
La complessità del personaggio, la sua mistione di nobili intenti e cieca ferocia, ben si accordano con l'intento narrativo di Niceta Coniata che, convinto che la storia «stigmatizzando la malvagità ed esaltando il ben fare, in genere rende gli uomini, che inclinano all'una e all'altro, rispettivamente moderati e migliori» (Chr. Dieg., I), insiste a più riprese sull'intima correlazione tra indole e azioni allo scopo tanto di far emergere questo loro profondo legame reciproco, quanto quello di esaltare l'quale fonte cui esse dovrebbero ispirarsi e quale meta cui dovrebbero entrambe convergere.28

Anche il linguaggio e lo stile della Narrazione Cronologica rispondono a tale disegno: l'enfatizzazione e la condanna degli individui e delle loro azioni, la critica o l'elogio dei comportamenti, delle scelte individuali e degli atti dei singoli affiorano a più riprese nel corso dell’opera, secondo il preciso e dichiarato intento dell'autore di far sì che gli uomini «non siano indifferenti alla cosa più amabile: la virtù» (Chr. Dieg., I).

Emblematiche in tal senso appaiono appunto le pagine dedicate ad Andronico I Comneno; il ritratto che vi si delinea, sia per quanto riguarda la persona, sia per quanto concerne le manovre da questi architettate e messe in opera per la conquista e il mantenimento del potere, spazia dalla critica per gli atteggiamenti al limite del tirannico, alla – seppur limitata – commozione e compassione per la misera fine che la sorte da ultimo gli riserverà (Kazhdan, Epstein 1985:226).

L'immagine che ne emerge si rivela quanto mai poliedrica e sfaccettata e, benché condizionata da un giudizio essenzialmente negativo – ma mai celato – da parte dell'autore, risulta ricca di elementi che consentono di scandagliare in profondità l'operato di un individuo capace di leggere i segni di un declino che di lì a poco sarebbe culminato con la caduta di Bisanzio (Kazhdan, Maisano, Pontani 1994:IX), attento nell'individuare negli arbitrii e nella corruzione della classe dirigente i germi della debolezza dello stato, risoluto nel porvi rimedio,29 ma non in grado di perseguire i propri fini politici se non attraverso l'instaurazione di un sanguinario e folle regime di terrore.

Tra i vari elementi desumibili dall'analisi condotta da Kazhdan nell'Introduzione del volume Niceta Coniata. Grandezza e catastrofe di Bisanzio, significativo è l'accento posto sul fatto che lo storico bizantino – nel suo riferirsi ad Andronico – faccia ricorso al sostantivo basileús in sole diciotto occasioni e per di più esclusivamente nel riportare discorsi fatti da altri, mentre così non accade con i restanti imperatori cui il titolo è associato con frequenza quasi automatica (Kazhdan, Maisano, Pontani 1994:XXXV).30

Il dato concorre senza dubbio a confermare il giudizio negativo espresso da Niceta nei confronti dell'imperatore; altrettanto significativo, tuttavia, nonché apportatore di ulteriori arricchimenti, può rivelarsi un esame delle ricorrenze, delle tipologie e delle fonti delle metafore politiche a questi dedicate all'interno della Narrazione Cronologica.31

Benché l'autore stesso nel Proemio (Chr. Dieg., I, 4) avverta il lettore di non aspettarsi, in fatto di ricercatezza di stile, periodi elegantemente rifiniti e frasi particolarmente elaborate in quanto non adatti al linguaggio della storia che deve al contrario tendere alla chiarezza e benché egli si scusi per la forma – a suo dire – non impeccabile del racconto (Chr. Dieg., I, 6), la ricchezza del lessico e la cura profusa nel procedere per metafore ed immagini fanno sì che il testo acquisisca, proprio in virtù di tali accorgimenti, quella chiarezza in origine ricercata.32
3. Metafore per un imperatore-tiranno
I primi riferimenti ad Andronico Comneno si incontrano nel IV libro quando si fa menzione della neanche troppo celata brama di questi di prendere il posto del cugino Manuele alla guida dell'impero;33 proprio questo insaziabile desiderio di potere, sarà causa della prima carcerazione del futuro sovrano.

