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Corso di laurea in ingegneria dei materiali corso di scienza e tecnologia dei materiali ceramici


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21a lezione 26/05/03

  • FILLOSILICATI E TECTOSILICATI

I fillosilicati ed i tectosilicati sono i materiali più abbondanti sulla crosta terrestre. I tectosilicati sono della strutture formate da tetraedri di alluminio e silicio fatti ad anelli di quarzo e si replicano orizzontale,verticale, orizzontale,verticale. Si tratta di una struttura a 4 tetraedri, compatta rispetto a quella delle zeoliti che formano degli anelli a 8. Erodendosi formano delle strutture lamellari che sono le argille.


  • LE ARGILLE

Le argille sono dei materiali tipicamente naturali che si sono formati per sedimentazione. I feldspati che sono silicoalluminati idrati contengono ioni alcalino, alcalino-terrosi e sono i materiali più comuni che vengono fuori dalle eruzioni dei vulcani e , quando solidificano, formano delle strutture tipo tectosilicati. Questi feldspati hanno quindi una struttura cristallina che deriva da una cristallizzazione a pressione atmosferica che li fa solidificare. Essi sono praticamente erodibili dall’acqua ed in seguito all’erosione si formano tanti silicati che poi andando nei fiumi si vanno a ricondensare, a collegare con altri strati in modo da formare le argille. La formazione degli strati lamellari di argilla avviene a bassa T. Le argille possono essere di due tipi: primarie o secondarie. Esse sono primarie quando il feldspato viene eroso e trasportato dall’acqua dove ricristallizza sottoforma di argilla. Un esempio di queste argille sono i caolini che sono molti duri proprio perché, data la poco distanza percorsa non si contaminano molto con un’altra serie di prodotti. Essi sono secondarie quando per effetto della lunga distanza percorsa dalla roccia erosa a dove si ricondensano, i sali alluminati praticamente si mischiano con un’altra serie di prodotti. In questa categoria può rientrare la montmarillonite che quindi è un’argilla secondaria in cui oltre al silicio ed alluminio ci sono tanti altri cationi tipo alcalino, alcalino-terrosi.

Le argille che quindi sono dei silicati idrati di alluminio o magnesio hanno come unità strutturali tetraedri di silicio al posto del quale si può sostituire l’alluminio ed ottaedri di alluminio o magnesio o ferro. Quando c’è l’alluminio c’è un problema di carica. L’alluminio ha valenza 3 il magnesio 2. L’alluminio forma delle argille che si chiamano diottaedriche mentre quando c’è il magnesio si hanno argille dette triottaedriche. Gli ottaedri sono di più quando c’è il magnesio rispetto a quando c’è l’alluminio. In qualche modo l’argilla può essere pensata come una sintesi di materiali inorganici realizzata a bassa T e quindi senza bisogno della fusione come nel caso delle rocce metamorfiche oppure di quelle che solidificano in seguito alle eruzioni vulcaniche. Le argille si formano a T e p ambiente. Quando due gruppi OH di uno strato tetraedrico tendono ad avvicinarsi questi condensano dando acqua. All’interno di uno strato per esempio ottaedrico, se si va a sostituire ad un catione allumino un catione magnesio, si crea un difetto di carica e l’ossigeno che non compensa la valenza dell’alluminio tende a caricare lo strato ottaedrico negativamente. Lo stesso avviene quando al posto del silicio dello strato tetraedrico si sostituisce l’alluminio. Il silicio ha valenza 4 l’alluminio 3 quindi dà all’ossigeno un eccesso di carica negativa. Allora possiamo vedere dell’argille cariche negativamente perché c’è stata una sostituzione nello strato ottaedrico o in un tetraedro e le propietà delle argille cambiano in modo radicale a seconda che è avvenuta l’una o l’altra cosa. Questo accade perché quando avviene la sostituzione nello strato tetraedrico l’ossigeno non compensato sta molto vicino alla parte esterna della lamella quindi quando intercetta il catione alcalino se lo tira forte a sé e lo lega mentre se la carica non compensata sta tra gli strati tetraedrici cioè su quello ottaedrico il catione risente di un effetto di attrazione negativa però è separato dall’ossigeno non compensato per cui sente un’attrazione ma delocalizzata e blanda. Questo è il motivo per cui materiali come le miche che sono anche dei fillosilicati sono totalmente diversi dalle argille. Nelle miche che pure contengono silicati, alluminati di ioni alcalino, alcalino-terrosi la sostituzione dell’alluminio negli strati tetraedrici fa si che gli ioni che fanno parte degli strati lamellari vengano legati molto fortemente quindi le miche non sono sfogliabili, lavorabili come le argille. Esse sono isolanti e resistono bene alle alte T.




  • RAPPRESENTAZIONE DI ALCUNI MATERIALI MICACEI E MONTMARILLONITE

Tra i materiali micacei abbiamo la muscovite. In mezzo alla muscovite troviamo solo alluminio quindi è una struttura che non ha difetti di sostituzione mentre negli strati tetraedrici abbiamo il simbolo del cerchio con il punto dentro che sta a significare che può essere o silicio o alluminio. Se c’è alluminio questo tende ad attrarre, a legare in maniera ionica ed abbastanza intensa lo ione alcalino e questo forma la mica che è refrattaria. Invece nel caso della montmarillonite ( che ha struttura TOT ), nello strato tetraedrico, si ha solo una trascurabile sostituzione di silicio con alluminio quindi gli strati tetraedrici non sono responsabile della carica se non in maniera trascurabile. Nello strato ottaedrico vi è una sostanziale sostituzione di ioni magnesio al posto di quelli di alluminio. Questa carica negativa in eccesso viene saturata con sodio e calcio.

Il fatto che la montmarillonite risenta ma solo alla lontana della carica che sta in mezzo agli ottaedri fa si che questo effetto di attrazione sia abbastanza delocalizzata e che gli ioni alcalino – terrosi possano cambiare posto ed eventualmente essere attratti dall’acqua. L’acqua può entrare tra gli strati e come conseguenza questi materiali possono delaminarsi. A ciò e dovuto anche la plasticità.




  • DISPOSIZIONE PLANARE: STRATI TETRAEDRICI ED OTTAEDRICI E FIG. 12.7

Nelle lamelle in genere i tetraedri sono legati in modo da formare un piano; i vertici e le basi sono tutte collegati tra di loro. I vertici che sono dalla parte dove le basi non sono legate tra di loro si legano con reazioni tipo condensazione come quelle viste nel processo sol gel. Quando il vertice di un tetraedro si trova libero può, per esempio, essere pensato collegato con un OH. Quando tale gruppo ossidrile vede il gruppo ossidrile nell’ottaedro dove c’è per esempio alluminio e magnesio OH e OH possono condensarsi e formare questi strati TOT.


  • LEGAMI INTERLAMELLARI E REAZIONI INTRACRISTALLINE NEI FILLOSILICATI CON STRATI CARICHI

Tra le diverse strutture dei fillosilicati esistono diversi tipi di legami come le forze di Van der Waals, legami di idrogeno. Lo spessore che separa una lamella dall’altra può variare di molto a seconda del contenuto di acqua e può andare da 10 a 15 Ǻ. Quindi l’idratazione o la disidratazione dell’acqua può comportare grosse variazioni dello spessore. Questo fenomeno è responsabile del ritiro. Una montmarillonite fortemente idrata, se va a disidratarsi, può subire una riduzione di spessore del 30% e se questa riduzione non avviene in maniera controllata il materiale si spacca. Il processo di eliminazione dell’acqua quindi deve avvenire lentamente e delicatamente. Possibilmente nelle argille che contengono montmarillonite o comunque argille fortemente idrofiliche che si caricano di acqua è bene aggiungere degli agenti che si chiamano dimagranti. Questi possono essere argilla cotta tritata che non tenderà più a prendere e a ridare acqua quindi è una fase inerte che messa nell’impasto argilloso fa ridurre le contrazioni e le dilatazioni. E’ bene tenere a mente che assorbendo acqua si può verificare il fenomeno dello swelling che consiste nel distacco delle lamelle. Altri fenomeni che si devono tenere presenti sono che negli strati lamellari ci può essere lo scambio ionico dei cationi e che le argille cariche possono legarsi con molecole organiche.

Lo swelling e l’interazione con molecole organiche non sono una scoperta recente già i cinesi li avevano scoperti impastando il caolino con l’urea.




Nella figura B sono rappresentati i vari tipi di interazioni che possono aver luogo nelle argille con gli strati carichi. Quindi in un’argilla di partenza che ha solo stati TOT e dentro un catione alcalino, alcalino-terroso può avvenire uno scambio ionico, una solvatazione. Il fatto cioè che l’acqua entri nelle lamelle e le allarghi fornisce la possibilità a gruppi organici carichi tipo ioni ammonio di entrare dentro. Inizialmente si intromettono senza espandere la struttura tra le lamelle e successivamente dilatano per via dello swelling provocando il loro distacco.

NANOCOMPOSITI.

22a lezione 04/06/03


  • Creep.