Niceta, parlando di lui, lo bolla subito in maniera perentoria: «»34 (quello che in seguito fu tiranno dei Romani). Tuttavia egli non può esimersi dal riconoscere le reali ragioni di astio nei suoi confronti da parte dell'imperatore:


Costui era stato incarcerato per le cause sopra esposte, ma non meno per essere sempre franco nel parlare, superiore a molti quanto a vigore, per la sua conformazione fisica adatta all'esercizio del potere, per il suo orgoglio ignaro di umiltà: tutte cose che i regnanti sono portati a temere, a considerare irritanti, sconvolgenti fin nell'intimo per la paura che hanno riguardo al loro potere. Per questo dunque, ma anche per la sua destrezza nelle battaglie e la distinzione della sua famiglia [...], egli era continuamente tenuto d'occhio ed era molto sospetto (Chr. Dieg., IV, 3, 1).35
Grazie a queste innate qualità, Andronico riesce abilmente a sventare «come tele di ragno» (Chr. Dieg., IV, 3, 3) diverse macchinazioni ordite contro di lui, benché le medesime non si rivelino sufficienti ad evitargli il carcere per mano di Manuele.

Niceta dà notizia di numerosi episodi della vita avventurosa del futuro imperatore, ma è nel momento della morte del sovrano in carica e della successiva ascesa al trono del figlio dodicenne di questi, Alessio II, ancora troppo giovane e non in grado di gestire l'impero,36 che il racconto entra nel vivo ed egli diventa pienamente protagonista del racconto.

Sotto la guida della reggente Maria di Antiochia la situazione a Bisanzio diventa via via più instabile:
L'imperatrice concesse la sua fiducia ad un nipote del defunto imperatore, il protosebastos Alessio Comneno, che assunse il controllo degli affari politici. Ma la scelta fu poco felice [...] La occidentale Maria e il suo favorito erano ugualmente odiati dal popolo. Era nella natura delle cose che sotto questa reggenza venisse accentuata la politica latinofila e a questo fatto il cittadino di Bisanzio attribuiva il rapido deterioramento della situazione interna e internazionale. Il risentimento contro i Latini cresceva: sia contro i commercianti italiani che si arricchivano a Bisanzio, sia contro i mercenari occidentali, che rappresentavano il principale sostegno della reggenza. Più volte gli esponenti della dinastia dei Comneni, tentarono di abbattere il governo con un colpo di mano. Ma tutti i tentativi fallirono (Ostrogorsky 1968:357).37
Andronico diviene così il catalizzatore della maggior parte dei dissensi montanti nel regno e nella capitale tanto che – osserva Niceta – «per questo tutta la città desiderava Andronico e il suo arrivo era considerato come una face, un astro splendente [] in una notte senza luna» (Chr. Dieg., IX, 2, 12).38

Se dal punto di vista del consenso egli è consapevole di avere pochi ostacoli sul proprio cammino (cfr. nota 25), per contro si trova ancora in difetto per quanto riguarda la ricerca di un pretesto plausibile che gli permetta di non presentarsi come un usurpatore, bensì come legittimo pretendente al trono. Un'ardita interpretazione di un giuramento precedentemente fatto all'imperatore Manuele e al figlio Alessio, lo convince di aver finalmente trovato il tanto agognato appiglio per le proprie rivendicazioni;39 di conseguenza, «insediatosi su queste parole come le mosche sulle piaghe [], poiché gli erano molto utili a conseguire quel potere che attendeva da tempo» (Chr. Dieg., IX, 2, 9), Andronico si decide all'azione.

Le due metafore sembrano ben delineare i contorni del confuso contesto politico del momento: da una parte si attende con trepidazione l'arrivo di un nuovo sovrano che possa risollevare le sorti del regno, dall'altro lo si dipinge come un essere cavilloso in cerca di pretesti per giustificare un'azione di forza; la contrapposizione tra la ripugnante immagine della mosca – – sulla ferita – – e quella quasi messianica della stella – – rende in maniera piuttosto efficace l'idea di quanto dovessero essere variegate in quel frangente le letture e le interpretazioni di ciò che stava avvenendo.

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