Il creep nei materiali ceramici come nei metallici è una deformazione non elastica ma permanente, dove il materiale è sottoposto ad uno stress costante e si valuta la deformazione del materiale in funzione del tempo ad una determinata temperatura . Così come nei metalli, se si plotta la  in funzione del tempo si trovano tre zone, così chiamate:

  1. Creep primario;

  2. Creep secondario;

  3. Creep terziario, in cui si ha la rottura.

La cosa più interessante e più riproducibile è quella di studiare il creep secondario in cui abbiamo una legge di tipo Arrhenius, che dipende dalla temperatura , dall’energia di attivazione, ect.


  • Meccanismi di creep.

Come spiegare il creep nei materiali ceramici e quali le principali differenze rispetto ai materiali metallici?

Innanzitutto il creep nei materiali monocristallini, sia ceramici che metallici, si può studiare ammettendo che vi è la presenza di piccoli difetti, tipo dislocazioni di linee, di punto, ect.; poi il trasporto di tali difetti determina la deformazione del materiale. Quindi, in un materiale monocristallino si ammette che vi siano difetti del cristallo, essenzialmente dislocazioni di linea.

Nei materiali policristallini metallici abbiamo invece i difetti nei grani che generano il creep. Nei materiali ceramici il movimento delle dislocazioni è più difficile, infatti il movimento di un piano cristallino su un altro, nei materiali metallici, non è così critico come nei ceramici, per il fatto stesso che i singoli atomi sono cementati da un mare di elettroni, ma non legati tra di loro, per cui lo scorrimento è più facilitato nei metallici che nei ceramici, ovvero materiali di natura ionica e covalente dove i legami tra atomi sono più spiccati e direzionali.

Pertanto, generalmente i materiali ceramici sono più resistenti al creep, rispetto i materiali metallici; anche se fenomeni diffusivi e dislocastici determinano il creep anche nei materiali ceramici.

Nei materiali monocristallini si ha creep per il movimento delle dislocazioni. Comunque questo movimento delle dislocazioni s’innesta anche nei materiali ceramici ad alta temperatura.

In un materiale ceramico prima ancora che intervengano le dislocazioni con il loro movimento, avviene il creep in zona primaria a causa dei bordi di grano, ovvero regioni in cui il materiale non è completamente cristallino, anzi a volte vi è una fase vetrosa che lega i bordi di grano, che si deforma con l’applicazionedello stress.

Allora la prima zona del creep primario si spiega con un riarrangiamento del materiale nei pressi dei bordi di grano, che si blocca quando si hanno impedimenti di tipo geometrico, ecco perché nel grafico si ha un forte assestamento.

La zona di creep secondario si spiega con fenomeni di natura diffusivi, ovvero con il movimento di lacune, di vacanze e di impurezze, e ciò avviene sia nei pressi del bordo di grano che nel grano stesso.




  • Refrattarietà sotto carico e creep.

Per studiare la refrattarietà dei materiali ceramici, bisogna innanzitutto riscaldarli con una velocità di riscaldamento costante e successivamente si va a misurare l’espansione o il ritiro del materiale.

Nel grafico vediamo che man mano che passa il tempo (l’asse tempo coincide con quello di temperatura, perché se la velocità di riscaldamento è costante, c’è proporzionalità tra temperatura e tempo) il materiale si espande, anche se è caricato, sino a quando non raggiunge un massimo in cui il materiale comincia a cedere sotto il carico.

Quello che si va a prendere sono i valori di T0,5 e T1, che li valuto lungo la curva decrescente di prova, quando il materiale si è ritirato rispettivamente di 0,5% e di 1% rispetto alla deformazione massima (nota che continuo a riscaldare sempre con la velocità costante).

Dopo una prima caratterizzazione sull’espansione e ritiro si decide a quale temperatura (oppure può essere imposta dal cliente) far avvenire la deformazione a carico costante e a temperatura costante e si determinano i parametri di SUBSIDENZA S10 e S20 che significano:

quanto si deforma il campione dopo 10 e 20 ore rispettivamente, tenuto a quella temperatura e a quel carico (nell’esempio 1500°C).

Se un materiale deve mantenere per poco tempo a un carico e a temperatura elevate si può avere anche un S10 del 1-2%.

Se un forno deve stare sempre acceso, invece, quel materiale non può accettare nemmeno quel 1-2%.

Infine, abbiamo un confronto di curve di SUBSIDENZA da cui si evince che il materiale che subisce la minore deformazione è il materiale più refrattario. Passando dal mattone convenzionale, al mattone in mullite si ha un aumento della refrattarietà. Inoltre, notate che la mullite, avendo il 70% di allumina e il 30% di silicio, ha una subsidenza migliore dell’allumina stessa.

In realtà l’allumina si presenta con una struttura cristallina perfetta, mentre la mullite essendo meno perfetta resiste meglio sia al creep che agli shock termici. Ciò non toglie che l’allumina ha una resistenza meccanica maggiore della mullite.


  • Resistenza agli shock termici.

Lo shock termico insorge ogni volta che un materiale non è scaldato in modo costante o non è tenuto ad una temperatura costante.

Naturalmente, quando un materiale è scaldato in un forno, soprattutto se la sua conducibilità termica è bassa e si riscalda a velocità elevata o viceversa si raffredda a velocità elevata, si creano gradienti termici nel materiale; pur avendo un forno isotermo.

In queste condizioni ogni materiale che subisce gradienti di temperatura, esplica la sua fragilità al griffit subendo fatica termica, microfratture, rotture, cricche, ect. che alla lunga sono la morte di questi materiali che hanno impieghi termostrutturali.

Queste considerazioni sono molto importanti, perché in fase di progettazione non basta guardare alla temperatura max di resistenza di un materiale o solo alla resistenza meccanica, ma a tutte le condizioni al contorno del problema, che devono portare alla scelta migliore del materiale da utilizzare.

Se per esempio, serve un materiale che deve operare in un forno con cicli di riscaldamento e raffreddamento sino ad una temperatura massima di 1400 °C e con carichi non troppo eccessivi, la cosa più saggia è utilizzare mullite piuttosto che allumina, che si romperebbe molto prima a causa della più bassa resistenza agli shock termici. (La zirconia a causa della sua alta espansione termica è ancora più critica dell’allumina, anche se arriva a temperatura di 2000 °C e oltre).

Dalle formule si evince che oltre ad , subentra anche E (rigidità del materiale) nel calcolo di R, ovvero un materiale quanto più rigido è, tanto meno resistente si presenta agli shock termici.

Inoltre, per il calcolo di R si dovrà considerare la resistenza di Mohr, ovvero quella ultima in cui si ha la rottura: fr.


  • Grafici.

In figura a) è rappresentata una sezione del materiale che stiamo raffreddando, ovvero un corpo in un forno che si raffredda, in cui il cuore è a più alta temperatura, mentre la superficie è a più bassa temperatura e tende a contrarsi, ma gli strati interni più caldi e più espansi non glielo consentono, generando allora, stress di tensione in superficie e di compressione nel cuore del materiale.

In figura b) avviene esattamente il contrario.

Nei profili di temperatura della figura in basso, il materiale a temperatura più bassa si contrae più di quello a temperatura più alta e il provino si deforma anche permanentemente, rompendosi in diversi modi.


  • Thermal shock resistance parameters.

R, si misura in temperatura.

R’, lo vogliamo misurare in termini di flusso massimo che possiamo mandare sulla superficie di un materiale. Notare che, un materiale resiste tanto più, quanto più alta è la sua conducibilità termica.

Nel caso della resistenza agli shock termici è bene considerare non solo R, ma anche tenere conto dei flussi di calore, nonché delle resistenze alla propagazione del creep e del danno.


  • Valori calcolati del parametro ………

Combinando tra di loro i vari parametri, possiamo mettere a confronto diversi materiali. Notiamo che il confronto diretto tra allumina e carburo di silicio. Hanno resistenze meccaniche e modulo elastico confrontabili, la cosa che li differenzia è l’espansione termica che essendo alta per l’allumina, la rende vulnerabile agli shock termici, infatti abbiamo R=96 contro R=230 per SiC.

Inoltro il SiC va molto meglio perché ha un alto coefficiente di conducibilità termica rispetto l’allumina.

Queste considerazioni si fanno a parte, nel senso che il SiC se riscaldato si porta immediatamente in tutti i suoi punti alla stessa temperatura, mentre nell’allumina si ha una concentrazione di calore che la porta a rottura più rapidamente.

Stesse considerazioni si possono fare per il nitruro di silicio, che pur avendo un modulo elastico basso e una espansione termica inferiore ha una resistenza (T) elevata; ecco perché è utilizzato nelle costruzioni delle turbine più che del SiC, l’unico inconveniente è che intorno ai 1000 °C e più innesca fenomeni ossidativi.



La cosa importante da notare è come un materiale che si presenta povero nei confronti della resistenza meccanica e poco rigido o molto tenero, presenta poi una così elevata resistenza agli shock termici (4860 °C).

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